Un’insegnante: «Aiutatemi a sentirmi onesta verso questi ragazzi»

Vorrei chiedere a chi ama i ragazzi portatori di handicap se è possibile essere coerenti quando si vivono realtà differenti e cerco di spiegarmi.
Ho molti amici portatori di handicap, conosco le loro famiglie, ho vissuto con loro il problema della scuola, dell’integrazione dal loro punto di vista e di quello dei loro famigliari.
Sono insegnante di scuola media, vivo l’integrazione nel mio lavoro e mi sento responsabile di tutto quello che non si fa o che non si riesce a fare a livello di scuola media. Ho visto insegnanti di sostegno fare miracoli nelle quattro ore e mezza, al massimo nove, nelle quali hanno affidato un ragazzo e soffrire per la mancanza di mezzi adeguati.

Ho letto tante relazioni sui progressi dei ragazzi; parole, parole, parole.
Ho visto un professore alla ricerca dei portatori di handicap per riuscire a fare più classi così da non perdere il posto.
Ho visto ragazzi integrati forse in alcune ore di lezione e raramente nel tempo libero, anche dopo tre anni di contatto coi compagni di classe.

Certo sto parlando di casi gravi (e sono tanti) in cui secondo me non si riesce nella scuola a scoprire e a sviluppare la capacità del ragazzo, obbligandolo ad ascoltare lezioni per lui incomprensibili che l’insegnante deve fare per rispettare i diritti di apprendere di ciascun ragazzo.
Vedo dare la licenza media e mi chiedo quanto si prenda in giro «la persona».

Dopo la terza media i genitori dove mandano i loro figli? Quante volte si torna alle scuole speciali e ci si sente dire che è troppo tardi per sviluppare le capacità iniziali e si è perso tempo?
Perché non si aprono gli occhi e si vede, dopo questa legge, quanti ragazzi non vanno più a scuola e sono in lista di attesa per le scuole «speciali» che non riescono più ad essere veramente speciali perché sovraffollate e con pochi mezzi? Molti ragazzi sono e devono essere integrati, ma accettiamo la realtà di alcuni, rispettiamoli, aiutiamoli, e soprattutto cerchiamo di essere onesti con loro.
Vorrei che genitori ed insegnanti mi illuminassero in onestà e verità. Ho alcuni amici che con Scuole Speciali leggono, scrivono, hanno sviluppato a pieno le loro capacità e sono stati portati all’integrazione e quando vedo alcuni ragazzi a scuola simili a loro (dico simili perché con loro è una continua ricerca individuale e costante sul da farsi) che senza mezzi adatti non sanno leggere o quasi e non possono scrivere per mancanza di macchine particolari, mi chiedo qual è la nostra responsabilità nel rovinare la vita di altri individui in nome dell’integrazione e della socializzazione.

Quante volte si entra come supplenti in una classe e subito dei ragazzi ti fanno il segno per farti capire che un loro amico è diverso, se non dicono addirittura ad alta voce (segni e frasi che non sono normalmente usati da persone educate).
Quindici anni fa in una scuola media alcuni alunni avevano difficoltà lievi e tutti gli insegnanti hanno lavorato con serenità e hanno cercato di sviluppare il più possibile le varie capacità; io discussi la decisione del preside che non accettava ragazzi più gravi e allora non capii la sua risposta: non farei il bene del ragazzo né quello dei suoi compagni perché non ho i mezzi e le persone adatte. Ora più chiaramente vedo che era nel giusto, consapevole che si deve volere il «bene vero» di ciascuno.
Potrei continuare ma desidero solo avere da voi aiuto per capire… aiutare a sentirmi onesta verso i nostri ragazzi.
F.B.

Ho dieci anni

Sono un bambino di 10 anni, vado a scuola con il pullman. In questo pullman c’è una bambina handicappata. Tutti la trattano molto male, perfino Aliano (il guidatore del pullman).
Adesso, io cerco sempre di trattarla il meglio possibile, ma essendo una bambina difficile non sono riuscito a farmela amica, anzi a volte gli ho fatto anche qualche scherzetto.
Riccardo, la tratta più male di tutti: dice che Erica gli dà fastidio invece è viceversa. Erica è stata abituata male. Lei ha perso la madre, sta infatti con la nonna. Il padre, a quanto ne so io, sta sempre fuori per lavoro. Io non so precisamente che malattia ha Erica, comunque quando è in pullman ha la mania di togliersi le scarpe, e di tirarle addosso ai bambini. Quando i bambini scendono lei prende loro il grembiule e lo tira. Tutti la trattano male, come ho già detto. La signorina Elide e Aliano credono che le urla servano a calmarla. Certo le suore carmelitane, quelle che hanno in mano la scuola, credo la trattino meglio. Un altro bambino che sta al Mater Carmeli si chiama Andrea, è mongoloide. E’ molto simpatico. A scuola tutti lo conoscono, a noi viene a trovarci spesso perché conosce bene la nostra maestra. E’ gentile ed educato sa accettare di perdere quando gioca. La classe collabora molto quando studia. Molte volte accetta di dare la sua merenda a chi non ce l’ha. Credo di aver saputo esprimere con la massima chiarezza come si comporta tutto quanto l’istituto scolastico davanti a problemi come quello degli handicappati.
E.B.

Dal «Salviatino»

La Dott.ssa Toschi ed io siamo molto grati a «Ombre e Luci» per le quattro bellissime pagine che hanno dedicato al Centro del «Salviatino», mettendone in risalto gli intenti e il metodo (scienza più umanità e buon senso) e fissandone fotograficamente alcune attività; a parte la splendida Laura dal volto pieno di mistero e di speranza.
Concentrando, ora, in poche parole le mie impressioni sulla rivista Ombre e Luci, devo dire che ho trovato luce e conforto in ogni numero letto. Interessantissime le pagine tradotte dal francese e dovute alla penna di illustri competenti o di coraggiosi apostoli tra i fratelli con handicap; ma commoventi e stimolanti anche tutte le altre Voci delle diverse esperienze e testimonianze, dove, in genere, prevale una sottolineatura positiva che fa sospettare quanto il mondo della sofferenza, avvicinato con fede, benefichi forse più chi dà che chi riceve.
P. Luigi Rima

 

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Nel mondo delle persone con handicap aiutarsi è un dovere morale.
Il nostro indirizzo è ombreeluci@gmail.com o Ombre e Luci Via Bessarione 30, 00165 Roma

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.7, 1984

Ombre e Luci n.7 - Copertina

SOMMARIO

Editoriale

Una verità difficile a dirsi di Mariangela Bertolini

Scuola

Un uovo, due uova di M. Grazia Granbassi
Classe "azzurro" di Madeleine Toussaint

Articoli

Quel lupo dentro noi di Jean Vanier
Il volontariato di Nicole Schulthes
Il nostro cucciolo di due metri di Betti Collino
Casa Jada di Sergio Sciascia

Rubriche

Dialogo aperto n. 7
Vita Fede e Luce n. 7 - Il convegno internazionale

Libri

Li fece uomo e donna, Jean Vanier

Dialogo aperto n. 7 ultima modifica: 1984-09-28T17:24:13+00:00 da Redazione

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