Un bambino in perpetua agitazione che fa cadere un oggetto che vi è caro. Un preadolescente che vi importuna, che vi pone per l’ennesima colta la domanda alla quale avete gia risposto negativamente. Allora esplodete — come ultimo avvertimento — con una specie di autorizzazione che vi date di ricorrere alla violenza: “La mia pazienza ha dei limiti!”. E la scena sta per degenerare in crisi e pianti.
Bisogna porre dei limiti alla pazienza? Quella di Dio non è forse infinita nei nostri confronti?
Non confondere pazienza e tolleranza
Capiamoci bene: pazienza non significa tolleranza. La tolleranza deve porre dei limiti chiari.
Il bambino, per crescere, ha bisogno di confrontarsi con uno schema. Non dimentichiamo: il primo rapporto che il bambino stabilisce con il mondo è quello dell’onnipotenza: “Urlo e vedo l’insieme della famiglia mettersi in movimento per darmi da bere!”.
Se è importante rassicurare il bambino — nei primi mesi di vita — sulla capacità del mondo a soddisfare i suoi bisogni vitali, è altrettanto importante, con l’imposizione di regole e limiti, farlo uscire dall’illusione di onnipotenza per renderlo capace di trovare il suo posto nell’universo delle relazioni e degli scambi retti dalla legge.
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I genitori che pensano che educare il bambino significa rispondere immediatamente al minimo bisogno che manifesta, commettono un grave errore!
Quanti preadolescenti, incontrati ogni giorno nel mio lavoro di prevenzione, che cadono nella delinquenza recidiva, soffrono di non aver incontrato sulla loro strada degli adulti capaci di dire “No!”, di porre un limite e di attenervisi qualunque sia l’ampiezza della loro reazione caratteriale.
Essere paziente non vuol dire essere lassista.
Il bambino e l’adolescente, hanno bisogno di fermezza. Ma tutta l’arte dell’educatore consiste nel sapergli far capire: “Ti dico di no perché ti voglio bene. Non ti rispetterei se cedessi a tutti i tuoi capricci”.
La pazienza, scuola di dolcezza
“Non con le botte, ma con la dolcezza, ne farai i tuoi amici”. Questa frase fu indirizzata da colui che riconobbe come il Buon Pastore, a Giovanni Bosco, che a nove anni, in un sogno si vedeva tentato con l’impeto a lui proprio, di far regnare l’ordine a suon di botte, in una banda di adolescenti che si insultavano e se le davano di brutto.
“La carità e la dolcezza di S. Francesco di Sales saranno la mia guida” Questa la risoluzione che Don Bosco prese all’inizio del suo sacerdozio. Da qui la sua posizione sul piano educativo. Ecco perché diciamo “salesiana” la pedagogia che egli ci ha lasciato, improntata tutta sulla dolcezza e l’affetto.
Lungo tutto il suo apostolato infatti, in quel periodo di grande tensione fra cattolici e protestanti, Francesco di Sales si mise alla scuola di Cristo, dolce e umile di cuore.
La dolcezza è coraggio senza violenza, è forza senza durezza, amore senza collera.
La collera è debolezza, l’aggressività mal gestita è debolezza, la violenza è debolezza. Al contrario la dolcezza è forza pacifica; genera pazienza e mansuetudine.
“Beati i miti!”. Scopriranno che il bambino e l’adolescente che si sarebbero ribellati vivamente di fronte all’atteggiamento di condanna e di disprezzo, non resisteranno a lungo davanti alla forza tranquilla di uno sguardo di dolcezza amorosa. La dolcezza è accoglienza, rispetto, apertura.
La pazienza è l’accoglienza dell’alterità
La pazienza tiene conto della realtà dell’altro, per forza diverso da me. Non devo reagire partendo solo dalle mie emozioni, ma in funzione dell’interesse dell’altro, accettato e rispettato nella sua diversità. Mostrare la proprio impazienza rivela spesso la propria difficoltà ad accogliere il bambino, l’adolescente, così com’è con i suoi limiti e debolezze, ma anche con i suoi talenti e le sue ricchezze. La pazienza è una virtù sempre sinonimo di umiltà in colui che la esercita.
La pazienza vuole tempo
Viviamo nell’era del “tutto e tutto subito”, dello zapping, del credito esasperato, immersi in una cultura del risultato che vogliamo immediato.
L’educazione ha bisogno di tempo. Non ci sono ricette che permettono una riuscita immediata. Il bambino, l’adolescente, hanno bisogno di tempo per capire la necessità della legge, per accettare la frustrazione, per accogliere la differenza.
La pazienza è il rifiuto di voler imporre il proprio ritmo agli altri; è l’accettazione del ritmo di crescita del bambino, dell’adolescente, un ritmo proprio di ognuno. Ecco perché la virtù della pazienza è così fondamentale nell’educatore, sia egli genitore, insegnante o animatore.
La pazienza, segno di fede, di speranza e di amore
La pazienza è così importante ai miei occhi perché è basata sulla fiducia. “Senza fiducia l’educazione è impossibile” ‘(Don Bosco). Mostrarsi paziente vuol dire al bambino: “Credo in te. Ho fiducia nella tua capacità di crescere, di capire il buon fondamento delle proibizioni”.
Essere paziente equivale ad essere portatore di speranza. “Rifiuto di lasciarti prigioniero dei tuoi comportamenti di oggi. Non risponderò alla provocazione con la provocazione, alla collera con la collera, alla violenza con la violenza. Voglio spezzare questo ciclo tremendo perché so che sei capace di cambiare”.
Essere paziente, infine, è segno di amore. “Ti amo come sei, con le tue crisi e le tue collere, e non solo come vorrei che tu fossi. Ti amo così perché è così che Dio ti ama come figlio”.
E se si perde la pazienza…
C’è spesso un abisso tra il nostro desiderio di far bene e il nostro temperamento! Esasperati dall’agitazione continua di un bambino o di un adolescente, cosa fare se l’impazienza — sorretta dalla fatica e dall’ansia — ci prende e scoppia la collera?
Innanzitutto come ama dire San Francesco di Sales — non serve a nulla colpevolizzarsi. “Queste collere, disgusti e rabbie che proviamo verso noi stessi (per essersi lasciati trasportare) tendono all’orgoglio, sono originati dall’amor proprio che si turba e si inquieta di vederci imperfetti”.
Dobbiamo noi stessi accettarci come siamo con i nostri limiti e difetti.
L’importante, quando la calma è tornata, è di parlare con il bambino. Egli può capire che anche noi adulti abbiamo dei limiti e che la nostra collera, lungi dal voler dire che non lo amiamo, è da capire come segno di attenzione che gli portiamo. Bisognerà prendere tempo con lui per parlargli in modo da evitare che si crei una barriera di incomprensione.
J.M. Petitclerc, Padre salesiano, 2007
Tratto da Ombres et Lumiére, n. 155
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.98
Sommario
Editoriale
Mamme coraggio e oltre di M. Bertolini
Articoli
Salvatore, medico pediatra, acondroplasico di S. Anastasi
Scheda informativa: Acondroplasia
La fattoria delle meraviglie di L. Nardini
La mia pazienza ha dei limiti di J. M. Peticlerc
Santa Pazienza di T. Cabras
Perché il dolore? Pensieri di F. R. Poleggi
L’abbraccio di Lorella di I. Perri
Dialogo aperto
Libri
1500 grammi di cenere, M. Aramini
Occhi d’oro, M.G. Marchesin
Nell'intimo delle madri, S. Marinopoulos
La luce e la letizia, C. Anedda
Il figlio terminale, G. Noia
Ho 12 anni faccio la cubista, M. L. Pijola
Lettera alla tua famiglia, V.Andreoli