Presentiamo una breve sintesi delle tecniche che esistono ad oggi per la diagnosi prenatale di patologie del feto. Tutte queste tecniche devono però includere come primo passo una corretta informazione dei genitori per rendere loro possibile una scelta, compresa quella di non eseguire nessun test. Per questo è necessario spiegare, oltre agli aspetti pratici dei test, le possibili scelte e implicazioni legate al risultato.

Tecniche non invasive

Test biochimici: stabiliscono un rischio di patologia genetica tramite un prelievo del sangue materno. Fornisce una stima individuale del rischio di trisomia 21 e spina bifida più accurato rispetto alla sola età materna. È importante ricordare che il risultato del test non indica che il feto è o non è affetto da una di queste patologie.

Ecografia fetale: metodica di indagine che utilizza onde acustiche (ultrasuoni) per ricostruire immagini dell’interno del corpo.

In gravidanza si parla principalmente di tre ecografie:

  • la prima, nel primo trimestre, ha come obbiettivo principale di assicurarsi del corretto posizionamento del feto in utero.
  • la seconda, detta morfologica, avviene nel secondo trimestre di gravidanza (tra la 20 e 22 settimana), costituisce una vera e propria visita internistica fetale, serve a verificare il corretto sviluppo del feto e ad identificare le anomalie più frequenti (circa 90%).
  • la terza, detta anche biometria, è effettuata nell’ultimo trimestre. Serve a confermare l’assenza di anomalie, si rivalutano le dimensioni del feto, la quantità di liquido amniotico, la posizione della placenta e si valuta l’eventuale necessità di un parto cesareo.

Tra le ecografie eseguite in gravidanza la translucenza nucale (tra la 1la e la 14a settimana) permette di identificare un ulteriore fattore di rischio di patologie cromosomiche e non (cardiopatie) attraverso la misurazione dello spessore della plica nucale.

Tecniche invasive

Vengono proposte alle donne a più alto rischio di anomalie cromosomiche o malattie genetiche (donne con più di 35 anni, precedenti familiari, test di screening per sindrome di Down positivi). Va tenuto presente che queste tecniche presentano comunque dei rischi dei quali è bene parlare con il proprio medico di fiducia. In effetti, la scelta degli specialisti che effettuano queste tecniche o che ne interpretano i risultati sono essenziali per assicurare un risultato ottimale con il minor rischio di complicazioni.

Amniocentesi: si esegue nel secondo trimestre e consiste nel prelievo di liquido amniotico tramite l’introduzione di un ago per via addominale. Permette di effettuare la diagnosi di anomalie cromosomiche e di sesso per le malattie legate al cromosoma X (X fragile), di errori congeniti del metabolismo, di malattie ereditarie monogeniche (distrofie ecc.) e la diagnosi definitiva dei disturbi del tubo neuronale (spina bifida).

CVS o Prelievo di villi coriali: eseguita nel primo trimestre di gravidanza (tra la 10° e la 12° settimana) consiste nel prelievo di un campione di tessuto trotoblastico (tessuto all’esterno della placenta). Come l’amniocentesi permette la diagnosi di anomalie cromosomiche e di errori congeniti del metabolismo ma è soprattutto usata per la diagnosi di malattie ereditarie monogeniche come la talassemia, la distrofia muscolare di Becker e di Duchenne, fibrosi cistica, emofilia A e B. Rispetto all’amniocentesi presenta un maggior numero di insuccessi (sia del prelievo che della tecnica), un maggior numero di falsi positivi o negativi, un maggior rischio di malformazioni congenite degli arti ma un minor rischio di aborto rispetto alle amniocentesi precoci (effettuate prima della 15° settimana).

Fonti:
saperidoc.it
gravidanzaonline.it

Tecniche di diagnosi prenatale ultima modifica: 2006-06-21T11:13:12+00:00 da Redazione

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