L’arteterapia è una disciplina che trova le sue radici già alla fine dell’ottocento con gli studi di diversi psichiatri che riconoscono, nelle produzioni artistiche spontanee dei pazienti ricoverati, un’eccezionale fonte di materiale diagnostico. E le esperienze sul campo di Friedl Dicker Brandeis (1898-1944), con i bambini del campo di transito di Terezin, e di Edith Kramer (1916-2014), nell’ambito del disagio psichico di bambini e adolescenti, dimostrano la valenza del processo creativo come strumento di acquisizione di consapevolezza di sé e delle proprie risorse. E di appropriazione di strumenti specifici per la trasformazione e lo sviluppo.

Per capire cos’è l’arteterapia può essere utile rintracciare l’etimologia delle parole. Che cos’è, per cominciare, l’arte? La parola sembra derivare dalla radice ariana ar-, che in sanscrito significa “andare verso”. L’arte può essere definita come una delle prime forme di comunicazione e precede di gran lunga la scrittura, le cui prime manifestazioni sembrano risalire a non prima del 3000 a.C. Dall’alba dei tempi, l’arte permette all’uomo di lasciare traccia, fare memoria, descrivere la realtà che lo circonda per “farla propria”. L’arte è un linguaggio, una modalità di espressione. Oggi, quando parliamo d’arte, inevitabilmente pensiamo ai grandi autori che hanno fatto la Storia dell’Arte. Ma essa, come linguaggio, appartiene a ciascuno. Chiunque può fare arte nel senso primordiale, archetipico del termine: utilizzare dei materiali per “uscire da sé”, andare verso…

E invece terapia? Per superare il corto circuito che fa pensare alla terapia esclusivamente come guarigione, risoluzione di un sintomo o di un problema, può essere utile andare ancora all’etimologia della parola. Therapeia, dal greco therapeyo, assisto, curo e, a sua volta, da teraps: aiutante, compagno, servitore.

Dunque l’arte-terapeuta è colui che, adeguatamente formato, accompagna le persone in percorsi che, utilizzando l’arte come linguaggio alternativo al verbale, favoriscono di volta in volta la prevenzione del disagio, la riabilitazione psicomotoria e l’acquisizione di un’autoconsapevolezza di sé, per conseguire un sempre crescente benessere.

Un percorso di arteterapia con persone con disabilità si svolge come un qualsiasi altro percorso di arteterapia: nel primo periodo di conoscenza reciproca si accompagna la persona nella sperimentazione di diversi materiali artistici per identificare quelli a lei più adatti e affini; poi, costruendo una buona relazione di ascolto, in empatia e accoglienza, si può individuare la direzione evolutiva verso la quale muoversi.

L’arte è un linguaggio che si presta a esprimere qualunque cosa: gusti personali, stati emotivi, sensazioni, narrazione di episodi, desideri. Non è possibile, prima di conoscere la persona, sapere in che modo esserle di aiuto. Ci può essere un livello “semplicemente” riabilitativo di alcune competenze motorie, cognitive, sociali. Ma spesso si fanno strada sviluppi più profondi di rielaborazione di vissuti, inattingibili attraverso il solo linguaggio verbale; si acquistano competenze espressive più fini, che permettono alla persona di rendere visibili parti di sé, ricche di potenzialità e possibilità; cresce l’autostima di fronte ad elaborati sempre più accurati e gradevoli.

L’arteterapia con persone con disabilità richiede tuttavia particolari accorgimenti, ausili, spazi, e materiali appositi, che permettano a chiunque, indipendentemente dalle abilità tipiche, di accostarsi al mondo dell’arte. La creatività, in questo, aiuta moltissimo.

Anna (nome di fantasia), 60 anni e con la sindrome di Down, faceva arteterapia già da qualche anno utilizzando esclusivamente i pennarelli: realizzava delle copie di opere d’arte, che sceglieva tra quelle che le venivano proposte. Con pazienza, e grazie alla relazione di fiducia costruita con una nuova arteterapeuta, ha sperimentato materiali differenti, incrementando le sue capacità di adattamento alle novità e al cambiamento.

La copia ha una valenza importante: copiando si impara ad osservare la realtà, il mondo con i suoi particolari. Lo “faccio mio”, riproducendolo. In un certo senso lo “acquisisco” anche grazie alla ripetizione.

Nel tempo, dai paesaggi, Anna è passata alla copia di personaggi dei cartoni animati da lei conosciuti. Ed è arrivata infine a poter mettere su carta, implicitamente, il suo vissuto di lutto per la perdita della mamma e poi del papà, scegliendo e riproducendo personaggi dai vissuti simili rappresentati nelle situazioni di malattia e perdita. Ha poi iniziato a disegnare la sua realtà quotidiana (i fratelli, i riti quotidiani: il caffè, le passeggiate…) e poi, attraverso la copia di animali, ha cominciato ad affrontare il discorso delle relazioni sociali: come posso far convivere due animali nello stesso ambiente?

Ma l’emergenza covid ha bloccato il lavoro… e le persone più fragili sembrano aver pagato il prezzo più alto, in termini di isolamento e interruzione delle attività quotidiane. In qualche caso, è stato possibile mantenere il contatto con alcuni di loro. Per la ripresa dei percorsi sono stati discriminanti la disponibilità in casa di materiale artistico, di una connessione e di tecnologie adeguate, la disponibilità dei famigliari e, non ultima, l’effettiva possibilità di poter godere della relazione, seppur mediata attraverso uno schermo.

Anna, per esempio, durante le prime settimane di lockdown aveva comprensibilmente ripreso i comportamenti ossessivi ed è stato difficile distoglierla da queste attività di rifugio e rassicurazione. Solo grazie ai caregiver è stato possibile trovare un aggancio che ha consentito di riprendere il filo della relazione interrotta e, iniziando a copiare le immagini di un gioco di carte che utilizzava in modo quasi ossessivo in quel primo periodo, ha ripreso a disegnare.

Scoprire la disponibilità delle famiglie ha evidenziato un’alleanza sottintesa ma non altrettanto sfruttata come risorsa. Svolgendo attività da remoto c’è stato modo di entrare, anche solo virtualmente, gli uni nelle case degli altri e osservare le dinamiche famigliari, scoprendone le potenzialità, in un reciproco arricchimento di sguardi.

L’arte si è offerta come strumento a disposizione di chiunque per far fronte a una situazione di emergenza, attraverso il suo potere capace di attivare competenze adattive, motorie, cognitive e socio-relazionali di grande impatto, anche dal punto di vista della coesione. È stato necessario, per tutti, attingere alle proprie risorse di resilienza: arrendersi alla situazione che non potevamo modificare, alla riduzione delle proprie possibilità, fare i conti con i propri limiti e ritrovare nuove piste sulle quali procedere. In questo l’arte e le persone con disabilità sono e hanno saputo essere maestre.

Sono state organizzate anche visite guidate online per piccoli gruppi connessi da remoto, con persone con disabilità e i loro famigliari. Sui social sono apparsi tantissimi link per visitare virtualmente musei e mostre. Dopo averne selezionato qualcuno più interessante e fruibile, in condivisione di schermo, veniva avviato il tour.

L’arte si è offerta, in questo senso, come un semplice ma efficace modo per stare insieme, come possibile, in un bel momento fatto di chiacchiere, di informazioni più o meno curiose e interessanti, di scambio di commenti e pensieri su quanto si andava scoprendo.

(Marta de Rino ed Eleonora Secchi)

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 151, 2020

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SOMMARIO

Editoriale
Nutrire talenti di Cristina Tersigni

Focus: Viaggio nell'arte
Il linguaggio dell’arte di Marta de Rino ed Eleonora Secchi
Metti da parte la fretta di Gianni Verni
Ferma lo sguardo di Cristina Tersigni
Estemporanea e personale di Giorgiana Tinazzo
Buongustaio dell’arte di Cristina Tersigni

Intervista
Il diritto a un libro vero di Giulia Galeotti

Testimonianze
Forse una ragione c'è di Stefano Nasuti

Dall'archivio
Un pomeriggio chiamato laboratorio di Francesca Polcaro

Associazioni
Museo per tutti di Cristina Tersigni

Fede e Luce
Noi, non io di Serena Sillitto

Spettacoli
Accarezzando insieme l'erba di Enrica Riera

Rubriche
Dialogo Aperto n. 151
Vita Fede e Luce n. 151

Libri
Il cuore è una selva di Novita Amadei
Il chiosco di Anete Melece
Malintesi di Bertrand Leclair
Un'esperienza personale di Kenzaburo Oe

Diari
Caro presidente Sergio Mattarella di Benedetta Mattei
Natura e musica di Giovanni Grossi

Il linguaggio dell’arte ultima modifica: 2020-08-16T11:00:41+00:00 da Marta De Rino e Eleonora Secchi

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