Oleh Romanchuk è uno di quegli uomini che sembrano dotati di più vite. A 29 anni, sposato da poco, neuropsichiatria infantile, scrittore, Oleh è coordinatore delle sei comunità Fede e Luce in Ucraina. Lavora a Lviv in un centro per ragazzi disabili.

Ombre e Luci – Come è andato il suo primo incontro con le persone disabili, che cosa l’ha colpita in particolare?
Oleh Romanchuk – Sono andato a una prima riunione di FL invitato da un amico. Non è stato facile come inizio. Fare dei gesti cantando, darsi la mano, mi metteva molto a disagio… All’epoca facevo parte di un’associazione di studenti che combatteva con forza contro il comuniSmo per l’indipendenza dell’Ucraina. Inutile precisare che i modi di comunicare sono molto diversi nelle due situazioni.
Mi ricordo di una festa durante un campeggio di Fede e Luce. All’inizio Mérone si limitava a guardarci, non parlava affatto e io pensavo che fosse uno dei suoi handicap. Se ne stava vicino a un muro; non partecipava. Poi mi ha chiesto: “Ma perché nessuno mi invita a ballare?» Io gli ho risposto: “Ma tu sei un uomo, Mérone, sei tu che devi invitare le ragazze: Va ad invitarne una!’’ E, quella sera, per la prima volta nella sua vita, lui ha ballato. Poco dopo mi ha detto una cosa che è rimasta per sempre impressa nel mio cuore “Ora la vita è bella”.

Come è vissuta la nascita di un bambino handicappato in Ucraina?
Molto spesso, quando nasce un bambino handicappato i medici consigliano di abbandonarlo. Diversi genitori mi hanno confidato come era stato doloroso per loro sentirsi dire: “Abbandonate questo bambino che renderà la vostra vita una catastrofe”. Mancano posti nelle scuole, nei Centri di lavoro protetto in proporzioni ben più drammatiche che nell’Europa dell’Ovest. Per lo più le persone disabili vivono con i genitori oppure sono mandati in istituti chiusi all’esterno, spesso disumani. A volte in luoghi molto lontani dalle loro famiglie. Tutte queste difficoltà sono la conseguenza di uno sguardo “ineducato” alla sofferenza. Non è raro, dalle nostre parti, soprattutto in campagna, che una persona disabile si veda rifiutare l’ingresso in un negozio, o che gli si dica in mezzo ad una strada: “Ma cosa fai qui, tu? Vattene!.”
Un giorno abbiamo organizzato una passeggiata nel centro alla città con una quindicina di persone in sedia a rotelle. La gente era stupefatta, shoccata; molti ci chiedevano: “C’è un incontro internazionale di persone in sedia a rotelle?”

Tutto questo non sta cambiando almeno un po’?
Sì, c’è qualche segno di speranza.
Sono stati creati una decina di nuovi centri per iniziativa dei genitori. Alcuni ragazzi possono essere inseriti nelle scuole normali. La mentalità delle persone cambia, soprattutto grazie alla televisione. Anche l’atteggiamento della Chiesa sta cambiando. Quest’anno, per esempio, abbiamo avuto la grande gioia di sapere che il capo della Chiesa greco-cattolica aveva inviato una lettera a tutti i membri della sua Chiesa, a proposito della dignità delle persone disabili. Si traducono libri, si organizzano conferenze, nascono nuove associazioni, i genitori si organizzano in gruppi, si formano nuove comunità di Fede e Luce…

Tutte queste esperienze hanno cambiato qualcosa in lei?
La semplicità: accettare di non essere perfetto, fare del proprio meglio e farlo con amore. A forza di chiedersi “Cosa penserà la gente di me?”, ci si blocca. Ora, molto spesso, quando devo fare qualcosa, “consulto” il mio cuore, perché in occasione della mia amicizia con Mérone, ho sentito che il mio cuore cominciava a scaldarsi, che si apriva alla vita: gioia, tristezza, partecipazione… Nello stesso tempo ho scoperto che il più grande desiderio del cuore era quello di avere dei legami di amicizia. Siamo tutti troppo presi dalla carriera, dal nostro lavoro, etc., e, molto spesso, siamo così occupati che non abbiamo più tempo da dedicare all’amicizia.
In un giorno di pioggia passeggiavo con Mérone e un altro amico in sedia a rotelle; Mérone, molto attento a noi due, teneva un ombrello aperto sopra la mia testa. Al momento di salutarci mi ha restituito l’ombrello dicendo: “Vorrei fare così per tutta la vita, quando piove portare un ombrello aperto sopra la tua testa, per proteggerti.” Io non credo di avere un altro amico disposto a tenere per sempre un ombrello aperto sopra la mia testa, e, inoltre, non credo che le altre persone abbiano molti amici come lui! E proprio l’amicizia la grande scoperta della mia vita.

Questa scoperta ha, forse, anche orientato la sua vita verso la medicina?
Ho capito che l’amicizia è una reale sorgente di guarigione. Certe persone non sono curabili, nel senso che la medicina non può guarirle. Ma altre sono in difficoltà più per la loro solitudine che per il loro handicap. Il semplice fatto di avere un’amicizia può essere per loro di grande sollievo. A mio parere, si può tranquillamente parlare dell’amicizia come di una fonte di guarigione dal punto di vista medico, perché l’amicizia rende le persone più felici.

E come cristiano?
Questo mi ha permesso di vivere la spiritualità orientale in maniera completamente diversa. I nostri maestri di spiritualità ci hanno sempre parlato molto della voce del cuore, della preghiera del cuore. Conoscevo questi principi in maniera intellettuale: ma è stato solo a contatto con Vadik, dura e Merone, che il mio cuore si é veramente aperto a Dio. E nel mio cuore che ho incontrato il Signore e da quel momento ho potuto iniziare una conversione personale e un cammino verso di Lui.

Cosa spera in futuro per l’Ucraina?
Io vorrei che l’Ucraina si umanizzasse. Amo moltissimo il mio paese, la mia gente. Non ho la ricetta perché il mio paese cambi in un solo colpo! L’Ucraina deve affrontare moltissimi problemi economici e politici…Fa parte della nostra mentalità pensare che tutto questo deriva dai nostri responsabili politici. Ma io ho sperimentato che bisogna incontrare le persone, contattarle una per una per cominciare a cambiare.

Tratto da Ombres et Lumière n. 141)

Medico, ho imparato a consultare il mio cuore – Intervista con Oleh Romanchuk ultima modifica: 2003-09-04T15:37:20+00:00 da Redazione

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