Il primo giorno, quel benedetto 21 febbraio, ho subito scoperto che un abbraccio potesse essere pericoloso. Qui, vicino a Milano, a molti capita di andare per lavoro in altre province. Anche nel Basso Lodigiano. Ecco, persone care erano state proprio lì. Come fare a salutarle? Stare a distanza? Purtroppo sì, ma che fatica!

Il giorno dopo, con alcuni amici, un po’ ci abbiamo riso su. Siamo stati lontani, andando a fare insieme una passeggiata. Nel salutarci, però, non abbiamo resistito. Un abbraccio ce lo siamo scambiato. Via, non saremo mica tutti contagiati?

Il giorno dopo, nella redazione del giornale per cui lavoro, ho iniziato a capire sul serio i rischi che si possono correre. Parlarsi a più di un metro appare quanto meno strano. Mi sono abituata a farlo, per proteggere me stessa e gli altri. Anche se i colleghi ci hanno messo un po’ a capirlo e, stando lontana, mi sembrava di fare l’antipatica. Poi sono comparse in ufficio le prime mascherine. Poi è arrivata la regola: tutti a casa, non uscite. E da casa, ormai, lavoro e scrivo: smart working.

Niente amici, niente palestra, niente cineforum. Appuntamenti cancellati. E il dolore più grande: non poter vedere gli amici di Fede e Luce. L’ultimo incontro con la mia comunità di Rho era stato così ricco, così intenso. Proprio una bella giornata insieme, con annuncio e condivisione, il pranzo e uno spettacolo che aveva coinvolto tutti quanti. Il calendario era pronto, tanti incontri erano programmati. Invece no. Tutto fermo. Dalla festa per il compleanno di Glenda alla formazione provinciale, dal Consiglio internazionale, previsto a metà marzo in Egitto, all’assemblea nazionale italiana fissata in giugno. Stop forzato.

Il desiderio di avere notizie, di stringere mani e ricevere abbracci era troppo forte. Ma cosa si poteva fare, senza uscire di casa? L’unica arma, a parte telefonate e WhatsApp, sono i social. È nato così, dopo una chiacchierata con un paio di amici, “vicini a distanza”, lo slogan per lanciare video che permettessero di sentirci vicini alle comunità, a ogni famiglia, a ogni persona.

Un attimo dopo è nata l’idea di sentire don Marco: preziosi i suoi commenti alla Parola di Dio. Il suo accompagnamento non è venuto a mancare. Io ho tentato di lanciare messaggi, perché, lo sapete, parlare mi piace. Parlare da sola un po’ meno. Ma quei video arrivavano a tanti e questo mi faceva sentire meno sola e, spero, aiutava anche gli altri a passare queste strane giornate.

La creatività, si sa, a Fede e Luce è di casa. Così ho visto nascere gare di cucina, altri video per insegnare i canti (grazie Fabio!), messaggi di don Mauro, coloratissimi arcobaleni con la scritta “Andrà tutto bene!”, Matteo che fa le tagliatelle per mamma Luisa e altro ancora.
Ho visto anche messaggi tristi. Ho pianto Antonella, di Cesano Boscone, che non ce l’ha fatta. Ho salutato a distanza sacerdoti che il coronavirus ci ha portato via. Ho pregato per amici carissimi, chiusi in ospedale e poi a casa, cercando di non contagiare la famiglia.

La quarantena insegna a riprendere tempo per noi stessi. A riscoprire lo stare in famiglia (anche se, non poter uscire, dopo un po’ inizia a stressare). Genera fantasia. Regala del tempo per pregare. I social ci hanno dimostrato che possono essere utili anche per questo: per seguire una Via Crucis, per sentire la messa, per ascoltare meditazioni. Io, titubante fino a due anni fa, ho dovuto accoglierli come un dono, che ci ha permesso di restare uniti.

La voglia di rivedersi è immensa. Appena potremo spalancare le porte delle nostre case correremo uno dall’altro, per fare festa. Sarà gioia grande. Ancora più grande del solito. Ma credo che dovremo portarci dentro un po’ di questa quarantena. Non dimentichiamo questo tempo. Di sicuro sta insegnando a tutti qualcosa. La prima, per me, è che stare vicini anche a distanza aiuta a lasciar crescere la speranza. E la certezza che Fede e Luce sia una grande famiglia è, ogni giorno, la mia grande speranza. Noi siamo contagiosi, sì, ma è un contagio d’amore. E, anche da lontano, sappiamo dirci: tu sei prezioso per me, ti voglio tanto bene!

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 150, 2020

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SOMMARIO

Editoriale
E sono 150! di Cristina Tersigni

Focus: Piccolo e grande schermo 
La varietà in cui viviamo di Giulia Galeotti
Interpreti di se stessi di Giulia Galeotti
Give Me Liberty di Claudio Cinus
Years and Years di Matteo Cinti
Quando ha recitato sottovento di Daniele Cogliandro
Due fratelli e la brigata inglese di Giulia Galeotti
...e per approfindire, c'è il nostro speciale Cinema e disabilità.

Intervista
Corrispondenze (e zoomate) dalla Russia di Cristina Tersigni

Testimonianze
Una piccola malga di Lucina Spaccia

Dall'archivio
Abitare la speranza di Mariangela Bertolini

Associazioni
Risposte concrete per bisogni concreti di Enrica Riera

Fede e Luce
Vicini a distanza di Angela Grassi

Spettacoli
La sfida di rileggere le scene del cinema di Matteo Cinti

Rubriche
Dialogo Aperto n. 150
Vita Fede e Luce n. 150

Libri
Il dono oscuro di John M. Hull
I bambini sono speranza di Papa Francesco
Diversi di Gian Antonio Stella
Tempo di imparare di Valeria Parrella

Diari
La differenza tra Shakespeare e Insinna di Benedetta Mattei
Come sono cambiato in questi anni di Giovanni Grossi

Vicini a distanza ultima modifica: 2020-06-20T05:36:53+00:00 da Angela Grassi

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