Il mio modo di intendere Fede e Luce

Ho letto più volte l’articolo di Olga Burrows Gammarelli “Amici a Fede e Luce” (Ombre e Luci n° 62) e, dopo aver a lungo riflettuto, desidero fare anch’io qualche riflessione.
Sono la mamma di Flaminia, cerebrolesa ora ventenne, che è entrata a far parte di Fede e Luce a quattro anni.
Comincio subito puntualizzando che non sono d’accordo con la distinzione schematica fatta nell’articolo sopracitato. Posso capire che può far sorridere chiamare RAGAZZI delle persone adulte (altre organizzazioni li chiamano “ammalati” e lo trovo molto più triste), per quanto riguarda però le altre due parole, GENITORI ed AMICI, sono per me termini che “normalmente nella vita quotidiana” hanno lo stesso significato che gli riconosco a Fede e Luce.

Per me si è GENITORI e basta: non ritengo di far parte di una categoria speciale solo perché ho una figlia disabile; l’unica cosa che forse ci potrebbe differenziare è che siamo molto suscettibili, sempre attenti a tutte le sfumature; siamo inoltre portati a pensare che le nostre ferite siano più profonde di quelle degli altri e che perciò abbiamo diritto a tutta una serie di attenzioni in più rispetto ai nostri simili. Dovremmo ricordarci, invece, che tutti hanno la loro croce, la nostra è solo più evidente.

Gli AMICI, per me, non sono giovani che vengono a darmi una mano e a fare amicizia con la mia famiglia, bensì sono gli AMICI di Flaminia, persone che “volontariamente”, cioè per libera scelta e per una esigenza del proprio animo, sentono il desiderio di essere amici di Flaminia; è chiaro che di riflesso sono vicini a tutta la famiglia.
Questo mio modo di intendere Fede e Luce è stato ed è ancora criticato da molti perché non è ritenuto coerente con uno dei capisaldi di Fede e Luce che è quello di sostenere le famiglie coinvolgendole totalmente.
Ora io domando se avete mai pensato alla gioia immensa che prova una famiglia con un figlio disabile bistrattato sempre dalla società e dalle istituzioni, dimenticato o peggio allontanato dalle persone che sono costrette a frequentarlo (vedi compagni di scuola, operatori dell’assistenza pubblica), a saperlo circondato da AMICI che lo coccolano, lo viziano affettuosamente, cercano di mettersi sulla sua lunghezza d’onda. Quando penso a Flaminia con i suoi AMICI la vedo esattamente come le sue sorelle “normodotate” ed è una sensazione bellissima ed appagante. A mio parere, il tipo di amicizia tra RAGAZZI ed AMICI non può affatto dipendere dalla gravità dell’handicap: renderebbe ancora più evidenti le diversità invece di cercare di dimenticarle.
Non accetto assolutamente la parola “assistenza” riferita a Fede e Luce: l’assistenza la pretendo dallo Stato che la deve fornire per Legge; agli AMICI di Flaminia chiedo solo affetto e considerazione.

Da quando Fede e Luce è entrata nella nostra vita, sono già sedici anni, abbiamo vissuto momenti bellissimi ed altri con qualche amarezza; abbiamo visto “dissolversi” letteralmente AMICI dei quali avevamo apprezzato ed ammirato la grande disponibilità verso tutti i nostri RAGAZZI. Pur rispettando le scelte di ognuno, ho provato la stessa tristezza che provo quando vedo una delle altre mie figlie tradita o incompresa dai suoi amici nei quali aveva riposto fiducia.
Se posso fare una critica ad alcuni AMICI è che spesso si avvicinano ai nostri RAGAZZI con una dedizione così grande che purtroppo, a volte, li porta ad esaurire tutte le loro risorse e perciò ad allontanarsi inesorabilmente. Se li considerassero veramente amici riuscirebbero ad avere un rapporto più equilibrato che ci risparmierebbe delle delusioni. Meglio una telefonata ogni tanto, una visita per mangiare insieme un gelato o una breve passeggiata, piuttosto che sentirsi e vedersi spessissimo e poi mai più.

Questo permetterebbe anche di essere AMICI di tutti i RAGAZZI senza impostare rapporti esclusivi che poi creano incomprensioni quando un RAGAZZO sembra avere più attenzioni degli altri.
Anche noi GENITORI, comunque, abbiamo delle colpe se gli AMICI non sono come desidereremmo; penso sia avvilente suggerire a giovani che si accostano ai nostri figli con slancio ed anche con qualche timore, come devono “lavorare”. Noi dobbiamo, sicuramente, fornire tutti i consigli e gli aiuti pratici; perché i nostri figli sono delicati e richiedono cure particolari, ma dobbiamo permettere, senza interferenze, che AMICI e RAGAZZI scoprano come costruire la loro amicizia, illuminati dal Signore che troverà il modo per indicargli la strada da percorrere.

Paola P. Ceccarini


Omaggio a Mirella

Mirella soffriva di una forma di cecità progressiva per cui sarebbe diventata sempre più cieca. Aveva una grande memoria e, quando veniva agli incontri di Fede e Luce organizzati ad Abano, nelle occasioni di Natale, Pasqua e per la festa della mamma, sapeva sempre la sua bella poesia a memoria.
La sua presenza era discreta; era sempre accompagnata dalla sua mamma e deve cera l una c’era anche l’altra. Il papà di Mirella è morto da tempo. Se la mamma di Mirella diceva una cosa, quella era verità sacrosanta, perché lo aveva detto la sua mamma.
All’ultimo incontro al quale ha partecipato, Mirella aveva pianto un po’ perché sarebbe dovuta entrare in ospedale per degli esami. Poi è andata via serena dopo aver salutato tutti dicendo: “Vi benedico tutti”! Io mi son meravigliata di quel saluto, poi ho capito che quella era l ultima volta che ci vedevamo. Quello sarebbe stato il suo addio a tutti noi. Forse quel saluto, è stato detto con una sapienza che non è di questo mondo.
Poi Mirella è entrata in ospedale e in pochi mesi un male che non perdona l’ha pian piano consumata, come il chicco di grano che muore per dar frutto.
Quando penso a Mirella, nella testa mi risuona quel: “Vi benedico tutti”! Sono quelle frasi che si dicono con un senso profetico e delle quali non capiamo subito il significato, ma che capiamo poi, quando magari, la persona non ce più.
Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti (I Cor. 1, 27).
Mirella “viveva per dar gioia” ha detto don Antonio nell’omelia, e credo che Mirella fosse uno di quei “doni speciali” che il Signore ci ha fatto.
Un augurio a tutti.
Paola Spadati

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Un fratello racconta

La mattina si sveglia alle ore sette. Mia madre gli fa mettere i vestiti in fretta; cammina veloce fino a piazza Verbano dove c e il pullman “Anni Verdi” che lo porta a scuola, nel centro sperimentale per l’Autismo. Arrivato scende giù e si dirige nella stanza dove gli insegnano tante cose: ad apparecchiare, sparecchiare, usare il computer, andare a cavallo ecc…

Durante l’anno è stato bene lì, assieme ad altra gente; questo ha contribuito! alla sua crescita individuale. Anche se non è normale, non è sua la colpa, lì gli hanno insegnato come ci si comporta in ogni situazione, almeno in parte.
Io lo vedo quando torna a casa alle 4,15 di pomeriggio, mentre accende lo stereo e canta ad alta voce, sento tutto mentre sto nella camera vicina.
Scrive sui fogli i nomi e i cognomi di chi conosce, con sotto la data del compleanno; oppure fa le parole crociate. Chiudendosi nella sua tana, quando io voglio entrare dentro mi sbatte la porta in faccia, ma se scherzo andiamo d’accordo perché non mi sento completamente grande io, ho sempre voglia di ridere e non sopporto chi mi giudica. Ognuno ha il proprio modo di fare e io rispetto ogni cosa che uno dice, anche se a volte mi fa male ammettere che gli altri hanno ragione; d’altro canto è una vita che sbaglio rinchiudendomi in me stesso.
Certe volte mi chiedo: perché la vita deve essere così crudele? Non è facile cambiare un ragazzo come lui, bisogna lottare affinché con la crescita raggiunga una sua maturità interiore. In certi casi io prego perché Dio aiuti sia me che mio fratello ed anche il resto della mia famiglia.
L’importante è accettarsi per quello che si è, e tirare avanti finché verrà il momento che tutto vada per il verso giusto.

Giovanni Grossi – Gruppo Fede e Luce “Arcipelago”

Vita Fede e Luce n. 65 ultima modifica: 1999-07-16T12:30:58+00:00 da Redazione

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