Abbiamo recentemente pregato per i Cardinali riuniti in Conclave per la scelta del successore di Pietro, nell’ascolto dello Spirito Santo. Durante le votazioni, il Cardinale Ratzinger, come ha detto in seguito, intuendo dove l’avrebbe condotto la volontà dello Spirito Santo, pregava Dio affinché gli risparmiasse un compito tanto difficile. Ma è stato scelto ed ha accettato di seguire la volontà di Gesù. Ci sembrano quindi particolarmente indicate le riflessioni di don Antonio Torresin sul brano del vangelo di Giovanni che seguono quelle di don Marco Bove pubblicate sull’ultimo Ombre e Luci.

Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro”. Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene”. Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi»

(Gu. 21, 15-19)

Concludere con una domanda è come lasciare uno spazio aperto di libertà. Concludere con una domanda è riaprire giochi che sembravano chiusi. “Non tutto è andato come te l’aspettavi”, sembra dire Gesù, ma cosa è accaduto poi realmente è ancora tutto da vedere. Cosa rimane, quali sono le cose decisive che raccogliamo dalla storia? Trovare la domanda ultima e determinante, quella che decide della qualità della vita intera (spirituale ma nel senso globale del termine, che include la carne, le emozioni, i sentimenti e il corpo) può essere davvero importante. La domanda ultima non è se non sbaglierà più, se ora è pronto per il compito che intende affidargli, se si sente sicuro. La domanda ha certo a che vedere con il triplice rinnegamento. Lo mette al centro del dialogo, con discrezione ma in maniera inequivocabile. La domanda ha anche a che vedere con il soffrire, con il dolore e lo scacco subito. L’esperienza del fallimento è al’centro, ma potrebbe proprio per questo risucchiare Pietro e paralizzarlo. Occorre una domanda che lo apra alla vita e non che lo inchiodi alla morte.

La domanda mi libera dall’attrattiva mortale del mio stesso dolore. Pur facendo riferimento allo scarto del triplice rinnegamento Gesù non lascia che il discepolo venga ingoiato dalla preoccupazione di sé, neppure dalla propria inadeguatezza, che pure è palese e inconfutabile. Lo scarto rimane e non deve essere soppresso. Il discepolo non deve cadere nella trappola del desiderio di onnipotenza e di corrispondenza: quello che porta a pensare di dover in qualche modo corrispondere alle attese di chi ci ama per guadagnarci il suo amore, e di poterlo fare, di riuscire a essere perfetti come l’aspirazione che ci chiama alla vita sembra chiederci. Questo bisogno di essere all’altezza può diventare mortale. No. Pietro rimane un uomo, e un uomo che porta anche le proprie colpe, le proprie fragilità.

Qualcosa di grande da noi

La domanda circa l’amore è creativa, è un atto d’amore che ricrea il discepolo. Non gli dice semplicemente “ti voglio bene, malgrado quello che è accaduto”. Questo schiaccerebbe Pietro in una condizione ancora infantile. Gli chiede di amare, lo ritiene degno di una fiducia che genera in lui la capacità di amare. È importante che qualcuno ci chieda di volergli bene. Non ha senso una vita che non conosca l’amore e la compassione. Fa bene sapere che qualcuno si aspetta da noi che gli vogliamo bene, che non ci tratta da bambini, ma si aspetta qualcosa di grande da noi. La responsabilità (rispondere all’amore e alla fiducia riposta in noi), prima di essere un compito gravoso, è una grazia. La domanda che ci viene posta tira fuori da dentro di noi la risposta.

La risposta di Pietro è insieme il suo riconoscimento di non sapere tutto sull’amore di non essere padrone della relazione che pure lo tiene in vita (“tu sai tutto”) ma anche il coraggio — suscitato dalla fiducia restituitagli dal maestro — di non sottrarsi alla responsabilità, di esporsi ancora con una promessa d’amore: ti amo.

L’amore come pienezza della vita spirituale è anche la condizione del servizio di Pietro. “Pasci”. Può pascere non chi è perfetto e non conosce lo scarto. Può servire i fratelli chi conosce bene la possibilità di perdersi, la crisi della fede, la fragilità delle proprie promesse. Solo chi si è perduto conosce la forza della compassione del pastore che va in cerca di chi si perde. L’esperienza di fragilità di Pietro non è un impedimento al suo servizio ma ne rappresenta un passaggio decisivo.

Seguire e lasciarsi portare

Infine l’ultima parola è la prima: seguimi. Il compimento della vita spirituale è il suo principio, ma trasfigurato dal passaggio nella fatica della prova, nella spoliazione dell’obbedienza. È pieno di parole misteriose ma cariche di fascino, la profezia di Gesù sul futuro di Pietro. “Quando eri giovane”: c’è un momento nel quale uno pensa di essere padrone della propria vita e di poterla condurre e controllare. È bene e giusto che sia così. Ma le cose più grandi accadono quando perdiamo il controllo, perdiamo la possibilità e la volontà di dirigere e ci lasciamo condurre. Ci condurranno proprio coloro che dobbiamo servire. Il paradosso del pastore è che egli è condotto da altri, in posti dove non vuole, e proprio in questo modo li conduce, li ama e li serve. Come Gesù che mentre era trascinato contro il suo volere verso il Golgota era come non mai il pastore che salvava le sue pecore, che cerca chi è perduto condividendo la condizione dei perduti.

Così accade che nella vita spirituale ci si trovi portati in terre, in tempi, in luoghi che assolutamente erano lontanissimi da ogni previsione. Rimane la continuità del “mi ami” e del “seguimi”. Ma le modalità di amare il Signore e i fratelli, e di seguirlo sono assolutamente imprevedibili e certo contrarie — sembra dire Gesù a Pietro — alle pur legittime aspirazioni del discepolo.

È il paradosso della maturità: la piena libertà è nella piena obbedienza: l’amore è qualcosa che ci è chiesto perché ci è donato; seguire è lasciarsi portare; il compimento dei miei desideri passa attraverso la perdita di ogni aspettativa, la rinuncia ad ogni controllo sulla mia vita.

A cura di Valentina Gallo, 2005

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.90

Sommario

Editoriale

Nel mare di Assisi di V. Giannulo

Ricordo di Giovanni Paolo II

Non sembrava né prete né Papa di Nicolina di Pirro
Io e Karol di Immacolata
Visto da vicino di F. e S. Poleggi
Il regalo” di TAU comunità di Arcene
Giovanni Paolo II e le persone disabili

Il nostro Don Francesco

Abbiamo imparato che i nostri figli sono persone vere di Maria Varoli
Trent'anni pieni d'amore di G. Ferrari

Articoli

Elena e il mistero di F. Poleggi
Paradiso Infernale di M. Pensi
La domanda ultima di d. Antonio Torresin
Le chiavi di casa di R. M. Sanzini
Controvento di L. M. Loy

Ai nostri ragazzi piace il bello

Incontriamo Giotto di Anna Maria de Rino
Proposte di Laura Nardini

CONCORSO “RACCONTA LO SGUARDO”
Alla mia bambina di D. Marazzini

Rubriche

Dialogo Aperto

Libri

Il mondo delle cose senza nome, D. Rossi
Fratello Sole Sorella Down, I.Manzato e F.Bellan

«Mi vuoi bene?” – L’ultima domanda ultima modifica: 2005-06-17T15:35:31+00:00 da Valentina Gallo

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