Una giovane mamma di tre bambini, fedele lettrice di Ombre e Luci, ci ha chiesto, già da qualche tempo, di dedicare un piccolo spazio della rivista ai bambini più piccoli ed anche ai più grandicelli, perché possano condividere con i genitori la lettura dello stesso giornale e perché comincino a riflettere, in modo adeguato all’età, su problemi e situazioni forse già presenti nella loro realtà.
La richiesta ci è sembrata interessante anche se non di facile realizzazione, e per questo abbiamo riflettuto parecchio prima di prendere la nuova iniziativa.
Poi abbiamo deciso… sperando di poter dare davvero un piccolo aiuto anche in un campo così delicato!
Su questo primo numero di Ombre e Luci dell’anno ’97 e su ciascuno degli altri che seguiranno nel corso dell’anno, comparirà un racconto breve, scritto in lingua semplice, ambientato nella scuola, che avrà per protagonisti bambini veri, attuali, a volte molto diversi tra loro, come accade in una scuola integrata.
Vorremmo che tutti i figli, i nipoti, i piccoli amici dei nostri lettori leggessero queste poche pagine, illustrate da una bambina come loro, vorremmo che ne fossero interessati e che si divertissero anche un po’. Vorremmo anche che il papà, la mamma o uno dei nonni leggesse con loro e, se necessario, li aiutasse a capire il testo fino in fondo.
Sarebbe molto bello se queste piccole storie (pubblicate come un inserto facilmente staccabile al centro della rivista) venissero, per una volta, lette anche a scuola con la maestra, nel gruppo di catechismo o in altre associazioni, sotto la guida di un adulto, perché tanti piccoli amici riflettano , senza annoiarsi, sul significato e sul valore dell’integrazione.
E così per ora non ci resta che augurarvi «buona lettura», abbracciando in un unico grande abbraccio tutti i nostri futuri, numerosi, carissimi piccoli lettori, restando in attesa (ansiosa) dei commenti che vorranno mandarci.

Marta

Stavano aspettando che la maestra arrivasse. La bidella li sorvegliava dalla porta mentre, con la collega, chiacchierava di nipoti, di figli, di ricette.
— Non ho fatto i compiti di aritmetica — disse Carlo.
— Perché? chiese Danilo.
— Perché non gli andava, no? Non li fa mai! strillò Irene.
— Sta zitta tu, che fai sempre la spia e i compiti te li fa tua sorella che sta alle medie… già lo so…
— Io i compiti li faccio da sola; sei tu che li copi ogni mattina perché giochi al calcetto tutto il pomeriggio…
— Sta zitta, Irene — provò ad interromperla Marta — sennò passi un guaio!

Troppo tardi: un cancellino, carico di gesso, volò attraverso la classe e centrò in pieno la frangetta castana di Irene che lanciò un urlo.

— Ahi! c’ho il gesso negli occhi… non ci vedo più… aiuto!
— Ti sta bene, pettegola! — urlarono Carlo, Danilo e Mario
— Così impari a farti i fatti tuoi!
— Lo diciamo alla maestra — urlarono Marina, Claudia e Francesca, mentre aiutavano la compagna a spolverarsi occhi e capelli.
— Beh, che succede… siamo impazziti?

La maestra Fiorenza era sulla porta, arrabbiata con il traffico, con la bidella che non sorvegliava, con i ragazzi che bisticciavano.

«Bè, che succede… siamo impazziti?» La maestra era sulla porta , arrabbiata… con i ragazzi che bisticciano

— Voglio sapere cosa è successo… chi ha incominciato? Voglio la verità.
— Niente, maestra… — cominciò Danilo con coraggio. — Carlo mi stava dicendo una cosa e Irene s’è impicciata…

Toccò a Francesca difendere l’amica: — Maestra, sono sempre i maschi… Se uno dice una cosa, subito passano alle mani…
Gonfio di rabbia, Carlo quasi urlò: — Ma se state sempre a far dispetti, ma chi vi cerca, impiccione!

— Ha ragione Carlo! — urlarono tre o quattro maschi.
— Scemi, scemi — ribatterono Claudia, Irene, Francesca. La maestra si arrabbiò davvero.
— Basta! Voi dovete ancora imparare a stare in classe. Durante la ricreazione resterete ai vostri posti, potrete mangiare la merenda e pensare in silenzio a come ci si comporta. Niente di più.

Un OOOHHH disperato e subito smorzato si sollevò dai banchi. L’infelicità scese in venti cuori. Sguardi carichi di risentimento e rabbia si puntarono sui due responsabili che, tra tutti, erano i più tristi. Tristi e colpevoli. Rinunciare alla ricreazione è la disgrazia più grande che possa capitare nel corso di una mattina di scuola. E non si poteva fare più niente… la maestra era troppo arrabbiata.

Carlo, rosso come un gambero, fissava il suo libro; Irene piangeva in silenzio.

Claudia fece un lungo respiro e, mentre la maestra faceva l’appello, sussurrò a Marta, la sua vicina: —

«E ci voleva tanto a dirlo.» disse la maestra. «Bè. per questa volta siete perdonati… Potrete fare la ricreazione».

Marta, se glielo chiedi tu, ti dà retta… — No, no! — Marta scosse la testa spaventata — Io non ho coraggio — Dai Marta, dacci una mano; possiamo stare cinque ore in classe? Dai, fallo per me, siamo amiche, no? —

— Ma che le devo dire? Non lo vedi che è arrabbiata e c’ha pure ragione! —
— Silenzio là in fondo — gridò la maestra — e ora prendete il quaderno dei temi. —
— Meglio me sento… — sospirò Giacomo.

Ma Claudia non si arrese:
— Marta ascolta… le devi dire…
— Si accostò all’amica e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Marta la guardò, poi guardò i volti tristi dei compagni. Si decise: con gesti rapidi spinse le ruote della sua carrozzella verso la cattedra.

Il leggero cigolio fece alzare contemporaneamente diciannove teste e diciannove paia di occhi seguirono i suoi movimenti.

— Che c’è Marta? — chiese la maestra alzando gli occhi dai suoi appunti. La guardò meglio: Marta pareva preoccupata.
— Dunque, coraggio, cosa vuoi?
— Maestra — disse tutto d’un fiato
— Carlo non ha capito il problema di ieri; oggi non c’è aritmetica, ma oggi pomeriggio io ho la maestra di sostegno… Carlo può farlo con me e così… —
— … Silenzio… silenzio… silenzio…

I compagni trattenevano il respiro. La maestra sospirò.

— Sei d’accordo, Carlo?
Carlo, dapprima sorpreso, trovò poi conveniente la scappatoia.
— Beh, ci posso provare! — borbottò.
— E ci voleva tanto a dirlo? — E che bisogno c’era di litigare? Beh, per questa volta siete perdonati, impegnatevi nel tema e poi potrete fare la ricreazione. —

Un «uau» subito soffocato serpeggiò nell’aula; venti bocche sorrisero d’intesa.
Un leggero cigolio riattraversò la classe.

— E tu impara a non fare l’impicciona! — sussurrò Claudia a Irene, allungandole un leggero calcetto sotto il banco.

Pennablù, 1997

Dedicato ai bambini ultima modifica: 1997-03-26T07:50:31+00:00 da Pennablù

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