Shakespeare, con la sua capacità senza tempo di raccontare e descrivere la grande vastità dei sentimenti e delle emozioni umane, ha rappresentato per Bob Smith la chiave di volta per riscrivere la trama della sua esistenza. È infatti riuscito, Shakespeare, a “parlare” a Bob come nessuno aveva fatto nella sua vita: riconoscendo e dando dignità ai contrapposti sentimenti di un giovane estremamente legato, nel bene e nel male, alla sua famiglia — una mamma sempre sull’orlo della depressione, un papà per lui troppo assente, una amatissima sorella, Carolyn, gravemente handicappata e dei nonni, particolarmente importanti e affettuosi, ma poco adatti, a volte, alle esigenze di un bambino.

L’autore, adesso sessantenne, ricorda la sua infanzia e giovinezza attraverso la sua bella e profonda esperienza di scambio che tiene con gruppi di persone anziane intorno allo studio dei drammi shakespeariani. Persone spesso ricoverate in case di cura o comunque sole, che riescono, attraverso le trame dei vari Amleto, Ofelia, Romeo e Giulietta, ad essere coinvolte anima e cuore ritrovandovi e rileggendovi le vicende emotive vissute nella loro vita.

La cosa che più mi ha colpito in questo libro, estremamente umano e vero, è il tono mai pietistico né rancoroso con cui l’autore americano racconta esperienze che devono averlo certamente segnato nel profondo ma che è stato capace di accogliere, comprendere e soprattutto utilizzare per aiutare altri, come poche persone sono in grado di fare.

di Cristina Tersigni, 2004

A volte papà e mamma uscivano, e Carolyn e io restavamo con l’arpia e il ciccione che mi faceva paura. Una notte in cui eravamo nella nostra torrida stanza con la porta chiusa perché loro due non sentissero piangere Carolyn, e la finestra chiusa perché non la sentissero i vicini, Carolyn mi guardò. Ero vicino alla sua culla a farle delle smorfie. Improvvisamente lei smise di piangere e mi guardò per molto, molto tempo.. Ero stupito e anche un pò spaventato. Non l’avevo mai vista guardare nessuno, non lo faceva mai! Invece adesso mi guardava, e non piangeva. Poi successe una cosa che era ancora più bella del calendario religioso dell’impresa delle pompe funebri di George Pistnev: mia sorella mi sorrise! Smise di piangere e lì, in quella stanzetta afosa da cui tutto era escluso il mondo che non doveva sentire, il tramonto della Florida che bruciava attraverso la fessura ai lati dei vecchi scuri della finestra… niente taxisti che guardassero pateticamente mia madre, niente ciccioni che ti prendessero in giro, niente persone cattive solo io e la mia sorellina. Le presi la mano e stringemmo un patto, per sempre: anche se tutti quanti fossero andati via e io nel frattempo fossi diventato grande, noi due mai mai mai ci saremmo separati.

Da: “Il ragazzo che amava Shakespeare”

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.86

Sommario

Editoriale

Un'Italia nascosta di M. Bertolini

Concorso

La chiesa è per tutti?

Non cercare il sale nella minestra di Tea Cabras
L’umana resistenza di Silvia Gusmano
La domenica con i disabili di V. Rossani

Articoli

Perché esiste la disabilità? di J. Vanier
Lo sguardo sulle persone diverse da noi di Redazione
Amministratore di Sostegno di S. Artero
Parla il Giudice Tutelare Intervista di Cristina Tersigni
Lavorare? Sì, grazie! di L. Nardini
Un orribile meraviglioso campeggio di O. Gurevich
Il dente del giudizio e il servizio civile di S. Gusmano
Nuovo istituto di riabilitazione nel Sud di V. Giannulo

Rubriche

Dialogo aperto

Libri

Il ragazzo che amava Shakespeare, B. Smith
In autobus con mia sorella, R. Simon
Storia dell’aborto, G. Galeotti

Il ragazzo che amava Shakespeare – Recensione ultima modifica: 2004-06-11T16:04:53+00:00 da Cristina Tersigni

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