Ciao, vuoi presentarti?
Sono Cristina, ho quasi 37 anni, sono nata da una coppia molto in gamba ed è questo che mi ha salvato. Vivo in Valtellina e sono ausiliaria di cucina in una scuola materna. Tre anni fa mi sono consacrata nell’Ordo Virginum nella diocesi di Como, insieme ad un’altra ragazza che si chiama Anna. Vivo in famiglia con mamma, papà e mio fratello; mia sorella è sposata ed ha due figlie bellissime, Ines di 3 anni e Martina di 8. Abbiamo un cane che si chiama Squot, viene dall’Olanda ed è di mio fratello…ma io ne vorrei uno tutto per me.

Quale sono gli impegni di una persona consacrata nell’Ordo Virginum?
Sono gli impegni di un qualsiasi cristiano credente, non è che cambia poi tanto… cambia il cuore di una persona, non la sua vita. Sono io che sono cambiata, il mio cuore, non la mia vita.
Continuo a fare il mio lavoro, ho un contratto part-time di un’ora al giorno. Da poco sono tornata dalla Sardegna per un convegno sulle persone Down. C’erano genitori, insegnanti di sostegno e operatori sociali. È stata una bellissima esperienza.
Per l’Anfass avvicino i genitori di bambini piccoli della Valtellina e quando i signori parroci mi chiamano, do la mia testimonianza nei corsi di preparazione al matrimonio.
Faccio teatro: non so se conoscete il Playback Theatre. In scena vanno le emozioni, le sensazioni, le storie vere, le gioie i dolori quello che il pubblico sente, con delle forme speciali, particolari che i nostri giovani attori mettono in scena al momento. È tutta improvvisazione.
L’ho fatto da poco su una base musicale fatta da un regista molto bravo. Facciamo queste performance in occasione di eventi particolari che riguardano il mondo dell’handicap.
Con un’altra compagnia di psicologi e psico-pedagogisti invece l’unica disabile sono io. Disabile è una parola grossa… meglio diversamente abile.

Cosa racconti ai genitori quanto li incontri? Di cosa parli?
Io parlo di quello che vivo, della mia esperienza, di quello che sono e quello che ero e di quello che voglio diventare…è semplice. Perché una persona non vive di solo presente, ma vive anche del suo passato e di futuro, dei suoi sogni, delle sue aspirazioni, desideri.

Quali sono le domande che i genitori ti rivolgono più spesso?
Cercano le cose che a loro servono di più. Se c’è, per esempio, di mezzo un’adolescente mi chiedono della mia adole-
scenza, se c’è un bambino piccolo, della mia infanzia.

Che cosa ti ha spinto a chiedere di consacrarti?
L’amore, semplicemente l’amore. L’Amore in persona, Cristo, Figlio di Dio, ci tengo a specificarlo, mi ha detto: “È giunta l’ora che tu mi segua, che diventi qualcosa nelle mie mani, che io possa plasmare a mio modo”. Io ho detto: “non so cosa tu abbia mente, ma mi fido e vengo”.

Chi ti ha parlato di questa forma di consacrazione?
Nessuno mi ha informato di questa possibilità. Anche perché all’inizio pensavo di dovermi sposare con un uomo. Poi ho capito che l’Amore era molto più forte e che era quello che volevo.
Allora mi sono chiesta: mi devo fare suora? Ma non era neanche quello… non mi si chiedeva di entrare in convento, di indossare un abito, di avere una struttura alle spalle che mi coprisse una volta sopraggiunta l’anzianità. E allora cosa dovevo fare?
È stato un ritiro con la mia parrocchia ad Assisi che mi ha chiarito le idee attraverso San Francesco e Santa Chiara.

Per quanto tempo sei stata in Africa?
Ho raggiunto mia zia suora che è lì da 25 anni varie volte: una prima volta un mese e mezzo ed un’altra quasi 5 mesi rientrando sola con l’assistenza.

Ha influito sulla vocazione questo soggiorno?
Moltissimo. Questi bagni di povertà che ti fanno sentire fortunata e comunque una persona che deve ad un certo punto della sua vita chiedersi: ma io cosa sto a fare al mondo? E sono al mondo per essere cosa? Quando sei andata dal vescovo per chiedere di essere consacrata cosa hai dovuto fare?
Ho scritto una lettera, perché si scrive una lettera quando ci si sente pronti. Poi abbiamo avuto un colloquio.

Cristina, qual è il tuo più grande desiderio per il futuro?
Ne avrei tanti, forse troppi… mi piacerebbe tantissimo tagliare i ponti con l’Italia e andare in terra di missioni, ma non ci riuscirei del tutto …sono nata qui, vivo qui e c’è molto da fare anche qui! Vorrei essere quella che sono, vorrei fare quello che faccio, all’interno della Chiesa.
Questo è importante.

Post-scriptum di Marilena, la mamma di Cristina

A molti può venire in mente che Cristina abbia raggiunto questa decisione per via di una mamma un po’ bigotta che la portava solo in chiesa; invece ha avuto una mamma miscredente!

Cristina ha avuto i primi desideri di consacrazione nel ’91 al primo rientro dall’Africa; all’inizio io per prima l’ho abbastanza sottovalutata. Abbiamo preso tempo per capire anche perché lei parlava di una cosa talmente profonda che sembrava essere un innamoramento che, così come era venuto, poteva passare.

Tornò in Africa quattro volte e quando è rimasta giù diversi mesi, mia sorella suora, vivendo con lei a stretto contatto, si è resa conto che Cristina aveva sì la sindrome di Down con le sue difficoltà innegabili ma, dal punto di vista intellettivo, affettivo e di comprensione di quello che voleva fare, era una persona pienamente in grado di intendere e di volere. Mi ha perciò richiamato al mio dovere di aiutare Cristina.

Con lei cercammo per lunghi anni delle realtà di consacrazione laiche. Però non tornava mai soddisfatta perché c’erano persone troppo grandi che la vedevano come una piccola bambina da proteggere facendo domande di una semplicità veramente avvilente. Quando sentiva dire: “ma che brava bambina che sei…” a 25, 26 anni, mi diceva che non poteva condividere un’esperienza del genere con persone che le si rivolgevano così. E mi sono un po’ demoralizzata.

Inizialmente ho anche pensato che fosse diventata matta. Noi non l’abbiamo mai spronata a frequentare la chiesa.

La nostra preghiera è sempre stata molto spontanea e casalinga. Anche se ho una sorella suora, noi non siamo stati mai una famiglia praticante.

Poi ho tirato fuori tutta la grinta! Non potevo sopportare l’idea di non farle fare l’unica cosa che poteva fare come tutti, mentre altre cose le doveva fare con i suoi limiti. Mi sono resa conta che, solo per avere la sindrome di Down, veniva considerata come una persona di quarta categoria ed invece l’unica cosa che mia figlia poteva fare era far valere le sue capacità. Non importa che siano tante o poche, la sua capacità di capire cosa vuol fare e, soprattutto, la sua preparazione spirituale non era diversa da quella di un’altra persona.

Così seguii il consiglio di mia sorella che mi suggerì di metterla in condizione di parlare lei in prima persona; di saper dimostrare da sola quel lo che sapeva dire, fare, sentire.

La preparazione, da un iniziale periodo previsto di due tre anni, divenne di quattro e poi cinque. L’ansia per l’attesa cominciava a metterla in condizioni psicologiche difficili, perché non sembrava mai concretizzarsi l’obiettivo. Finché a marzo del 2006 arrivò il permesso tanto atteso.

Spero così che si capisca meglio la sua autonomia di decisione! Lei dice sempre che quella che io chiamo fiducia, è fede, solo che io non lo sapevo. Non ci sono persone atee ma persone credenti che non sanno di esserlo. Dice sempre che Gesù prima o poi aspetta tutti da qualche parte; anch’io sono arrivata tardi ma è lo straordinario risul tato che Cristina ha operato in sua madre.

Non avete avuto timore di mandarla in Africa?
La prima volta decise di andare perché la nonna, che era lì ad aiutare mia sorella, era sola e aveva bisogno di compagnia. Le facemmo meno regali quel Natale, come ci aveva chiesto, e le comprammo un biglietto per l’Africa. I familiari ci presero per matti, ma lei era convinta, aveva 19 anni, aveva finito la scuola e non aveva ancora cominciato a lavorare.

È stata coraggiosa a partire ma l’abbiamo sempre spronata ad allontanarsi da noi fin da piccola pur sapendo di dover soffrire un po’ perché lei riuscisse a farlo. Già ad 8 anni la mandai in colonia lontana da casa per due settimane. Abbiamo sempre pensato che doveva essere aiutata a staccarsi da noi genitori gradatamente, cosa che invece molte mamme fanno fatica a fare. Abbiamo fatto tutto questo senza l’aiuto di psicologi o psico-pedagogisti che non erano alla nostra portata negli anni ‘70. Certo, siamo andati avanti con timori e incertezze ma cercando di fare solo cose che potessero servirle.
Adesso mi sta sgomitando perché non vuole che io dica quanto fa oltre quello che vi ha raccontato. Si impegna molto nella preghiera che fa con una regolarità ammirevole e con gran capacità di saperla indirizzare per chi ha davvero bisogno. Quando siamo andate dal Papa lei gli ha raccomandato i giovani e gli ammalati. Le sottolineai stupidamente che mancavano gli anziani e i non ammalati ma lei, nei giovani e negli ammalati, racchiude tutti quelli che hanno bisogno del le sue preghiere…un anziano che sta bene di cosa ha bisogno?

Altri suoi impegni sono quelli di aiuto catechista e di testimone in incontri con i giovani nelle scuole medie superiori: considero questa cosa molto positiva perché cambiare l’etica non significa costringere le persone a ragionare in un certo modo ma farle ragionare quasi senza che se ne accorgano. Quando gli insegnanti di religione la coinvolgono nelle lezioni lei è davvero in grado di far riflettere ragazzi delle medie e delle superiori sui valori della vita e sui talenti che abbiamo e come farli fruttare. All’inizio sembrano chiedersi cosa abbia lei da insegnare ma poi escono dalla classe a testa bassa e ringraziano tornando successivamente sugli argomenti affrontati.

a cura della Redazione, 2009

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.106

Sommario

Editoriale

Il coraggio di osare di Mariangela Bertolini

Dossier: Il coraggio di osare

Piccoli passi in sicurezza di Comunità Tau di Arcene
Clown “Cicciola” di C. Tersigni
Dimitri, il teatro fra sogno e progettualità di T. Guerrisi
Vivere i miei limiti nella verità di A. e M. C.Taurine
Nomen omen di Redazione
Eppure splende il sole di N.B.
Sotto i riflettori, sempre senza protesi Intervista a Cerrie Burnell di L. e M. S. Bertolini

Altri articoli

Sotto l’ombrellone, per grandi e piccini di T. Mazzarotto, A. Floris
Coralmente. Le voci dell’anima di L.Nardini
Ritardo mentale nelle malattie genetiche: la ricerca di una possibile cura
Rosa di Pennablù

Rubriche

Dialogo Aperto

Libri

Il resto (parziale) della storia, C.De Angelis e S. Martello
Amore caro, C. Sereni
Quel puntino un po’ sfrangiato, G. Martino

Nomen Omen, la storia di Cristina Acquistapace ultima modifica: 2009-06-10T10:34:11+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.