Mi è stata chiesta una testimonianza sull’integrazione di mio figlio Gianluca a scuola e devo dire onestamente che trovo quest’argomento alquanto difficile da trattare. La testimonianza diretta della nostra esperienza non può infatti servire come “esempio”, come sono convinta non lo può nessun’altro “caso”, senza rischiare di ricadere in quello che considero il più grosso problema delle leggi che tutelano i bambini disabili. Ognuno di essi è UNICO e necessita di risposte individualizzate, di soluzioni diversificare, di poter scegliere tra sistemi diversi. L’integrazione scolastica può essere per alcuni, o per lo stesso bambino, un’opportunità di crescita meravigliosa o rivelarsi una fonte di frustrazione e regressione. Dipende molto dal tipo di Handicap, dagli insegnanti di ruolo, dagli insegnanti di sostegno, dai genitori degli altri bambini e da noi stessi. Dalla nostra capacità in primis di accettare le diversità dei nostri figli, le difficoltà quotidiani, gli sguardi insofferenti perché danno noia o perché non fanno cose come gli altri. Credo che dipenda molto da come noi riusciamo a farli risplendere nel nostro cuore e in quelli degli altri.

Gianluca ad esempio ha un ritardo considerato medio grave e adesso si esprime con suoni e innumerevoli gesti tratti da un linguaggio simbolico che gli indiani d’America usavano durante la guerra e dal LYS il linguaggio più usato dai muti.

È un bambino di una socievolezza estrema verso gli adulti, restio ai rapporti con i suoi “coetanei”, tranne qualche eccezione in quanto cosciente dei suoi limiti. Dall’età di quattro anni ha frequentato la scuola materna, prima in un piccolo asilo in Marocco dove vivevamo, poi qui a Roma cambiando varie volte insegnanti e compagni; ama andare a scuola ed essere invitato alle feste anche se poi non si mischia più di tanto agli altri.

Se dovessi però fare un bilancio adesso e avessi un’alternativa valida di scuola specializzata con piccole classi di bambini con problemi di livello simile forse la preferirei. Infatti l’integrazione scolastica è troppo sovente affidata alla buona volontà dell’insegnante di ruolo che, se non decide di fare della differenza dell’allievo un punto di forza della classe, non permetterà una vera integrazione con i compagni, potrà al massimo ottenere una buona convivenza; ed è affidata alla buona volontà del sostegno, che nella maggior parte dei casi non ha la formazione per seguire dei bambini che hanno sovente patologie molto diverse.

Un altro punto per me importante e difficile da valutare è quanto sia giusto sacrificare la possibilità di farlo vivere in un ambiente dove potrebbe avere la sua autonomia. Nel caso di nostro figlio infatti l’inserimento scolastico comporta dover essere costantemente affiancato da un adulto, vuole anche dire ore passate a giocare nei corridoi o a guardare film al posto di “lavorare”… e tanto lavoro al di fuori dalla scuole per fargli capire che deve invece seguire le stesse regole degli altri bambini.

L’integrazione dei bambini a scuola è un sistema per stimolarli a diventare più il possibile uguali a noi, ad abituarli fin da piccoli ad adattarsi ad una realtà che non è la loro ed è solo quando questa motivazione diventa un motore per la crescita serena del bambino che l’integrazione è una cosa stupenda!

Valeria Adorni Braccesi, 2005

La scuola elementare di Gianluca: è vera socializzazione? ultima modifica: 2005-09-19T15:28:29+00:00 da Valeria Adorni Braccesi

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