Sono madre di una bambina con ritardo dello sviluppo psico-cognitivomotorio e sono anche insegnante. Tengo a specificare ciò perché sarà difficile per ‘me fare una valutazione di quello che è stato e che sarà senza tenere presente quanto succede a scuola oggi.

Sarà difficile, nella valutazione del problema, dividere i due ruoli. Tanto più che la mia esperienza nel campo dell’integrazione è più lunga come insegnante che come madre.

Mia figlia ha tre anni e mezzo e fino ad ora ha frequentato esclusivamente l’asilo nido comunale, struttura che è un po’ una via di mezzo tra il baby parking e un inizio blando di scuola.

In quest’ambito il rapporto bambinieducatrici è ancora molto “fisico” e sono ancora “concessi” certi “ritardi” negli automatismi dell’apprendimento. L’asilo nido inoltre è una struttura dove ancora non è prevista la figura dell’insegnante di sostegno qualificata come tale. Il corpo docente viene integrato con una o più figure di educatrici, a seconda del numero dei bambini con handicap inseriti. Mia figlia, in questi due anni di frequenza al nido è stata inserita in un gruppo di coetanei ed ha avuto un’educatrice a “sua totale disposizione”. Il primo anno è stata chiamata appositamente una giovane e inesperta, mentre nel secondo è stata scelta una delle educatrici della classe con maggiore esperienza e preparazione.

Si sono tenute, in questi due anni, delle riunioni con le educatrici del gruppo di mia figlia e la sua terapista, per scambiare informazioni sull’andamento della bambina all’interno del nido ed avere eventuali consigli su attività e giochi da proporle man mano.

Già in quei contesti si è evidenziato un diverso atteggiamento: c’era chi chiedeva ciò che la bambina non era e voleva sapere come e cosa fare per farla stare “come gli altri” (in maniera scoraggiante e poco propositiva) e chi vedeva ciò che la bambina era e cercava, di capire ciò che realmente poteva fare insieme agli altri bambini.

A questo proposito vorrei spendere due parole per l’educatrice che è stata più vicina a mia figlia in questo ultimo anno di asilo nido. Il suo nome è Appia. Un nome originale che mia figlia ha subito memorizzato e portato con sé e nella nostra famiglia. Appia è sempre stata molto accogliente e sincera, ed era realmente emozionata quando mia figlia entrando in classe la mattina la chiamava e le correva incontro sorridendo. Attenta e sensibile ad ogni suo cambiamento di umore, si è interessata a metterci in contatto con un centro materno infantile e di neuropsicomotricità che lavora nel nostro territorio. È sempre Appia, prima ancora della fine dell’anno scolastico, che di sua iniziativa e senza aspettare i tempi lunghi e burocratici delle scuole ha preso contatto con la maestra che accoglierà mia figlia alla scuola materna. Davvero sono anche le persone che fanno la differenza. Le strutture sono necessarie, ma senza un cuore e senza affetto possono diventare inutili.

Adesso stiamo per intraprendere l’inserimento nella scuola materna. È stato già preso contatto con la nuova scuola che io conosco bene poiché è la scuola mia e dei miei figli.

Con la sua futura maestra, che già conoscevo, ho avuto un colloquio informale e informativo: ha voluto sapere della bambina, delle sue difficoltà, dei suoi giochi e attività preferite. Le ho anche espresso le mie ansie e preoccupazioni. Ma dalle poche battute che mi ha lasciato mi è sembrata piena di buona volontà e sicura di ciò che farà.

Ha sostenuto con forza che sarà compito delle insegnanti aiutare la bambina nell’inserimento nella classe e cercare di renderla indipendente nei principali automatismi (mangiare e andare al bagno) aldilà dell’azione di altri adulti che la scuola mette a disposizione (AEC e insegnante di sostegno).

Fare un bilancio dei due anni trascorsi al nido è difficile. Purtroppo non ho un riscontro diretto dalla bambina che in ogni modo non ha manifestato opposizione o rifiuto nonostante lo abbia frequentato quotidianamente. Forse parlare di integrazione per un livello così “immaturo” di scuola è complicato. I problemi di mia figlia in ogni modo sono legati anche ora alla difficoltà nel rapportarsi con i coetanei, nello star al loro grado ed accettare le loro attenzioni. Stare con altri bambini quindi per lei è necessario e utile per superare la sua tendenza ad isolarsi.

Ma pensando al futuro percorso scolastico, propedeutico anche all’inserimento nella scuola elementare dove, oltre e aldilà del semplice inserimento in un gruppo, i bambini cominceranno ad “imparare”, mi chiedo come la scuola aiuterà mia figlia. E in questa domanda, accompagnata da molte angosce e preoccupazioni, purtroppo si riflette la mia personale esperienza d’insegnante che ha di fronte un quadro molto nebbioso, se non oscuro, della situazione scolastica. E questo riguardo soprattutto all’inserimento di bambini con handicap che, il più delle volte, è considerato un problema organizzativo e logistico, più che uno dei fini della scuola stessa.

Insomma, sarei felice che mia figlia fosse accolta e accettata nel gruppo classe e “integrata”, sarei felice per lei e per i suoi compagni. Ma io pretenderei che la scuola riuscisse in qualche modo anche a farle acquisire quei fondamenti che la aiutino a crescere nel modo e nella misura che le sarà possibile. Mi domando come ciò potrà avvenire solo appoggiandosi alla buona volontà di qualche brava maestra. La mia scuola elementare, per fare un esempio, pur avendo inserito ben dodici bambini con handicap, di cui quattro con h. psico-fisico, non ha un corpo docente di sostegno titolare e fisso, né un laboratorio, né uno spazio (teatri o simile) dove poter svolgere attività alternative integrative della didattica. C’è inoltre una diversa considerazione (e dunque diversa assegnazione di ore di sostegno) dei bambini portatori di h., non legata solo alla gravità del problema, ma alla “categoria” (psico-fisico, ipoudente, etc.) e del tipo di h. di cui sono portatori.

Credo quindi che, almeno per mia figlia, sia necessario integrare il lavoro e l’esperienza della scuola con altro.

Mia figlia dall’età di 5 mesi fa una psico-terapia riabilitativa. Ma oggi, proprio per le sue marcate difficoltà relazionali sarà prevista per lei una terapia con un piccolo gruppo di bambini con patologie compatibili, della durata di 2-3 mesi con frequenza giornaliera.

Una frequenza impegnativa, quindi, quasi scolastica, dove però i bambini sono seguiti e osservati e monitorati da terapiste della riabilitazione che possono dunque intervenire in modo costruttivo.

Questo sicuramente nulla toglierà alla scuola che la bambina continuerà a frequentare per non interrompere l’inserimento e l’integrazione conquistate, ma sarà sicuramente più costruttivo in relazione alla sua crescita personale. Vorrei ancora spendere due parole e associarmi idealmente a chi fa il mio stesso lavoro. Mi permetto di dire solo che bisognerebbe metter tutta la nostra buona volontà per cercare di “rettificare” il proprio percorso didattico previsto, di rendere la programmazione delle proprie attività didattiche più vicina ad ognuno per permettere a tutti, se non di raggiungere gli stessi obiettivi, di trarre beneficio dall’attività di classe e sentirsi profondamente parte del gruppo.

Insomma, e spero di non sembrare esagerata, credo che l’insegnamento oggi, aldilà di tutte le difficoltà, o forse proprio in forza di queste, deve essere intrapreso come una “missione”. Solo così si può riuscire ad accettare e quindi “integrare” pur nelle difficoltà e nella fatica fisica e psicologica, chi non risponde in nulla o in poco ai canoni d’apprendimento propri della classe d’appartenenza.

Nella normalità i bambini, per quanto diversi, possono non capire o capire meno concetti storico-geografici o algoritmi matematici, perché l’insegnante è “distratta” dalle esigenze di un bambino con handicap. Questo potrà rallentare il raggiungimento di certi obiettivi didattici, ma non credo cambierà molto il loro complessivo percorso di sviluppo succesSIVO.

Nella “sub normalità” un bambino, con un insegnante poco attento alle sue esigenze, potrebbe perdere occasioni importanti di crescita se non aiutato o accettato in pieno nella sua diversità.

La difficoltà quindi è riuscire a trovare un punto di equilibrio nello stare bene in classe “tutti insieme”. E qui sembra rispecchiarsi una tematica chiave che certamente supera i confini della scuola stessa.

Monica

All’asilo nido tra apprendimento e integrazione scolastica ultima modifica: 2005-09-19T15:46:45+00:00 da Monica Leggeri

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