Ci ha colpito quanto scrive una mamma su “Notizie – Servizio Consulenza pedagogica – Trento – dicembre 1998”.
“Vorrei sottolineare la poca preparazione e l’imbarazzo dei medici nel comunicare ai genitori la diagnosi relativa alla sindrome di Down. Noi sapevamo a grandi linee che cosa fosse, ma non che cosa ‘fare’ e siamo stati lasciati soli. Dopo 3 giorni la dimissione dall’ospedale per me e per Vittoria, che fortunatamente non presentava altri problemi di salute, senza la minima indicazione su dove poterci rivolgere per un sostegno e un colloquio in merito, per saperne di più. Vittoria è nata all’ospedale di Niguarda a Milano…”. Per saperne di più ci siamo rivolti ad un’amica, infermiera da 20 anni al reparto di neonatologia dell’ospedale S. Camillo di Roma.

Intervista

Avevamo preparato una consistente serie di domande da farle per riuscire a capire, in base alla sua esperienza, se qualcosa è cambiato anche in questo campo (le attese, le nascite difficili, il rapporto con i genitori e tutto quanto riguarda i primi giorni di vita di un bambino diverso…). L’intervista si è trasformata in una lunga conversazione, meno organizzata forse nei contenuti, ma importante per introdurci e farci capire che cosa è accaduto negli ultimi venti o quindici anni, che cosa ha in parte trasformato anche questi momenti di vita.

O e L.: Maria Laura, puoi dirci quante sono nel tuo reparto, in media, annualmente, le nascite di bambini con difficoltà?
Nel nostro reparto nascono mediamente 2.500 bambini all’anno e su questi 5 con trisomia 21, sono cioè bambini down.
È diminuito rispetto al passato il numero dei bambini down, ma per diverse e non ancora ben chiarite ragioni, è aumentato il numero dei prematuri che oggi riescono a sopravvivere anche quando sono di cinque o sei mesi grazie agli strumenti, alle cure e all’assistenza molto più efficaci di un tempo. Naturalmente non è possibile prevedere con esattezza quanti di questi bambini più a rischio risentiranno, crescendo, della nascita prematura.
Ci sono poi i bambini che incontrano difficoltà al momento della nascita: nonostante i continui progressi possono verificarsi ancora imprevisti nel corso del parto. Anche in questi casi sono molto di più i bambini che riescono a sopravvivere riportando, a volte, nei casi di sofferenza grave e protratta nel tempo, danni cerebrali di lieve o grave entità.
In tutti questi casi i problemi da affrontare, anche da parte nostra, medici ed infermieri, sono tanti. Ce la naturale paura e preoccupazione per il bambino innanzitutto, perché a queste cose non ci si abitua mai, le cure maggiori da prodigargli e c’è l’annuncio da dare ai genitori. Non si può lasciarli soli, bisogna spiegare, aiutarli a capire e ad affrontare le prime difficoltà.

Ombre e Luci n. 65, 1999

Ombre e Luci n. 65, 1999

O e L.: E tutto questo accade come una volta? Le situazioni si ripetono identiche a quindici o venti anni fa?
No, secondo la mia esperienza, molte cose sono cambiate. I genitori sono generalmente più informati dal punto di vista medico: termini come trisomia 21, down, spasticità, danno cerebrale sono più conosciuti, certo, devono ancora essere specificati e illustrati ma non sono ignorati come un tempo. Il fatto che di queste cose si parli alla televisione, nei giornali, le ha rese più familiari, quasi meno spaventose. Un tempo gli abbandoni di bambini nati con handicap erano più frequenti. Ora i genitori, le mamme soprattutto, si sentono subito meno sole, meno “differenti”, più aiutate.

O e L.: Chi informa i genitori, nel caso di un handicap evidente del loro bambino?
Chi è più vicino a loro, chi li conosce meglio, il ginecologo o il pediatra. Ma è un fatto che per i medici è tutto più difficile in questo campo. Sono preparati a curare, a guarire, a far vivere sani. Davanti all’imprevisto non superabile, non eliminabile che porta sofferenza e grave disagio sono come frustrati, quasi disarmati. Noi infermieri siamo stati preparati per assistere, aiutare, confortare nelle difficoltà. Forse perché non siamo direttamente responsabili dal punto di vista dell’intervento medico, sentiamo meno la frustrazione e più forte il dovere, comunque, di dare una mano in ogni circostanza. Almeno… io la sento così.
Devo riconoscere però che anche io sono molto cambiata in questi anni. All’inizio ero quasi una ragazzina non avevo la maturità e l’esperienza necessaria, anche se il fatto di avere fatto parte di Fede e Luce, di avere avuto familiarità con i genitori e bambini disabili mi aiutava. Ora. dopo tanti anni sono più sicura. Sento per prima l’esigenza di avvicinarmi alle mamme e ai papà che hanno un bambino con qualche problema. Cerco di parlarne e di farli parlare, non voglio che si chiudano nel silenzio, nella paura di sapere. Non mi spaventa che piangano, tutti e due insieme, non uno di nascosto dall’altro… delle volte piango anche io con loro… non me ne vergogno. E poi cominciamo a parlare di cosa fare, come fare: certo delle difficoltà ma anche degli obiettivi da raggiungere subito, giorno per giorno e poi in futuro.

Ma sono cambiate davvero tante cose — continua Maria Laura. Una volta, chissà poi perché, le mamme con un bambino down si tenevano separate, dovevano allattare in una stanza a parte: ora, come è naturale, stanno con le altre, il piccolo down, una volta constatato che non abbia qualche problema particolare, viene messo nel nido con gli altri e non si prendono altre precauzioni. Quasi sempre vanno casa in quarta giornata, come tutti. Anche l’incubatrice, quando è necessaria, fa meno timore di un tempo: ora, al suo interno è foderata, morbida come un lettino… Tutto questo aiuta le mamme e i papà, secondo me, più di cento discorsi. Superato il primo choc, stabilito il primo contatto, i genitori vogliono sapere tutto quello che riguarda Fhandicap del figlio ed i modi per aiutarlo.

Sotto questo profilo sono aiutati molto dal pediatra, naturalmente. Però, e questa è un’altra positiva novità, i medici stessi, anche gli specialisti, non fanno più le prognosi “definitive” di un tempo nelle quali quasi ogni cosa era prevista e descritta. Si limitano a dire quello che il bambino presenta al momento della visita, a spiegare il suo problema, a dare consigli e indicazioni per come fare nei primi tempi. Indicano degli obiettivi da perseguire nel suo sviluppo in tempi prossimi e meno prossimi, piuttosto che sottolineare quello che “non è possibile per lui”. E questo è molto giusto perché con le nuove terapie, ginnastiche, educazioni all’autonomia, al linguaggio, inserimento… chi può dire al momento della nascita, cosa potrà fare o non fare capire o non capire, un bambino down o uno con un “lieve ritardo mentale” o come potrà muoversi o camminare il neonato che, forse, ha subito un più o meno lieve danno cerebrale durante il parto?

Ombre e Luci n. 65, 1999

Ombre e Luci n. 65, 1999

Questi comunque sono i problemi e i compiti dei medici. Noi infermieri stiamo vicino ai genitori in un altro modo, per parlare, per dare piccoli consigli per l’allattamento e per il bagnetto, per i piccoli guai dei primi giorni. Facciamo quello che possiamo certo, spesso seguendo semplicemente il nostro impulso e l’esperienza passata. Ma qualcosa si sta muovendo anche per questo: si stanno organizzando incontri con il personale degli altri ospedali di Roma per stabilire a livello regionale, linee comuni di comportamento nei confronti dell’accoglienza e dei rapporti tra personale sanitario, genitori e bambini. Si parlerà tanto di annuncio, come e da chi deve essere dato, di marsupio-terapia (contatto diretto del neonato con il corpo nudo della madre), di uso del videoregistratore, tutte cose che conosciamo già ma che vanno sempre più studiate.

O. e L.: E quando genitori e bambino tornano a casa, cosa accade?
Intanto noi stabiliamo con loro un appuntamento per una visita pediatrica che deve avvenire dopo un periodo di tempo stabilito, quindi i rapporti con il nostro reparto continuano. Ma in realtà sono pochi quelli che rivediamo. Per lo più, una volta tornati a casa, si rivolgono ad altri medici. Ai genitori dei bambini down diamo sempre indirizzo e telefono della “Associazione Persone Down” insieme ad un piccolo libro destinato a loro dalla stessa associazione.
Sì, conclude Maria Laura, tante cose sono cambiate, in noi e intorno a noi, fuori ma anche dentro l’ospedale. Vi sembrerà strano ma anche i bambini down oggi … nascono più svegli! È più facile nutrirli, succhiano quasi subito senza bisogno di ricorrere al cucchiaino…”.

Davanti a quest’ultima affermazione, che sembra scherzosa o paradossale, sorridiamo tutte e tre. Come è possibile?
Eppure questa osservazione ci fa riflettere: le nuove speranze nei confronti di questi bambini, il sottolineare più spesso le loro possibilità e le loro qualità, il porsi con fermezza obiettivi sempre più alti da raggiungere con loro, non guiderà anche le giovani infermiere a fare con loro di più, ad attendersi subito di più, a scorgere in loro, già nei primissimi giorni di vita, potenzialità prima impensabili?
E non dovremmo tutti noi, giovani e meno giovani, che ci occupiamo di loro e delle diverse disabilità essere sempre animati da questo stesso convincimento?

Tea Cabras e Nicole Schulthes, 1999

Intorno alla nascita ultima modifica: 1999-06-16T13:30:20+00:00 da Nicole Schulthes

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