Certo che sì, anzi mi pare indispensabile. È possibile cominciare, tenendo presente che non è una cosa da poco, che molti ostacoli si porranno davanti, con delusioni e difficoltà di ogni genere.
In questo numero potrete leggere il cammino percorso da alcune persone, le mète da loro raggiunte, qualche esperienza che può dirsi riuscita. Questi esempi ci permettono di mettere in luce qualche suggerimento da seguire per non trovarsi di fronte ad una sconfitta.

1. Non agire da soli, ma insieme
L’obiettivo da raggiungere non è una casa per il proprio figliolo, ma una casa dove lui insieme ad altri come lui possano vivere senza i genitori.
Un ceppo da solo brucia, ma rapidamente si spegne. Ce ne vogliono quattro o cinque perché ci sia un bel fuoco e bisognerà continuare a metterne altri perché non si spenga.
Iniziare questa avventura da soli, vuol dire rischiare lo scoraggiamento e la mancanza di forze sempre nuove perché alimentino la vita.

2. Impegnarsi con lo stesso scopo
Genitori diversi, figli diversi, caratteri e storie diverse; risorse economiche diverse; formazione ed esperienze diverse…
Come trovare l’unità in mezzo a tante diversità? Il solo punto in comune è lo scopo, quasi una missione da compiere, in comunione, proprio per dar vita, speranza, amore a chi rischia di non averne. Aderire in profondità a questo compito vuol dire superare i propri progetti personali, le proprie aspettative, per formare via via una comunità di persone con progetto e aspettative comuni.

3. Un progetto si fa a tavolino
Mettere insieme un progetto richiede tempo per riflettere, per pregare insieme, senza fretta; la fretta e l’angoscia sono nemiche della buona riuscita.
Bisognerà guardarsi dallo slancio emotivo per poter esaminare l’iniziativa nei dettagli, per studiare con precisione quanto è necessario e quanto è accessorio, per prevedere le tappe di lavoro assegnandosi i compiti prioritari e preliminari.

4. I soldi non sono l’essenziale
Essenziali sono le persone decise, unite e determinate ad arrivare fino in fondo.
Se queste persone sapranno vivere in unità, con stima reciproca, con umiltà ma con audacia, vedranno abbassarsi la montagna della difficoltà finanziaria. I soldi non sono l’essenziale anche se sono indispensabili. Il progetto avrà bisogno di oculatezza e discernimento per essere realizzato con il necessario, non con lo spreco;
Bisogna fortemente credere che ogni iniziativa che si basa sul fondamento della solidarietà, cioè al servizio degli altri e non solo a proprio vantaggio, farà scaturire le risorse finanziarie necessarie.

5. Cominciare dal poco
Ogni iniziativa duratura è cominciata dal poco.
Quando Jean Vanier ha creato una casa-famiglia a Trosly-Breuil, aveva come progetto solo di condividere la sua vita con Raffaele e Filippo — due adulti con handicap mentale — Oggi, le comunità dell’Arca sono 95, in ventidue nazioni.
A Roma, attualmente la Comunità del Chicco conta tre appartamenti con 10 persone accolte. Solo dieci anni fa, Guenda e Anna avevano deciso di dare una casa a Fabio e Maria.
Cominciamo ad arare il terreno, gettiamo il seme, un giorno spunterà una piantina. Non importa sapere se sarà una quercia o un arbusto. L’importante è che sia una casa dove possano vivere tre, quattro, cinque persone con handicap, in un clima di pace e di serenità.

6. Tener duro nel tempo
Si comincia a lavorare e a progettare nell’entusiasmo. Le forze sono salde, le volontà sono stimolate dal nuovo progetto. Poi nasce qualche difficoltà, si avverte l’usura del tempo, la stanchezza, le incomprensioni.
Mancano le persone, mancano i soldi, si è in pochi a dover pensare a tutto…
Ci si scoraggia, non si sa su chi contare.
Per questo sarà bene aver costituito i punti d’appoggio necessari perché la casa stia in piedi:

  • essere legati ad una associazione con capacità di gestione;
  • non voler restare solo fra genitori, ma attorniarsi di persone capaci, con esperienza, non coinvolte psicologicamente e affettivamente;
  • conoscere bene le capacità di ogni membro dell’iniziativa, dividersi i compiti secondo le rispettive capacità all’interno del gruppo fondatore e prevedere i mezzi adeguati per la formazione e il sostentamento morale e psicologico del personale impegnato;
  • trovare il tempo per «rifocillarsi» insieme, per ritrovare lo slancio, per ritoccare le cose che non vanno, per rivedere il progetto, valutare insieme con serenità…

7. Senza di me non potete far nulla (Gv. 15,5)
Quando si fa un progetto ispirato ai valori del Vangelo, bisogna affidarlo al Signore. Solo così il progetto non sarà nostro ma Suo; i nostri mezzi e le nostre azioni saranno al servizio Suo e sarà Lui che — se glielo chiederemo non solo all’inizio, ma ogni giorno — porterà avanti le cose.
Le strade del Signore non sono sempre le nostre strade. Se un progetto non riuscirà, altri vedranno la luce. Al Signore stanno a cuore i nostri figli più che a noi. E con questa fiducia e sicurezza, è bene mettersi al lavoro.

Noi genitori possiamo fare qualcosa!

Marie-Hélène Mathieu è nata il 4 luglio 1929 a Tournus in Francia. Educatrice specializzata, allieva di padre Henri Bissonier, ha fondato l'Office Chrétien des Personnes Handicappées (1963), poi Ombres et Lumière, rivista cristiana delle persone portatrici di handicap, delle loro famiglie e dei loro amici. Ha creato, nel 1968, con Jean Vanier il movimento Foi et Lumière. Membro del Pontificio Consiglio per i Laici dal 1984 al 1989 è stata la prima donna a tenere una Conferenza di Quaresima a Notre- Dame di Parigi (1988), ed è Cavaliere della Legion d'Onore. Autrice, tra l'altro, di Dio mi ama così come sono (Effatà, Cantalupa 2002), Mai più soli,L'avventura di Fede e Luce, (Jacabook, 2012).

Possiamo fare qualcosa noi genitori? ultima modifica: 1991-12-28T10:10:39+00:00 da Marie Hélène Mathieu

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