Pochi giorni fa mi raccontavano di una ricerca fatta in qualche università inglese, secondo cui ridere fa bene alla salute… C’è chi va alla ricerca di una prova scientifica, certo importante, di quanto bene faccia una bella risata, e c’è chi ne è così certo da farne uno scopo concreto del proprio mettersi a servizio degli altri.

È da anni che sentiamo parlare di clown o comico-terapia. Da quando un medico americano Patch Adams -non so se primo nel suo genereha intuito che un approccio meno formale e ingessato è capace di riportare il sorriso in luoghi dove la sofferenza spesso fa da padrona.

Diversi giovani e meno giovani scelgono questa strada di servizio e hanno seguito un corso di formazione “alla ricerca del proprio clown”.

Giulia è uno di questi, molto speciale.

Giulia ha 24 anni, vive a Napoli con i suoi genitori, segue un corso universitario in Scienze Politiche a sua misura ed ha la sindrome di Down.

Mi raccontano, lei e i suoi genitori, la sua inusuale esperienza. Finita la scuola superiore, pur con l’obiettivo di proseguire quanto possibile gli studi, le sono venute a mancare tutte le occasioni di incontro e scambio, confronto e scontro che una classe offre. Occasioni capaci di coinvolgere una ragazza in tutto il suo essere, non solo nella sua parte cognitiva, già molto stimolata, ma anche in quella emotiva ed affettiva. Nel frattempo è anche divenuta zia: scopre che i bambini le piacciono molto e la loro presenza la pone inevitabilmente tra i grandi della famiglia, lei che fino a quel momento era stata la piccola. Con loro si diverte e trova nuovi obiettivi da raggiungere e potenzialità da approfondire; con l’aiuto di sua sorella scopre la clown-terapia ed uno dei gruppi che forma gli aspiranti clown e che organizza le attività a Napoli. Superata la prima selezione e concluso il corso di formazione necessario, Giulia sceglie il suo alter ego, Clown Cicciola. Con un camice pieno di sorprese, un cappello storto su una parrucca colorata e soprattutto il suo bel naso rosso, comincia le attività di animazione: in corsia, all’ospedale con altri due colleghi più anziani, o per animare feste pubbliche con tutto il gruppo.

Ci sono poi le riunioni organizzative e di formazione continua: scoprire il proprio clown non è un’attività finita o scontata. O cosa solo da improvvisare: ci sono le gag da preparare come quella delle quattro sedie che Giulia mi descrive. Ogni sedia ha un potere speciale, fare il solletico, prudere, far svenire… e l’ignaro clown che ci capita sa come reagire quando si siede su ognuna di esse, scatenando belle risate in chi assiste allo spettacolo.

Chi decide di dedicarsi ad un volontariato come questo, duro in molte occasioni, deve necessariamente prepararsi ad affrontare la sofferenza, i limiti, la debolezza, le contraddizioni che prima abitano in lui o lei e poi nelle persone che incontra. Come leggo tra le informazioni che descrivono i corsi di formazione, durante il percorso alla ricerca del proprio clown vengono sottolineati questi lati di sé, valorizzati ed estremizzati per trasformarli in un “dono comico”. Prendiamo così seriamente le nostre debolezze da volerle attentamente camuffare o ignorare illudendoci di riuscirci: il clown smaschera se stesso non volendo far ridere di sé e proprio allora ci riesce.

Certo un percorso profondo e non così facile, soprattutto per Giulia. Uno degli incontri più difficili per lei è stato quando il suo gruppo si è recato ad animare un pomeriggio in un istituto per persone gravemente handicappate. Giulia è rimasta impacciata per un po’ ma poi, sistemato il naso rosso, clown Cicciola si è finalmente lanciata nella mischia superando le sue esitazioni.

Il suo gruppo, le persone con cui si è formata, è molto importante: sente davvero di essere una di loro, trattata alla pari, in un contesto dove il suo talento e le sue difficoltà sono accolti e fatti fruttare al meglio, come per ognuno dei partecipanti.

Altre situazioni che Giulia sperimenta, come quella organizzata dall AIPD per il tempo libero, è vissuta in un modo diverso e ben distinto. Anche qui è integrata, coinvolta e stimolata in un gruppo di pari. Come clown, però, Giulia prova a ribaltare il ruolo associato a chi è portatore della sindrome di Down che lo segna come qualcuno che ha solo bisogno di aiuto e poco può dare.

Giulia e i suoi colleghi clown hanno un proposito importante, anche se non sempre così immediato e profondamente consapevole: continuare a cercare e ritrovare la gioia che è in loro e a farne dono a chi incontrano.

Cristina Tersigni, 2009

“Scopriamoci clown”

È un’associazione di volontariato che opera a Napoli dal 2004, con prevalenza nel reparto pediatrico dell’ospedale “A.Cardarelli” ma anche nei centri di riabilitazione, nelle comunità per anziani, nelle case-famiglia e più in generale nelle più complesse realtà dell’emarginazione, implementando la comico terapia quale metodo sperimentato con successo dal medico clown “Patch Adams”.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.106

Sommario

Editoriale

Il coraggio di osare di Mariangela Bertolini

Dossier: Il coraggio di osare

Piccoli passi in sicurezza di Comunità Tau di Arcene
Clown “Cicciola” di C. Tersigni
Dimitri, il teatro fra sogno e progettualità di T. Guerrisi
Vivere i miei limiti nella verità di A. e M. C.Taurine
Nomen omen di Redazione
Eppure splende il sole di N.B.
Sotto i riflettori, sempre senza protesi Intervista a Cerrie Burnell di L. e M. S. Bertolini

Altri articoli

Sotto l’ombrellone, per grandi e piccini di T. Mazzarotto, A. Floris
Coralmente. Le voci dell’anima di L.Nardini
Ritardo mentale nelle malattie genetiche: la ricerca di una possibile cura
Rosa di Pennablù

Rubriche

Dialogo Aperto

Libri

Il resto (parziale) della storia, C.De Angelis e S. Martello
Amore caro, C. Sereni
Quel puntino un po’ sfrangiato, G. Martino

Giulia, in arte Clown “Cicciola” ultima modifica: 2009-06-10T11:06:56+00:00 da Cristina Tersigni

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