L’allungamento della vita media interessa positivamente le persone con disabilità intellettiva. Ma comporta anche, come per la popolazione generale, l’aumentata possibilità di un declino cognitivo patologico. L’Anffas, nel suo ultimo convegno organizzato per la Giornata Internazionale delle persone con disabilità, il 3 dicembre, ha dedicato al tema uno dei sette workshop previsti. Perché se già nella normalità di un invecchiamento alcune variabili possono fortemente incidere sulla qualità della vita, nella persona con disabilità la complessità aumenta notevolmente.

La disabilità che nasconde

La disabilità, soprattutto quella intellettiva, può mascherare alcuni segnali non fisiologici: così, al convegno, più di una testimonianza ha riportato esempi di persone con sindrome di Down nei quali non si è riconosciuto l’insorgere della malattia di Alzheimer, significativamente correlata con la sindrome. Chi raccontava segnalava con grande sconforto le prime esperienze di questo genere, non tanto perché il decorso della malattia avrebbe potuto essere cambiato, ma perché la persona in questione veniva massacrata da richieste ormai impossibili per lei. Un disturbo comportamentale dovuto al progredire di una malattia può essere frainteso nel quadro di una disabilità intellettiva; possono disorientare anche l’età precoce di esordio, l’aspetto e il comportamento da “eterni ragazzi”. La non consapevolezza della malattia aumenta lo stress della persona e di chi le è vicino, soprattutto delle famiglie, creando circoli viziosi molto negativi. Anche un disturbo psichiatrico come la depressione può rimanere sotto traccia rischiando di compromettere seriamente la qualità della vita e di lasciare la persona senza un adeguato supporto, anche farmacologico.

Quale prevenzione è possibile?

Già nell’invecchiamento fisiologico alcune variabili peggiorano drasticamente le condizioni di vita, coinvolgendo il contesto sociale: il professor Trabucchi (ordinario di neuropsicofarmacologia all’Università di Roma Tor Vergata, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria) sottolinea come spesso sia il “cap più del Dna” a rappresentare una vera sfida per la qualità della vita delle persone, con disabilità e non. Così come, più in generale, l’esperienza della solitudine: quanti casi di suicidi/omicidi in famiglia possono addebitarsi all’essere rimasti soli nell’affrontare situazioni tanto complicate? La mancanza di una rete pubblica e privata, sociale, familiare e amicale assume così una valenza biologica sempre più importante.

Tiziano Gomiero (responsabile Area psico-pedagogica Anffas Trentino e progetto DAD) ha approfondito ancora di più la questione, sottolineando l’importanza di alcuni fattori potenzialmente modificabili dinnanzi allo sviluppo della demenza durante la vita: se non si può modificare il 65% di quei fattori (specie genetici) perché propri di ciascun individuo, il restante 35% è dato però dalla somma di una serie di aspetti sui quali possiamo esercitare, almeno in parte, un controllo. I più conosciuti sono obesità, fumo, ipertensione, inattività fisica, isolamento sociale e diabete. Il restante 17% è invece dato dalla somma di soli due fattori: una minore educazione in giovane età e l’insorgere di un’ipoacusia. Se il fattore educativo solleva una questione impossibile da approfondire in questa sede, quello legato all’ipoacusia è invece un dato interessante e forse sottovalutato: la sordità rende infatti più facile l’isolamento e la depressione; prevenirla per quanto possibile, anche con una protesi, significa non perdere un buon contatto con la persona.

Il dottor Gomiero ha quindi ricordato come il primo modo di prendersi cura di una persona sia di osservarla: per questo è necessario non trascurare una valutazione dello stato di salute cognitiva a cominciare dai 40 anni, utilizzandola come punto di riferimento per le successive valutazioni. Stimolare la persona a prendere coscienza dei suoi cambiamenti e comprenderli significa aiutarla a non ritirarsi e a non cedere all’apatia, una delle prime manifestazioni di disturbo comportamentale. Coinvolgere e sostenere in questo processo l’ambiente di riferimento del singolo, anche attraverso la presenza di nuclei diagnostici di riferimento e l’appoggio di servizi in grado di supportare l’individuo, possono contribuire fortemente alla permanenza della persona nella comunità di origine il più a lungo possibile.

Se i servizi non si adeguano in fretta ai mutati bisogni delle persone diventano essi stessi produttori di malessere

Cambiare prospettiva nei servizi destinati alle persone con disabilità

Se la persona con disabilità è già accolta in strutture residenziali, uno dei problemi può essere quello della difficoltà di prendersene cura in presenza di un declino cognitivo importante. Purtroppo le risposte in questi casi non sono sempre all’altezza: come ha sottolineato Gomiero, «se i servizi non cambiano e non si adeguano in fretta ai bisogni mutati delle persone, in realtà producono un effetto paradosso rischiando di accelerarne il declino. Diventano essi stessi produttori di malessere, aumentando la pressione su famiglie, fornitori di servizi e personale, creando costi addizionali e mandando in crisi la programmazione di molte organizzazioni. Il che incoraggia lo spostamento delle persone anziane in contesti più restrittivi». Gomiero porta esempi concreti e inaspettati: la logica dell’efficienza è spesso controproducente e costosa. Come sostenere un livello di qualità di vita possibile, conciliando chi perde memoria e concezione del tempo con procedure di rigide routine? Come rispettare pienamente l’umanità delle persone dove alcune necessità fisiologiche, come il bere, si trasformano in procedure di idratazione? O dove mangiare si traduce facilmente nel dover condividere il pasto – sempre – con almeno altre venti persone, in orari che, a volte, poco si adattano ai bisogni della persona?

«Una condizione come la demenza non cancella la vita», afferma Trabucchi. Nonostante la perdita di memoria, non si perde umanità; il sentire come si viene trattati è sempre presente, la percezione di un’atmosfera positiva o negativa continua a incidere fortemente sul comportamento del singolo. Si può cominciare ad aver cura delle persone cominciando a creare ambienti e procedure ad hoc: sistemare dei separé nella stanza da pranzo e dare la possibilità di orari differenti può rendere il singolo più collaborativo, psicologicamente meno affaticato. Il passaggio di una soglia può essere percepito come un vero e proprio ostacolo per la persona affetta da un declino cognitivo e va quindi eliminato, così come vanno resi ben visibili porte e cartelli informativi; la colorazione diversa degli ambienti favorisce l’orientamento: potersi muovere senza pericolo e in relativa autonomia non fa che prevenire l’insorgere di nuovi disturbi comportamentali, permettendo inoltre di non dover rinunciare a muoversi in un ambiente familiare.

Saranno sempre più numerose le persone anziane e, di conseguenza, aumenteranno le malattie neurologiche gravemente invalidanti. Come sottolineato da Trabucchi, non possiamo abbandonarci alla paura, allontanando il problema e affrontandolo solo nell’emergenza: la paura va riconosciuta e accompagnata. Alcune esperienze mostrano come sia possibile prendersi realmente cura delle persone che riescono a continuare a essere membri attivi delle loro realtà. Nel rispetto di quel progetto di vita sul quale si deve fondare, per tempo, tutta l’attenzione e la cura necessarie per sostenere la persona con disabilità.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.145, 2019

Sommario

Editoriale
Preziosi punti di vista di Cristina Tersigni

Focus: Disabilità e terza età
Storie di cui fare tesoro di Cristina Tersigni
Longevità nella disabilità di Cristina Tersigni
La casa-famiglia e l'età che avanza di Cristina Tersigni
Un anticipo di vecchiaia di Giovanni Grossi

Intervista
La curiosità di raccontare il mondo di Giulia Galeotti

Testimonianze
Storia di una promessa mantenuta di A.A.

Dall'archivio
Il mio amico Carlo di Beatrice (Trixi) Pezzoli

Associazioni
Una Piazzetta per chi diventa anziano di Annalisa Zovatti

Fede e Luce
Il pittore che aveva capito tutto di Giulia Galeotti

Spettacoli
Nuova ricetta a MasterChef di Maria Novella Pulieri

Rubriche
Dialogo Aperto n. 145
Vita Fede e Luce n. 145

Libri
Faccio salti altissimi di Iacopo Melio
Il mare non serve a niente di La Bigotta e Michele Rossi
Isacco, il figlio imperfetto di Gianni Marmorini
A good and perfect gift di Amy Julia Becker

Diari
Non ho paura perché sono l'amica del cuore di Sara di Benedetta Mattei
Io vado poco a teatro di Giovanni Grossi

Bastano 2€ al mese per sostenere Ombre e Luci. Dona subito.


Longevità nella disabilità ultima modifica: 2019-01-27T13:29:17+00:00 da Cristina Tersigni

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.