Si riesce nella scuola a scoprire e a sviluppare le capacità del ragazzo h. obbligandolo ad ascoltare lezioni per lui incomprensibili?
Con «quelle» Licenze Medie, quanto si prende in giro la persona?
Dopo la Terza Media, i genitori dove mandano il loro figlio?
Quante volte si torna alle scuole speciali e ci si sente dire che è troppo tardi?
Sono interrogativi drammatici, posti da un ‘insegnante tormentata in una lettera che pubblichiamo a pag. 3, con i quali apriamo il tema: quale scuola per i bambini handicappati?
In questo numero vi proponiamo due «risposte», una data a Ponte Lambro (Milano), Valtra a Neully (Parigi).

Ciro afferra il suo cestino e seguito da Giovanna si avvia lentamente, col suo passo un po’ dondolante, verso il pollaio. Apre diligentemente il cancelletto mentre le galline, abituate alla sua visita quotidiana, continuano a camminare impettite a passi brevi e svelti, rizzandosi ogni tanto, in punta di piedi. Ed ecco delle uova fresche: cinque, annidate l’una accanto all’altra nel fieno. «Brave galline» dice Ciro; sistema con calma le uova nel cestello, che consegna a Giovanna con la raccomandazione di stare attenta, e si avvia verso i suoi clienti abituali. «Anna, vuoi uova per il tuo bambino?»
«Me ne bastano due Ciro, grazie!»
«Mia gallina ha fatto cinque uova, un uovo 150 lire, 2 uova 300 lire, 4 uova 600 lire, 5 uova 750 lire».
E così Anna, per non mortificare tutto quello sforzo mentale e materiale finisce per comprare le cinque uova.

Ciro rientra in classe soddisfatto ma il suo lavoro non è ancora finito: estrae dall’armadio un quaderno e alla voce «uova» segna cinque crocette nella settimana in corso.
Un cartellone variopinto annuncia che, venerdì, dalla 15 alle 16 si potrà bere un buon «caffè»… contro il logorio della vita scolastica… In fondo al cartellone, un foglietto raccoglie le prenotazioni.
Ed ecco, alle 15 in punto, Carmine, Michele, Paolo e l’immancabile Ciro scendono dalle scale della casa colonica lasciandosi dietro uno stimolante e inconfondibile aroma: il caffè è stato preparato e ora si consegna a domicilio.
«Quanto costa?»
«Quattrocento lire».
«Quattro soldi di ferro grande», aggiunge Michele.
«Io vi dò cinquecento lire di carta, quanto dovreste darmi di resto?»
Carmine lo sa: «Cento lire».
Se il cliente paga con mille lire, la cosa si fa più complicata ed allora interviene Ciro l’esperto, e spiega che ci vogliono 600 lire di resto, aggiungendo, per quelli che non lo sanno, che sono un soldo di carta ed uno grosso di ferro.
«Oggi le uova non si vendono».
«Perché non le vendete?»
«Neanche ieri, — dice Giuseppe — facciamo la torta».
«Torta col liquore», aggiunge Simona.
«E burro, zucchero, farina», comunicano gli altri cercando di parlare tutti insieme.
«Fate festa?»
«No, la vendiamo; ne vuoi?»
Sul solito cavalletto, infatti, troneggia un avviso: «Torta casalinga, L. 500 la fetta».
Il prezzo è modico, la torta è buona e, rapidamente, il foglietto delle prenotazioni si riempie: 6 fette in laboratorio, altre 6 nella classe di Luisella dove si festeggia un compleanno, 2 per la signora Carmen del guardaroba.
Puntualissimi alle tre e mezzo i «pasticcieri» fanno il giro della casa con le loro fette avvolte in tovagliolini di carta e ritornano contando il loro incasso.
Monica, Barbara, Laura, Giovanna e Antonia sono nella piccola cucina delle scuole. Sul fornello a gas sta bollendo un’appetitosa salsa di pomodoro mescolata… senza interruzione da Antonia.
Monica e Giovanna preparano le polpette con gesti abbastanza sicuri, Barbara pulisce l’insalata e Laura riordina l’armadio.
L’insegnante è in mezzo a loro e parla — dolcemente come una mamma — corregge, si muove dall’una all’altra delle ragazzine, sempre vigile ma mai soffocante; pronta a dare una mano, mai a sostituirsi completamente alle bambine.
Tra un po’ apparecchieranno la tavola: con garbo e buon gusto, con tutti gli accessori, perfino con i sottobicchieri ed i portatovaglioli di rafia costruiti da loro, e non mancheranno i fiorellini al centro della tavola perché la bellezza è un «ingrediente» fondamentale dell’educazione.
E mentre mangeranno la pastasciutta fumante, le polpette e la verdura, gusteranno non solo i cibi, ma la gioia di averli «preparati».
C’è stata anche una rapida puntata in pasticceria, al mattino, per comperare alcuni dolci che daranno un tocco festivo al pranzo.
Son questi alcuni momenti di vita, ai quali se ne potrebbero aggiungere tanti altri, dei ragazzi delle classi occupazionali.
«Che cosa sono queste classi occupazionali?».
Chiese un giorno l’Ispettore in visita al Centro, mentre leggeva uno dei «manifesti pubblicitari» di cui parlavo pocanzi.
E mentre mi accingevo a rispondergli rapidamente, mi interruppe (dopo le prime parole) dicendo: «No, no, voglio tornare un’altra volta, voglio vedere, perché questa è vita, ben diversa dalle «scartoffie» nelle quali sono seppellito».
In effetti le classi occupazionali sono e vogliono essere vita e avviamento alla vita.
Come sono nate?
Un giorno alcuni anni fa mentre una bambinetta, alle prese per l’ennesima volta con la parola «oca» che non riusciva a decifrare, ci guardava con aria smarrita, decidemmo di buttare, per così dire, all’aria la scuola del leggere e dello scrivere — almeno con quei soggetti che dimostravano di non poterne usufruire in modo positivo — e di sostituirla con la scuola del «fare».

Che cosa fare?

Le cose da fare, nell’entusiasmo del momento, apparvero subito tante, interessanti, stimolanti, ma come sempre accade in questi casi, fu necessario operare una selezione e scartare quelle troppo difficili, quelle con conclusioni a lunga scadenza, per scegliere delle attività accessibili, almeno parzialmente, a tutti e da riproporsi con costanza — condizione necessaria dell’apprendimento — ai bambini.
Ci si rese conto poi che le attività non erano tutto e potevano addirittura diventare niente se dietro ad ognuna di esse non ci fosse stato un progetto ben chiaro e una persona capace di portarlo a termine senza scoraggiamenti, senza la tentazione di ritornare alla scuola del leggere e dello scrivere, senza la pretesa di cogliere subito dei frutti.
Non è stato molto facile ma ce l’abbiamo fatta; alla fine, in alcuni casi, abbiamo avuto la gradita sorpresa di veder rientrare dalla porta quelle nozioni scolastiche che avevamo gettato dalla finestra perché, ancora una volta, ci siamo resi conto che si capisce veramente solo quello che si fa.
A titolo esemplificativo presentiamo qui sotto, in maniera semplice e sintetica, alcune delle principali attività svolte nelle classi occupazionali ed i relativi obiettivi.

Il principio alla base di questa esperienza di «scuola occupazionale» è che si capisce veramente solo quello che si fa.

Attività : Cura della persona e delle cose: lavarsi i denti, le mani, la faccia, pettinarsi; lavare e stirare semplici indumenti.
Obiettivo: Oltre all’utilità concreta dell’apprendimento di semplici nozioni di cucina, si presentano nello svolgere queste attività numerose occasioni di calcolo (Spesa, peso, ecc.) e di acquisizioni di abitudini igieniche (scelta dei cibi, modo di prepararli).
Attività: Imparare ad aver cura della classe: scopare, spolverare, lavare, abbellire.
Obiettivo: Fornire le capacità per una cura almeno parziale della casa, per dare al bambino, divenuto adolescente e adulto, la soddisfazione di un’autosufficienza almeno parziale.
Attività: Allevamento di animali da cortile e coltivazione di semplici piante.
Obiettivo: Conoscenza del mondo animale e vegetale. Vendita di prodotti per far comprendere concretamente l’uso del denaro.
Attività: Costruzione di facili oggetti d’uso comune: cestini in midollino, sottobicchieri di rafia, portatovaglioli, tovaglioli, ecc.
Obiettivo: Far acquisire abilità manuali anche in vista del tempo libero. Vendere gli oggetti costruiti (ancora conoscenza del denaro).
Attività: Uscite. Sia alla scoperta della natura e del mondo circostante che a fini pratici: in posta, in Comune, nei diversi negozi o addirittura in ditte o fabbriche.
Obiettivo: Conoscenza sia del mondo fisico che di quello sociale, per fornire al ragazzo una comprensione almeno sommaria dei problemi e alcuni strumenti per risolverli.
Sentirsi puliti e ordinati, dà senso di sicurezza e di gioia ai ragazzi ed è motivo di accettazione in chi li avvicina. Fare le faccende più comuni, con l’aiuto di una maestra, che però non si sostituisce ai ragazzi, è un’esperienza maturante e che accresce l’autosufficienza.

Attività: Conversazioni, in classe, sulle attività svolte. Evidenziare semplici parole chiave che verranno apprese globalmente.
Obiettivo: Abituare il ragazzo a riflettere su quanto svolge: arricchire il vocabolario mediante esperienze concrete; porre le basi per una lettura funzionale.
Attività: Attività musicali, teatrali, di drammatizzazione.
Obiettivo: Offrire mezzi di comunicazione extra-verbali per «liberare» il bambino.
Purtroppo lo schema impoverisce e, se ha il dono della chiarezza, non ha quello di trasmettere le sfumature, di comunicare soprattutto la gioia che questi ragazzi provano nel riscoprire e nel fare proprie le semplici cose di ogni giorno.

-tratto dal Notiziario di informazione del Gruppo Amici di Don Luigi Monza, n.1-1984

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.7, 1984

Ombre e Luci n.7 - Copertina

SOMMARIO

Editoriale

Una verità difficile a dirsi di Mariangela Bertolini

Scuola

Un uovo, due uova di M. Grazia Granbassi
Classe "azzurro" di Madeleine Toussaint

Articoli

Quel lupo dentro noi di Jean Vanier
Il volontariato di Nicole Schulthes
Il nostro cucciolo di due metri di Betti Collino
Casa Jada di Sergio Sciascia

Rubriche

Dialogo aperto n. 7
Vita Fede e Luce n. 7 - Il convegno internazionale

Libri

Li fece uomo e donna, Jean Vanier

Un uovo, due uova ultima modifica: 1984-09-29T17:35:16+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.