Vorrei saper scrivere tutte le emozioni che si accendono quando penso al marzo di 11 anni fa.

Il desiderio di un figlio è molto forte, tanto da farti credere di poter vincere ogni difficoltà.

Io, medico, sono stata sicuramente privilegiata nel rapporto con il collega che mi comunicava le brutte notizie sulla salute del bimbo che portavo in grembo. Mi sono sentita consapevole del grande potere che l’uomo ha conquistato sapendo in tempo cosa ci aspetta alla nascita, comunque, anche consapevole della intatta superiorità della “natura”, di “Dio” sulla vita.

Non credo di aver mai pensato seriamente un solo momento di non portare alla vita la bimba che cresceva in me, cresceva con un cuore che per ora non le serviva ma che, non appena “nata”, avrebbe dimostrato la sua inadeguatezza. La decisione di proseguire e di non interrompere la storia appena cominciata è stata secondo qualcuno un atto di egoismo, secondo altri la scelta sventata di affrontare “un calvario” per noi e per lei; molti infine seguivano la nostra storia con rispetto, forse incomprensione e comunque con solidarietà: la bimba doveva affrontare una operazione molto complicata, appena nata, per poter sopravvivere. Mi ricordo i disegni che il cardiologo ci faceva vedere mentre ci spiegava; sembrava una cosa impossibile, ma ci diceva che altri “casi” erano stati eseguiti con successo, che alcuni bambini erano sopravvissuti e vivevano ancora (non ho mai provato a chiedere come?) Mi sembrava che anche la più piccola speranza di vita contro la sicura morte fosse da ricercare; forse senza soffermarmi troppo sul come e sul dopo. Sapendo come sarebbe finita, immaginando la tremenda angoscia di quel bruttissimo giorno in cui ci hanno comunicato malamente che Margherita non ce l’aveva fatta… Se avessimo avuto solo la minima percezione di un dopo così schiacciante, così vuoto così povero di parole e spiegazioni, soprattutto da parte di chi (medico) ci aveva accompagnato fino a lì con premura e è speranza; se ci avessero detto (i medici) che dopo ci avrebbero lasciati soli e inermi, davanti alla sconfitta, forse non saremmo stati così decisi nello scegliere per lei l’intervento. Ma allora sì sarebbe stato per egoismo, per evitare il tremendo vuoto di quel giorno. Invece lei ci ha donato la consapevolezza di quanto valga la vita, lo percepiamo con il cuore (appunto), ad ogni marzo che passa, ogni emozione condivisa con i figli, gli amici, gli zii e i nonni, ad ogni occasione per raccontare questo frammento della nostra vita; la ragione ci devia spesso sul dolore, sulla perdita, sulla sofferenza innocente, ma il cuore ci dice che sopra tutto c’è l’Amore.

Francesca De Rino, 2006

Ad ogni marzo che passa ultima modifica: 2006-06-21T11:21:47+00:00 da Redazione

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