Occhi azzurri intensi, velati da lacrime trattenute; un bel sorriso aperto con labbra un po’ tremanti. Le mani dolcemente accarezzano il grembo in attesa.
“Sto bene, sì sì, sto bene!”
Stiamo per salutarci, dopo un incontro di lavoro. Esito a fare una domanda che mi pare di dover fare: “C’è qualcosa che non va?”

Quante volte mi sono trovata così a mezza strada, fra il timore di invadere la sfera personale di chi mi è davanti e l’impulso provocato dal mio intuito. So per esperienza che, quando abbiamo in noi un’ansia che vogliamo serbare nel cuore speriamo solo che qualcuno capisca il nostro silenzio. Vorremmo parlare ma temiamo di non essere capiti, di suscitare chiacchiere inutili, di fare peggio e di stare poi peggio di prima…
“C’è qualcosa che non va?”, sussurro timorosa e spero di essermi sbagliata. “Sono stata a fare una visita di controllo… dicono che c’è qualcosa che potrebbe essere segno di un’alterazione…”
Le lacrime ora sono evidenti e vengono subito ricacciate. “La bimba potrebbe risentirne se io mi preoccupo… Io spero che si sbaglino, ma sembrano così sicuri…”.

Ora tocca a me dire qualcosa; qualcosa che non vuole uscire. Anche a me si velano gli occhi. L’abbraccio con tutta la tenerezza di cui sono capace. Cerco di balbettare: “Possono sempre sbagliare, speriamo.” Le chiedo il nome che hanno scelto per la bimba. Un nome bellissimo e pieno di significato.
“Adesso dobbiamo aspettare. Non è facile…. e soprattutto non bisogna che la bambina ne soffra.”
“E tuo marito?” Oh, lui è sereno e non sembra preoccupato. “Sai, mi ha detto, le vogliamo già un gran bene; vorrà dire che se mai, gliene vorremo ancora di più».

In quest’anno 2003, dedicato alle persone disabili, ho sentito parlare di molte cose; soprattutto di soluzione tecniche da approntare per una migliore qualità di vita per i nostri figli e amici con difficoltà.

Avrei voluto prendere la parola in molte occasioni. Ho preferito tacere sapendo troppo bene che per chi ci è dentro, non ha importanza parlare di “un anno speciale”. Chi ci è dentro, lo è per sempre, fino alla fine. Lo sanno bene tanti genitori e le persone a loro vicine che quotidianamente si scontrano con le rivolte, le pesantezze, le incomprensioni, i disagi. Sanno bene che la cosa più importante e che ci aspettiamo da tanti anni, è una rivoluzione vera e propria da parte di tutti e che risolverebbe l’aspetto più duro da portare; l’etichetta, la definizione che emargina fin dalla nascita, lo sguardo di compassione, il relegamento in posti per loro, la scarsa attenzione per la loro personalità, in una parola il considerarli persone diverse. Se tutti, piccoli e grandi, li accostassimo e li accogliessimo con il loro nome, senza più valutarli per quel che ai nostri occhi manca a loro per essere come noi, la loro vita sarebbe molto più facile e ci accorgeremmo presto dei loro valori.

E ora non ci resta che aspettare in trepidante attesa la venuta di Colui al quale chiediamo con impazienza di cambiare il cuore e lo sguardo di tutti noi.

Mariangela Bertolini, 2003

Mariangela Bertolini

Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.

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In trepidante attesa ultima modifica: 2003-12-22T14:44:20+00:00 da Mariangela Bertolini

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