Piero ha 35 anni, è Down, è mio fratello, uno dei miei fratelli.
È l’ultimo di cinque, io sono la penultima. Siamo cresciuti insieme, vicini, perciò posso dire come e quanto, secondo me, i nostri genitori lo hanno aiutato nella sua crescita.
A casa ognuno di noi sapeva che a Piero veniva chiesto tutto quello che poteva fare; aveva il suo lavoro anche lui, lo sapevamo bene!

Fare tutto quel che si può

Questo non succedeva sempre senza storie. Mi ricordo di un 1° novembre: eravamo tutti riuniti a casa dei nonni. Piero voleva preparare la tavola come nelle grandi feste. Preparare la tavola è il suo compito di ogni giorno. Prese dalla credenza due piatti per ciascuno, i bicchieri del servizio bello, i tovaglioli ricamati… a questo punto intervenne la mamma per dirgli che l’apparecchiatura doveva essere ordinaria (eravamo in 20 e per due giorni di seguito…). Lui non ne voleva sapere: era come chiedergli di far male il suo dovere. Dopo un po’ e di fronte alla fermezza della mamma, cedette ma ci rimase molto male.

Quel giorno ho toccato con mano il compito educativo dei miei genitori verso Piero come verso noi. Capivo anche come questa necessità di educare veniva a cozzare con i suoi limiti mentali. Piero infatti, ha un vero handicap intellettivo: è stato rifiutato da una prima scuola speciale che si era aperta, poi da un’altra, per lo stesso motivo: c’era di che scoraggiarsi.

Per il papà e la mamma, giorno dopo giorno, ha avuto sempre il sopravvento la convinzione che Piero, pur essendo mentalmente più debole, aveva un cuore e una coscienza da formare. Avevano anche la convinzione che, proprio perché la sua intelligenza era limitata, era ancor più necessario svilupparla. Per questo bisognava aiutarlo a capire più che a ricordare, per quanto gli era possibile. In conseguenza fin da piccolo, ha partecipato ai nostri giochi (dama, corsa dei cavalli..) anche se questi all’inizio ci sembravano fuori dalle sue possibilità. Quanto tempo, quanta pazienza bisognava tirar fuori!

Essere se stesso

Per i nostri genitori c’erano ancora due punti sui quali non si discuteva: la coscienza e il rispetto di ciò che è vero e il servizio verso gli altri. Sapevamo tutti, noi fratelli, che non bisognava mentire, ma anche che bisognava essere veri. Piero però, per non far male a nessuno, per evitare le tensioni che presagiva così bene e sopportava tanto male, per sistemare le cose, si faceva spesso conciliante. Diceva sì all’uno e sì all’altro quando gli si presentavano due scelte differenti… Quando la mamma gli diceva: «Piero, non ti chiediamo di dire sì a tutti; devi dire sì a quello che tu pensi», cercava di impedirgli di chiudersi in un rifugio che si sarebbe rivelato presto illusorio.

Ancora adesso Piero fa fatica a capire che non è male pensare o scegliere in modo personale. Non ha fatto molti progressi nella capacità di sopportare le tensioni, ma sa cosa vuol dire «dire la verità». Aiutarlo in questo senso è stato aiutarlo a crescere.

Il «senso» degli altri

Un altro punto sul quale i miei genitori hanno sempre tanto insistito è il senso degli altri.
Ricordo una partita di pallone in famiglia. Tutti erano pronti per giocare e Piero cominciò a vestirsi lentamente da capo a piedi da giocatore di pallone: calzettoni, maglietta, fascia al braccio, ecc.; cugini e nipoti, dai cinque ai quindici anni, stavano perdendo la pazienza e volevano cominciare a giocare. La mamma andò da Piero per spiegargli che se i suoi preparativi personali si sarebbero prolungati ancora, non ci sarebbe stata più la partita perché i giocatori erano stanchi e avrebbero fatto un altro gioco. Troppo preso da se stesso, aveva dimenticato l’attesa e il desiderio di giocare degli altri.

Ma è nostro fratello e la sua tenerezza risponde sempre alla nostra

Ancora una volta capivo come è difficile agire con autorità, tenerezza, delicatezza. La mamma sa dialogare con lui, sa ascoltarlo, cercare di capire dall’interno quello che a volte in lui è causa di blocco. Sa anche pacificare le sue angosce, sa dirgli «non tormentarti!». Questo basta per fargli capire che è amato così com’è, con le difficoltà del momento.
Noi, suoi fratelli e sorelle, solo poco per volta, abbiamo capito la sua sofferenza di avere un handicap, sofferenza di essere diverso, e anche sofferenza di avere dentro di sé dei blocchi, di sentirsi così limitato.

E importante «dialogare» con lui, ascoltarlo, cercare di capire quel che in lui è causa di blocco

Mi piacerebbe tanto che potesse superare i suoi limiti. Ancora oggi mi capita di sognare, di credere che io l’aiuterò a capire, che insieme ce la faremo. Ecco, in questi momenti, sono io che inciampo nei miei limiti di pazienza, di amore, di fiducia.

Dio ha bisogno anche di lui

Ma è nostro fratello e la sua tenerezza risponde sempre alla nostra: di fronte a sofferenze profonde, nessuna parola sa confortare, ma la mano di Piero nella nostra è un conforto inesprimibile per noi, suoi fratelli e sorelle. Sa circondarci con forza e delicatezza insieme. Con tutto il cuore sa dividere le nostre gioie e le nostre pene. Non dimentica mai un compleanno, un onomastico. Prega per noi ogni giorno. Ne abbiamo bisogno e contiamo molto sul suo aiuto.
Alla base dell’esigenza dei nostri genitori e sempre presente ai loro cuori c’è un convincimento profondo: «Se Dio ha dato la vita a Piero, ha bisogno di lui. Ha affidato a noi, suoi genitori, prima di tutto il compito di aiutarlo a diventare un uomo”, per la sua vita personale, sociale, certamente, ma più ancora per la sua vita spirituale, perché sia viva e forte e porti frutti».

M.N.P. (O. e L. n. 81), 1989

Aiutarlo a diventare «un uomo» ultima modifica: 1989-06-16T13:47:28+00:00 da Redazione

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