Spesso mi chiedo da dove nascano e da dove derivino tutte le nostre usanze e credenze religiose, a volte così diverse e lontane dalle loro vere origini.
Mi domando da dove nasca l’usanza di ricevere l’Eucarestia nelle mani o sulla lingua, di portarla direttamente e delicatamente al palato ed aspettare che si sciolga da sola.
Chissà quale sacerdote, suora o catechista l’ha insegnata ai miei nonni, loro ai miei genitori e quest’ultimi a me, che nel periodo della Prima Comunione mi hanno spiegato e ripetuto mille volte il delicato e rispettoso procedimento.

Molto probabilmente anch’io se non avessi avuto problemi, non mi sarei soffermata a riflettere su questo aspetto, continuando a compiere questi gesti abituali e consueti, tramandandoli ed insegnandoli a mia volta. Infatti, essendo affetta da una tetra-paresi spastica con distonia, per me risulta molto difficile e problematico compiere tutto quel particolare e delicato procedimento, dovendo al contempo mantenere una postura il più possibile corretta nella fila dei fedeli, fare i conti con tempi ristretti, con sacerdoti, a volte, troppo frettolosi, fare attenzione a non inciampare, a non cadere e cosi via…

Per tutti questi motivi, spesso, pur avendo nel corso degli anni attivato varie strategie per avvicinarmi a Gesù nel miglior modo possibile e per evitare spiacevoli intoppi, vivo questo momento con ansia, apprensione e quando mi accosto all’Eucarestia qualcosa si inceppa, qualcosa non funziona ed a volte mi accade che il Pane mi rimanga tra le labbra, oppure di addentarlo, di deglutirlo in modo non conveniente; vivendo tutto questo con gran senso di colpa, forte disagio e frustrazione.

Riflettendo su questi miei sentimenti, mi è capitato di ripensare alle parole della Consacrazione, in cui il sacerdote ripetendo i gesti e le parole di Gesù dice: “prendete e mangiatene tutti”… Mi sono soffermata sul verbo “mangiare” usato proprio da Gesù. Gesù ha detto “mangiate”, ovvero “mangiateMI”; mangiare implica mordere, addentare, masticare e compiere anche gesti e movimenti, a volte, poco raffinati e poco attenti alle convenzioni.

Cerco di immaginare quell’Ultima Cena, tutti i Suoi gesti e credo che i Dodici, proprio per il loro essere uomini semplici e per il grande Amore, l’Amicizia e la confidenza che li univa a Gesù, abbiano davvero mangiato quel Pane e quel Corpo, senza tante preoccupazione, senza tante attenzioni e senza tante precauzioni.
Penso a Giuda, che preso da altri pensieri, avrà sicuramente mangiato e masticato molto in fretta, senza tante raffinatezze.

Penso alle nostre cene di uomini moderni, penso alla mie cene in famiglia e con gli amici, in cui l’amore, l’amicizia, la conoscenza, la confidenza, l’intimità, ci permettono e mi permettono tanti atteggiamenti informali, che consentono di vivere con più serenità dei piccoli inconvenienti poco eleganti e poco raffinati, che possono accadere durante un pranzo ed una cena.

Forse Gesù quando ci ha comandato di mangiare, intendeva instaurare con noi una vera Comunione, fondata sull’amore e l’amicizia, un legame così unico, così forte, così profondo, così intimo, in grado di superare tutte le barriere della formalità, dell’etichetta, delle attenzioni sterili e di circostanza. Forse tutte queste mie riflessioni non mi libereranno mai dal mio senso di colpa e di inadeguatezza, ma anche in questi miei momenti difficili, mi sento unita a Lui, nel mio disagio, nella mia piccolezza e nella mia difficoltà di riceverlo, e forse è da questa sofferenza che può istaurarsi una vera profonda Comunione con Gesù.

Sìlvia Tamberi, 2003

Prendete e mangiatene tutti ultima modifica: 2003-09-03T17:30:47+00:00 da Silvia Tamberi

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