«Due settimane fa (primi di aprile, ndr) ho chiamato la mia amica Valentina della comunità di Santa Silvia di Roma per chiedere come stavano nella mia amatissima Italia. Ero al mercato per la spesa settimanale e per un po’ di scorte, perché non si sa mai. L’indomani doveva esserci la nostra casetta. “Niente casette, state tutti a casa – mi ha detto Valentina perentoria – prima vi abituate all’idea, meglio è”. Ho scrollato le spalle e ho pensato: “Ma non esageriamo!”. Quando sono tornata a casa ho scoperto che avevano chiuso le scuole e anche il Centro dove si svolgono le nostre casette. Ora, eccoci qua, a casa, a incontrarci ogni sera alle 8 su Zoom, per raccontarci come ce la passiamo, assistere all’arrivo delle candeline sulla torta e cantare “tanti auguri” (ma riesce malissimo!)».

Olga Gurevitch, 45 anni, vive a Mosca, quasi al centro della città. Con lei, il marito Pavel e il cane Gaia. Insegna lingua italiana all’università e con il nostro Paese ha un rapporto speciale anche per via della profonda amicizia che la legava a Mariangela Bertolini. «La Russia è davvero molto grande – racconta Olga – ed è molto cambiata dagli anni Novanta, quando lei venne dopo la caduta del muro. Fede e Luce non è più l’unico posto che accoglie i ragazzi con amore. Se nell’Urss le persone con disabilità “non esistevano”, adesso sì, esistono, ma esistono pure enormi istituzioni che assomigliano a Gulag». In Russia, Fede e Luce conta 9 comunità a Mosca, 2 nei dintorni e 4 a San Pietroburgo. «Siamo molto uniti e ci riuniamo molte volte durante l’anno. D’estate ogni comunità fa un campeggio e ci divertiamo un sacco: insomma, una Fede e Luce normalissima!».

Olga Gurevitch

Olga Gurevitch

Olga ricorda del suo arrivo a Fede e Luce, «molto romantico. Avevo 17 anni e dopo gli esami d’ingresso all’università sono andata in Crimea agli scavi, con due ragazzi. Uno di loro non era battezzato, non credeva in Dio, ma lo stava cercando con tutto se stesso: adesso, insieme a sua moglie, è il nostro responsabile nazionale. L’altro invece era appena tornato dall’incontro dei giovani di Fede e Luce e dell’Arche, a Ottrott in Francia: era molto entusiasta, pregavamo insieme mattina e sera, ma adesso non va più in chiesa e non partecipa alla vita di comunità. In compenso è diventato mio marito. In comunità è rimasto qualche mese nel 1992, giusto il tempo per portarmici».

Tante le persone con disabilità che Olga ha avuto la possibilità di incontrare da allora. «La prima che ho conosciuto è stata Natasha: quando sono arrivata a Fede e Luce, mi ha salutata sulla porta chiedendomi “E tu chi sei? Dove abiti? Chi sei?”. Mi ha fatto pensare tanto su chi sono. Tante persone con disabilità hanno segnato la mia vita. Lisa non parlava né camminava ma aveva un carattere di tale forza e bellezza che noi tutti, anche se non della sua stessa comunità, cercavamo di starle vicino benché, a volte, ci allungasse calci e strappasse i capelli. È stata proprio lei a insegnarmi che per sentire attentamente le parole possono non servire: la gioia di stare insieme sul pavimento, ascoltare per giornate intere il Requiem o la Traviata, sono momenti del Regno, riflessi del Paradiso».

Olga ha seguito la storia di almeno 3 comunità delle 9 di Mosca. «Prima erano dieci. Tutte, tranne una che si trova in una cittadina a 30 chilometri a sud, appartengono a due grandi “famiglie”, ma – sottolinea – non siamo per niente come Montecchi e Capuleti! La prima comunità-madre si chiama Venerdì (per l’originario giorno dell’incontro e per il nome del servo di Robinson, che lo aiutava molto anche se non ci capiva tanto). Questa era la mia prima comunità. Adesso la vita della Venerdì è come una piccola fiammella: ha i suoi guardiani che la alimentano permettendole di spegnersi. Sono due ragazzi con disabilità, Andrej e Dima (purtroppo Dima è scomparso proprio in questi giorni, con la grande tristezza di non poter svolgere i riti funebri abituali, ndr), che continuano a chiamare, a scrivere, a invitare la comunità a vivere».

Olga racconta che dalla prima comunità Venerdì si sono staccati tanti rami. Immagino pensi alla talea, descrivendomi la nascita de La briciola, poi de Il Piccolo albero (divenuto un baobab…), infine del Chicco di Fava: la storia mi colpisce perché questa comunità è nata intorno a una sola persona con disabilità. «Con una famiglia, una ragazza con disabilità dall’istituto, io e altre due amiche abbiamo voluto costruire una comunità per il nostro Bob che non poteva più frequentare le sovraffollatissime casette de Il Piccolo albero. Bob non parla, urla e grida; invece di camminare, salta; non mangia da solo e non fa tante altre cose. Ma Bob è il nostro cuore: il suo sguardo tenero e attento, la sua presenza, la sua gioia, il suo micio-micio, hanno attratto altre famiglie e amici, costruendo la nostra comunità. Bob, oltre a essere il diminutivo del suo nome esotico Robert, in russo significa “la fava”. Da qui Il Chicco di Fava. Ma già da tre anni Bob e la sua nonnina Katia abitano lontanissimo da noi, a Parigi. Ci mancano moltissimo».

Le chiedo come stanno vivendo questo periodo di pandemia del covid-19. «Non possiamo fare le casette e andare in chiesa. Ne risentiamo soprattutto in questa che è per noi la settimana della Passione e siamo abituati a passare molte ore in chiesa. Adesso sta a noi vivere la Passione, la morte e la Risurrezione di Cristo nella nostra quotidianità, nel cuore e anche in comunità. Speriamo di riuscirci. Proprio in questi giorni però ci siamo di nuovo riuniti, e anche Bob partecipa ogni giorno al nostro piccolo incontro su Zoom! E con lui gli altri emigrati della comunità: in Francia, in Lettonia, in Israele, persino in Nuova Zelanda! Ci vediamo ogni sera e ogni domenica facciamo una zoom-casetta, con dei piccoli gruppi e un tè (ognuno fa vedere la sua tazza e il dolce che si è preparato). La vita trionfa».

E se già colgo la gioia del Risorto in queste istantanee, sono curiosa di sapere se hanno immaginato qualcosa per il Giubileo di Fede e Luce. «Un piano bellissimo ma adesso non son sicura che riusciremo a realizzarlo. Nell’Europa dell’Est c’è il santuario mariano del Monte Sereno con l’icona della Santa Vergine di Czestochowa che protegge, tra l’altro, gli avversari che cercano la pace. La nostra provincia – che contiene Russia, Georgia (che sono in guerra), Repubblica Ceca e Slovacchia (separate civilmente ma la cicatrice resta), Lituania (da sempre in difficili rapporti sia con russi che con polacchi) – ha invitato la provincia dell’Ucraina e le quattro provincie polacche a festeggiare insieme, per rivelare al mondo la nostra unità e l’amore che oltrepassa le inimicizie e i conflitti dei nostri paesi. Sarebbe un peccato non riuscirci. Continuiamo a pregare».

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 150, 2020

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SOMMARIO

Editoriale
E sono 150! di Cristina Tersigni

Focus: Piccolo e grande schermo 
La varietà in cui viviamo di Giulia Galeotti
Interpreti di se stessi di Giulia Galeotti
Give Me Liberty di Claudio Cinus
Years and Years di Matteo Cinti
Quando ha recitato sottovento di Daniele Cogliandro
Due fratelli e la brigata inglese di Giulia Galeotti
...e per approfindire, c'è il nostro speciale Cinema e disabilità.

Intervista
Corrispondenze (e zoomate) dalla Russia di Cristina Tersigni

Testimonianze
Una piccola malga di Lucina Spaccia

Dall'archivio
Abitare la speranza di Mariangela Bertolini

Associazioni
Risposte concrete per bisogni concreti di Enrica Riera

Fede e Luce
Vicini a distanza di Angela Grassi

Spettacoli
La sfida di rileggere le scene del cinema di Matteo Cinti

Rubriche
Dialogo Aperto n. 150
Vita Fede e Luce n. 150

Libri
Il dono oscuro di John M. Hull
I bambini sono speranza di Papa Francesco
Diversi di Gian Antonio Stella
Tempo di imparare di Valeria Parrella

Diari
La differenza tra Shakespeare e Insinna di Benedetta Mattei
Come sono cambiato in questi anni di Giovanni Grossi

Corrispondenze (e zoomate) dalla Russia ultima modifica: 2020-06-16T04:29:34+00:00 da Cristina Tersigni

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