Sono le otto e mezza. Da più di un’ora l’unico rumore che si sente è il ciabattare di qualche infermiera; l’intero reparto sonnecchia silenzioso, il mio turno è finito e devo tornare a casa. La saluto, la bacio, mi metto la giacca, prendo il casco e mi risiedo. Non riesco ad andarmene. Continuo a ripetermi che sta benissimo, che le hanno solo tolto un dente del giudizio, che non avrà bisogno di andare in bagno o di mangiare fino al mio ritorno, la mattina seguente. Continuo a ripetermi che non è certo la prima volta che la lascio sola in una stanza, sulla sua carrozzina, senza nulla da fare. Al contrario il suo caratteraccio di scorpione ha fatto si che in tante occasioni lo abbia meritato. Ma oggi è diverso. Non si è rifiutata di andare a scuola o di partecipare al laboratorio. Non ha tirato i capelli a nessuno, non si è nascosta in lavanderia. Oggi il labbruccio sporge perché è gonfio, non perché sta cercando di commuovermi dopo averne combinata un’altra delle sue. Oggi non è a casa, nella sua stanzetta, con Battisti a tutto volume e le foto dei tanti amati appese alle pareti a tenerle compagnia. E poi potrebbe venirle sete e le infermiere non sanno darle da bere, le bagnerebbero il pigiama. Non ne ha uno di ricambio…Vorrei almeno metterla a letto, se le venisse sonno potrei andarmene tranquilla, ma ha dormito, sotto l’effetto dell’anestesia, tutto il giorno; probabilmente resterà così, ferma sotto le luci al neon, per gran parte della notte.

Una tristezza enorme mi assale, richiamo alla mente gli ultimi litigi, le ultime arrabbiature per scacciarla, ma è inutile. Davanti agli occhi ho solo l’immagine del primario che si rifiuta di operarla perché, pur essendo capace di intendere e volere, non è in grado di firmare o parlare per dare la sua autorizzazione.

Davanti agli occhi cominciano a scorrere i tanti momenti importanti, belli, intensi che durante questi mesi di Servizio Civile ho vissuto con lei e grazie a lei, l’inizio facile della nostra amicizia, la condivisione difficile di una quotidianità che include i pomeriggi dal parrucchiere e le notti in cui ai grandi interrogativi della vita si risponde solo con lacrime e urla di dolore.. Penso all’intimità che abbiamo oggi, alla preziosa autentica intimità che ha sostituito la necessaria coesistenza dei primi mesi. Penso a quante volte nelle ultime settimane il mio cuore agitato ha trovato conforto in quella stanza ormai familiare, la stanza di Lela.

Per la prima volta da quando la conosco provo un odioso senso di impotenza e una compassione che con la pena non ha niente a che fare, che può nascere solo da grande affetto. Con un po’ di presunzione credo di avvertire la sua stessa frustrazione davanti alla fretta e all’ottuso imbarazzo del mondo normale, davanti a un dentista terrorizzato da cavilli burocratici e “eventuali ripercussioni”, davanti a un’infermiera che vuole dimenticare i tuoi 23 anni e trattarti da bimbetta.

Mi vengono gli occhi lucidi, allora si, mi alzo svelta, dico “buonanotte” ed esco. Scendendo le scale piango un po’ e mi stupisco di me stessa. Più tardi, nel mio letto, non riesco a prendere sonno, mi chiedo cosa stia facendo e mi alzo varie volte per rimettere la sveglia: voglio essere da lei il prima possibile…

È passato un anno dall’estrazione del dente del giudizio, tre stagioni dal mio “congedo” e il valore profondo dell’esperienza come “obiettrice” oggi posso coglierlo in ciò che ad essa è seguito, in ciò che è continuato, che ha resistito, che è cresciuto, nelle persone e negli affetti divenuti parte della mia vita. L’eredità che rimane all’ex volontaria è l’aspetto più significativo e imprevedibile del Servizio Civile. Per arrivare al bilancio finale però, la strada è lunga… Sulla linea di partenza, e ben prima di essa, un vasto panorama di aspettative, dubbi, grandi certezze.

Le motivazioni che spingono alcune ragazze (tra i 18 e i 26 anni) a fare questa scelta, sono numerose. Quelle di carattere etico occupano solitamente il primo posto (l’autodefinizione di “obiettrice” non è casuale), ma non sono le uniche e, aggiungerei, da sole non costituirebbero una spinta sufficiente. Una volontaria, che lavora 25 ore alla settimana, percepisce uno stipendio di circa 430 €. Se frequenta un certo tipo di università (psicologia, scienze della formazione, sociologia…) il SC può valerle come tirocinio o essere per lei un ottimo banco di prova. Esso significa punti in tutti i concorsi pubblici e spesso una proposta di lavoro da parte dell’Ente presso il quale si è lavorato.

Ai vantaggi del contratto, vanno aggiunti poi l’orgoglio di continuare la preziosa tradizione del Servizio Civile in Italia, e il piacere di sorprendere su tanti volti l’espressione incredula e un pò canzonatoria di chi sta pensando: “Chi te lo fa fare?”

Silvia Gusmano, 2004

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.86

Sommario

Editoriale

Un'Italia nascosta di M. Bertolini

Concorso

La chiesa è per tutti?

Non cercare il sale nella minestra di Tea Cabras
L’umana resistenza di Silvia Gusmano
La domenica con i disabili di V. Rossani

Articoli

Perché esiste la disabilità? di J. Vanier
Lo sguardo sulle persone diverse da noi di Redazione
Amministratore di Sostegno di S. Artero
Parla il Giudice Tutelare Intervista di Cristina Tersigni
Lavorare? Sì, grazie! di L. Nardini
Un orribile meraviglioso campeggio di O. Gurevich
Il dente del giudizio e il servizio civile di S. Gusmano
Nuovo istituto di riabilitazione nel Sud di V. Giannulo

Rubriche

Dialogo aperto

Libri

Il ragazzo che amava Shakespeare, B. Smith
In autobus con mia sorella, R. Simon
Storia dell’aborto, G. Galeotti

Il dente del giudizio e il Servizio Civile Volontario ultima modifica: 2004-06-11T16:50:36+00:00 da Silvia Gusmano

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