Nell’Antica Grecia era vietato alle donne fare le attrici, ed erano perciò gli uomini a interpretare i ruoli femminili. Se qualcuno piombasse sulla nostra terra in questo 2020 potrebbe facilmente credere che un analogo divieto viga in tema di schermo e disabilità: nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, sono attori e attrici normodotati a interpretare personaggi ciechi, sordi, autistici o con altre forme di disabilità.

È esattamente la volontà di scardinare questo distorto e assurdo non-detto a guidare le attività della Ruderman Family Foundation che si batte per la reale ed effettiva inclusione delle persone con disabilità nel mondo del cinema. “Sono convinto che l’intrattenimento popolare influenzi la cultura – ha dichiarato al Jerusalem Post Jay Ruderman, l’avvocato israelo-americano che ne è il presidente – E proprio perché è così influente, è cruciale apportare cambiamenti in questo ambito trattandosi di una via che può davvero mutare il modo di pensare”.

L’appello è affinché tutti gli studi e le produzioni si impegnino in questa direzione: solo così si potranno avere un cinema e una televisione capaci di rappresentare “la diversità nella quale viviamo”. Un passaggio questo che potrebbe finalmente aiutare la società a normalizzare la disabilità. “Quando la società non è inclusiva, la disabilità viene trattata come un caso di beneficenza, come l’altro, come persone che invece di essere pienamente integrate hanno bisogno di aiuto e pietà”. Non si tratta di aspetti marginali: vedere la disabilità, significa accettarla.
I fronti su cui la fondazione Ruderman lavora sono diversi. Attenzione sempre crescente sta ad esempio ottenendo il Seal of Authentic Represententation, premio conferito a film e serie televisive che dimostrano un impegno concreto nei confronti dell’inclusione degli attori con disabilità.

«Sono convinto che l’intrattenimento influenzi la cultura, per questo dobbiamo incoraggiare cambiamenti capaci di trasformare il modo di pensare»

Tra le opere che hanno ricevuto il riconoscimento ricordiamo Tales of the City, serie Netflix che ha lanciato l’attore e regista sordo Dickie Hearts nel ruolo di Mateo, maggiordomo non udente; General Hospital, soap opera della ABC in cui, nei panni di Zahra Amir, compare Maysoon Zayid, attrice e sostenitrice della disabilità con paralisi cerebrale, una delle prime comiche musulmane d’America; Years and Years (che Matteo Cinti recensisce), serie drammatica britannica prodotta congiuntamente da Bbc e Hbo che vede l’attrice Ruth Madeley, che ha spina bifida, interpretare Rosie Lyons, una madre single con lo stesso problema; Loudermilk, la serie comica di Audience in cui – nella stagione 2017-2018 – è comparso l’attore focomelico Mat Fraser. E ancora Raising Dion, serie televisiva di fantascienza basata sull’omonimo fumetto e cortometraggio attualmente in streaming su Netflix, che presenta un personaggio su sedia a rotelle interpretato da Sammi Haney, bimba di nove anni nata con la malattia delle ossa fragili. Di recente è stato anche premiato il film Give Me Liberty di Kirill Mikhanovsly (che Claudio Cinus ci racconta).

Il sigillo di “rappresentanza autentica” viene assegnato dalla Ruerman alle produzioni che soddisfano due criteri: gli attori con disabilità debbono avere un ruolo di almeno cinque righe e l’opera deve essere destinata al grande pubblico. Per aiutare a formare questi attori, la fondazione ha siglato un accordo con la Yale School of Drama: mai prima vi era stata una collaborazione con una scuola di recitazione per consentire agli attori con disabilità di formarsi professionalmente. La prima vincitrice della borsa di studio annuale messa in palio è stata Jessy Yates, attrice e comica con paralisi cerebrale che ha iniziato ad esibirsi nei teatri di Cleveland, sua città natale, prima di passare alla Tisch School of the Arts della New York University, e che ha recitato in Speechless (2016).

La fondazione ha quindi stretto un accordo con la rivista Variety, partecipando al summit di inclusione di Variety 2019 tenutosi a Hollywood, che ha richiamato l’attenzione sulla mancata presenza delle persone con disabilità nel settore dell’intrattenimento. Alla richiesta rivolta alle reti dalla Ruderman di impegnarsi per cercare di aumentare la presenza di reali persone con disabilità nelle loro opere, la prima a rispondere favorevolmente è stata la Cbs. “In generale – ha spiegato sempre il presidente – le cose si muovono più velocemente in televisione che nell’industria cinematografica”. E il momento favorevole – crisi covid-19 permettendo – sembra essere proprio questo perché il mondo dell’intrattenimento è alla ricerca di autenticità. Autenticità che, pare, ripaga anche in termini di audience. E quindi di soldi.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 150, 2020

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SOMMARIO

Editoriale
E sono 150! di Cristina Tersigni

Focus: Piccolo e grande schermo 
La varietà in cui viviamo di Giulia Galeotti
Interpreti di se stessi di Giulia Galeotti
Give Me Liberty di Claudio Cinus
Years and Years di Matteo Cinti
Quando ha recitato sottovento di Daniele Cogliandro
Due fratelli e la brigata inglese di Giulia Galeotti
...e per approfindire, c'è il nostro speciale Cinema e disabilità.

Intervista
Corrispondenze (e zoomate) dalla Russia di Cristina Tersigni

Testimonianze
Una piccola malga di Lucina Spaccia

Dall'archivio
Abitare la speranza di Mariangela Bertolini

Associazioni
Risposte concrete per bisogni concreti di Enrica Riera

Fede e Luce
Vicini a distanza di Angela Grassi

Spettacoli
La sfida di rileggere le scene del cinema di Matteo Cinti

Rubriche
Dialogo Aperto n. 150
Vita Fede e Luce n. 150

Libri
Il dono oscuro di John M. Hull
I bambini sono speranza di Papa Francesco
Diversi di Gian Antonio Stella
Tempo di imparare di Valeria Parrella

Diari
La differenza tra Shakespeare e Insinna di Benedetta Mattei
Come sono cambiato in questi anni di Giovanni Grossi

Interpreti di se stessi ultima modifica: 2020-06-03T05:12:11+00:00 da Giulia Galeotti

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