«Sono un difensore dei diritti umani». Così si presenta Giampiero Griffo, attivo fin dal 1972 nell’associazionismo legato alla disabilità. Colpito dalla poliomielite a un anno («Allora non c’erano vaccini»), ha lavorato come bibliotecario alla Nazionale di Napoli e ora è in pensione. In pensione per modo di dire: «Opero per sostenere e promuovere i diritti umani delle persone con disabilità in vari contesti nazionali e internazionali». Membro del consiglio mondiale di Disabled People’s International, del consiglio dell’European Disability Forum (Edf), della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e del Comitato economico e sociale coordinato da Vincenzo Colao, Griffo è presidente della Rete italiana disabilità e sviluppo e coordinatore del Comitato Tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

Tra le altre cose, lei ha fatto parte della delegazione italiana che ha partecipato alla scrittura della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite (diventata legge in Italia nel 2009).
In sede di elaborazione la convenzione ha visto una partecipazione straordinaria delle persone con disabilità: alla sua approvazione a New York erano presenti 140 delegazioni statali e 800 leader del movimento internazionale delle persone con disabilità. Essa prevede una nuova responsabilità degli Stati, delle amministrazioni pubbliche ma anche dei privati, un cambiamento culturale sostanziale perché si passa dal riconoscimento dei bisogni al riconoscimento dei diritti. E questa tutela è prima di tutto un compito culturale e politico. Nell’articolo 3 della Convenzione non si parla di malattia, di invalidità, di incapacità, bensì di dignità, autonomia, indipendenza ed eguaglianza di opportunità. La trasformazione culturale è immensa: non siamo solo titolari di interventi sanitari e assistenziali, ma di tutte le politiche generali perché siamo lavoratori, turisti, viaggiatori, studenti.

Che modello di disabilità è sottinteso?
La Convenzione è basata sul modello sociale della disabilità, contrapposto a quello medico/individuale. Un modello basato sul rispetto dei diritti umani: noi persone con disabilità siamo cittadini come tutti, eppure siamo discriminati e privati di molte opportunità. E ciò non a causa delle nostre condizioni: è la società che ci ha disabilitati. Gli Stati debbono quindi mettere in campo risposte appropriate in termini di accesso a diritti, beni e servizi. La mia responsabilità è di coordinare il Comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità affinché la convenzione sia applicata in Italia attraverso proposte e azioni politiche, legislative e tecniche di promozione e sostegno dei diritti. Ricordando sempre che il cambiamento avviene non solo attraverso l’azione politico-sociale delle associazioni, ma anche mediante quella di ogni singola persona. Solo così si potranno trasformare i comportamenti e ribaltare la negativa visione culturale e sociale sulla disabilità.

Lei fa parte del Forum europeo sulla disabilità (Edf).
Formata da più di 30 consigli nazionali sulla disabilità e circa 40 associazioni europee, con una ricchezza di competenze ed esperienze che la rende un interlocutore credibile e affidabile, è l’associazione che rappresenta quasi i 100 milioni di cittadini europei con disabilità presso le istituzioni comunitarie. Il suo fine è di promuovere i diritti e la loro tutela nelle leggi, nelle politiche e nelle attività dell’Unione Europea e dei Paesi membri. Dal 1997 (anno della sua costituzione) l’Edf è stato capace di promuovere iniziative legislative in molti ambiti essenziali per la vita delle persone con disabilità: parliamo di accessibilità e fruibilità relative a trasporti, nuove tecnologie, lavoro, gare d’appalto e cooperazione internazionale. Gli stessi fondi strutturali europei vincolano il loro uso all’accessibilità e all’inclusione sociale. Ciò che ha reso l’Edf un attore capace di influenzare le scelte dell’Unione Europea è stato il fatto che tutte le associazioni hanno parlato con un’unica voce competente. La partecipazione, infatti, è un diritto, ma va esercitata in maniera competente.

Come è cambiato negli anni il concetto di welfare?
Purtroppo il welfare attuale nasce in periodi di crisi: dopo la Grande guerra, la crisi del Ventinove, la seconda guerra mondiale… Ciò ha favorito un modello di welfare protettivo in base al quale le persone con disabilità devono essere prese in carico da qualcuno (operatori, servizi, terzo settore che sia). Un modello che durante il covid-19 non è stato nemmeno capace di proteggere: la moria nelle residenze per persone anziane e con disabilità, la chiusura dei servizi senza alternative domiciliari, la rigidità del sistema di protezione sociale legato a luoghi e servizi piuttosto che alle persone, l’idea di escludere le persone con disabilità dall’accesso alle cure mediche contro il coronavirus ha fatto emergere l’inadeguatezza delle politiche esistenti. E dire che invece la Convenzione parla di politiche di inclusione.

Cosa andrebbe fatto?
Il welfare italiano, che si articola in 21 welfare regionali differenti, va indirizzato verso progetti personalizzati centrati sulle persone e i loro diritti, progetti basati su sostegni appropriati per consentire di partecipare alle opportunità che offre la società nelle stesse modalità degli altri cittadini. Ciò comporta un cambiamento di obiettivi, una formazione differente degli operatori e dei decisori politici, una maggiore consapevolezza delle associazioni che tutelano e promuovono i diritti. In una parola le persone con disabilità devono essere incluse nelle politiche di sviluppo generale, devono beneficiare dello sviluppo economico e sociale come gli altri membri delle comunità in cui vivono. Devono poter autodeterminarsi e scegliere come vivere e con chi vivere.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 152, 2020

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SOMMARIO

Editoriale
Biglietti e disegni di Cristina Tersigni

Focus: Adozione
Già nostro figlio di Paolo Catapano
Un gatto, la comunità e il nostro apartheid di Giulia Galeotti
Vangelo, immaginazione, intelligenza di Dorota Swat
Il diritto di chi? di Antonio Mazzarotto

Intervista
Quel che la Convenzione dice (e non dice) di Lars Porsenna

Testimonianze
Cosa si potrebbe imparare dai banchi monoposto? di Laura Coccia

Dall'archivio
Paolo e Chiara di Irma Fornari

Associazioni
Cosa c'è oltre la scuola? di Monica Leggeri

Fede e Luce
Guida per le comunità di Lucia Casella

Spettacoli
Riappropriarsi della propria firma di Claudio Cinus

Dialogo Aperto
In ricordo di Aldo di Maria Goffi e Flora Atlante
Periodo pesante, su spalle e cuore di Elisa Sturlese
Un dialogo aperto molto speciale!

Vita Fede e Luce n.152

Libri
Mia sorella mi rompe le balle di Damiano e Margherita Tercon
I disegni segreti di Véronique Massenot e Bruno Pilorget
Viaggio Italia around the world di Danilo Ragona, Luca Paiardi e Marcello Restaldi
Grazie, papà Don Carlo a cura di Sergio Didonè

Diari
Ho votato di Benedetta Mattei
Io non lo so cosa mi aspetto dal futuro di Giovanni Grossi

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Quel che la Convenzione dice (e non dice) ultima modifica: 2021-02-01T08:42:02+00:00 da Lars Porsenna

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