Chi ha fatto escursioni in montagna sicuramente ricorda ancora la sensazione bellissima di raggiungere il traguardo, di avercela fatta dopo tante fatiche. La soddisfazione è grande, ci si sente in pace con se stessi, si gode il panorama, la compagnia e un particolare senso di libertà. Ebbene, queste sensazioni che ci ricaricano hanno lo stesso effetto e diventano terapeutiche per le persone affette da malattie mentali e da disabilità psicofisiche.

Vogliamo presentarvi un progetto nato in una struttura pubblica, che propone la montagna alle persone in difficoltà come strumento terapeutico e riabilitativo. Abbiamo parlato con Giulio Scoppola, psicoterapeuta, psicologo, istruttore di alpinismo del Club Alpino Italiano. Lavora presso il Dipartimento di Salute Mentale della ASL RM E ed è stato l’iniziatore del progetto “Corpo-mente-ambiente”.
Dice Giulio Scoppola: “Il paesaggio naturale di alta montagna può essere definito come un ambiente a tre dimensioni che, meglio di altri luoghi tradizionalmente psico-riabilitativi, ben rispecchia alcune dinamiche interne del funzionamento mentale dell’essere umano.”
Il progetto “Corpo-Mente-Ambiente” consiste in attività che cominciavano in piscina, continuavano in palestra e infine nella natura. Il lavoro fatto nella fase iniziale pone le basi necessarie a raggiungere poi un AMBIENTE NON COSTRUITO DALL’UOMO qual è la montagna.
Tutti, chi più chi meno, abbiamo dei blocchi, delle paure da superare e andare in montagna ne facilita lo smantellamento e aiuta ad elaborali. È proprio la natura, l’ambiente non modificato dall’uomo, che dà la possibilità alle persone “ferite” nel passato di affrontare la sofferenza e di viverla fino a capire che può essere superata.

Di solito in ambienti protetti, come case, istituti e centri psichiatrici diurni, i problemi quotidiani vengono facilmente risolti (abbiamo paura del buio e accendiamo la luce …), mentre in montagna la paura del buio, per esempio, viene risolta attraverso l’esperienza di prevedere una difficoltà e di organizzarsi con una torcia nello zaino.
Spiega Scoppola: “Riemerge la paura per ciò che è nel mondo esterno e non solo interno, ma cresce anche l’autostima per il raggiungimento di obbiettivi riconoscibili, concreti e non manipolabili: la cima, il rifugio, quel nevaio, quel tratto di sentiero. Tuttavia questo non sarebbe possibile senza una relazione continua e fiduciosa con gli psicoterapeuti, con gli altri ospiti presenti al rifugio, o con le persone incontrate durante le escursioni”.

Importante è che l’esperienza di montagna non rimanga singola, ma possa essere ripetuta e soprattutto che ci sia una coerenza tra la teoria e gli interventi.

I gruppi sono al massimo di 8/9 persone (compresi 3/4 operatori).

Tutti i partecipanti al gruppo vivono una comune situazione: tutti devono cercare il sentiero giusto e portano con sé la bussola, tutti temono il buio, tutti portano uno zaino con le cose essenziali, tutti sudano, tutti hanno fame o sete o freddo. Questa esperienza aumenta l’autonomia personale anche quando si è tornati a casa. Chiediamo infine ancora a Giulio Scoppola a chi è rivolta questa “terapia”. “A tutte le persone con difficoltà psicofisiche, anche se io personalmente ho fatto questa esperienza principalmente con malati mentali, ma so di gruppi in Francia e anche in Italia, ad esempio a Sulmona, che vanno in montagna con disabili. Magari non camminano, ma per il resto fanno le stesse esperienze degli altri”.

Salutiamo il Dr. Scoppola ringraziandolo molto per la sua disponibilità. Ci siamo fatte contagiare dal suo entusiasmo per questo progetto.

Huberta Pott e Natalia Livi, 2000

La ASL va in montagna ultima modifica: 2000-06-20T16:35:32+00:00 da Huberta Pott

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