La trama del film

Sally è la madre di David, un ragazzo disabile grave di sedici anni. Vive da sola insieme a lui perché, prima il marito, poi la figlia diciottenne, se ne sono andati. La sua casa è trascurata e in disordine. Sally si dedica unicamente a David e vive in un isolamento totale. Ha una sorella, Beatrice, che sente su di sé la responsabilità della situazione e le fa conoscere un uomo vedovo e senza figli, ricco e buono, con il quale Sally inizia una relazione. Ma rincontro non porta frutti perché per lei si ripropongono gli stessi problemi che già si erano presentati nel rapporto con il marito e con la figlia: la difficoltà di uscire dal ruolo che si è scelta e che crede unico, il suo bisogno di occuparsi solamente del figlio, il rifiuto di essere aiutata. Un’assistente sociale le propone l’inserimento del figlio in un buon centro dove sarà educato e protetto, ma Sally rifiuta. Lentamente, in un succedersi di episodi che via via mettono in luce i suoi errori, Sally giungerà a capire che l’amore che sente per il figlio è inquinato dalla sua ansia, dalle sue paure, e dai suoi stessi bisogni, e che questo sentimento potrà sbocciare in tutta la sua forza per diventare costruttivo, solo quando lei sarà capace di guardare il figlio con occhi diversi. Non aveva mai pensato che egli potesse diventare protagonista della sua vita, che potesse avere capacità personali, possibilità di crescita e di recupero. Questa consapevolezza si fa pian piano strada dentro di lei e arriva al punto di svolta decisivo che le darà la forza di farsi aiutare dagli altri e di iniziare una nuova vita.

Cosa ne pensano alcune mamme di Fede e Luce

Abbiamo invitato delle mamme-amiche, quasi tutte con un figlio handicappato gravissimo (come il ragazzo del film), ma di età diverse (dai 40 ai 70 anni). Volevamo rivedere con loro questo film, raccogliere i loro giudizi, ascoltare le loro riflessioni. Senza che l’avessimo del tutto previsto, la visione del film ha suscitato interesse, partecipazione e il desiderio di discutere confrontando le vicende personali con quelle proposte dal film. Tutto questo si è svolto in un’atmosfera particolare fatta di amicizia, attenzione e ascolto dell’altro, di voglia di esprimersi con sincerità. Il testo che proponiamo è il risultato parziale di questo incontro che ci è sembrato un nuovo modo di aiutare e di aiutarsi. Lo pubblichiamo con il consenso delle mamme che hanno voluto la videocassetta del film per riproporlo ad altri gruppi di genitori.

Mariangela: «Quale consiglio daresti alla mamma di David?»

Giuliana: Di farsi aiutare e chiedere aiuto, che è la cosa più difficile nel caso della mamma di David.

Lina: Non so dare nessun consiglio perché le situazioni bisogna viverle; bisogna sentirsi dare una spinta dentro noi stessi, verso gli altri, per non chiudersi in se stessi.

Fausta: Di farsi aiutare, ma da persone che, oltre alla competenza, sanno dare tanto amore.

Rita: Io credo che lei dovrebbe amarsi di più proprio per avere poi il coraggio di farsi aiutare, perché ha chiesto troppo a se stessa e ha scosso tutte le persone che aveva intorno; di conseguenza è rimasta sola.

Mariangela: Ma come si fa ad amarsi di più?

Rita: Accettandosi per quel che si è, accettando i propri limiti. Tutte le mamme pensano di poter far tutto perché si credono capaci e invece no, c’è bisogno di tutti quanti. Perciò amarsi, accettarsi, così si amano meglio le esigenze del figlio; lei spesso non si è accorta di quali fossero le esigenze del figlio perché pensava di essere capace di fare tutto e così è rimasta sola.

Olga: Penso che sarebbe impossibile dare un consiglio a quella mamma perché non accetterebbe nessun consiglio. È già stata consigliata; l’assistente sociale ha fatto del suo meglio per cercare dei posti per il figlio. Noi sappiamo cosa significhi cercare posti. Diverse persone hanno cercato di consigliarla e lei non ha mai ascoltato nessuno. Comunque, il consiglio che le darei, che non sarebbe accettato, è di cercare uno spazio per sé, di essere pò egoista, di cercare di vivere anche lei qualcosa perché la vita è sua e non può vivere al posto di un’altra persona.

Luisa: Penso che dovrebbe tenere nel giusto conto l’intervento degli altri e saper valutare, di volta in volta, se rinunciare a se stessa per poter migliorare la situazione.

Rosy: Direi la stessa cosa, cioè di farsi aiutare, perché noi all’inizio pensiamo di essere l’unica persona che può voler bene e che può occuparsi di nostro figlio, e invece no.

Fausta: Vorrei dire che noi ora parliamo così perché siamo state «scolarizzate» perché altrimenti, se non lo fossimo state, se non fossimo state aiutate da FEDE E LUCE e altro così come lo siamo state, non so se avremmo parlato come parliamo adesso.

Rita: Sì, scolarizzate, ma fino ad un certo punto perché ci deve essere sempre qualcosa che parte da te. Conosco tante mamme che stanno a FEDE E LUCE da tempo, ma sembra che vi siano appena entrate.

Mariangela: Va detto che abbiamo invitato anche altre mamme non appartenenti a FEDE E LUCE: una di loro ha rifiutato l’invito; altre, che avrebbero voluto venire, non hanno potuto. La tua osservazione è giusta soprattutto per ricordare come era il nostro mondo ai primi tempi, quando eravamo un po’ tutte in crisi come la mamma nel film. Tornando al film, la mamma parla continuamente con David; pensate che questo stabilisca una vera comunicazione fra loro?

Giuliana: Trovo che spesso la mamma parla per se stessa e vuole sostituirsi e parlare per il figlio. Questo non è crescere insieme, ma una crescita a senso unico che poi non chiamerei neanche crescita. Secondo me l’importante è comunicare con il figlio secondo le sue capacità, dandogli spazio, rispondendogli, anche se lui non parla con la bocca, ma parla con i calci, con uno schiaffo o mandando tutto all’aria…

Lina: Ho visto tante mamme che dicono tutto al figlio. Nel film, il ragazzo sembrava assente ma gli faceva bene sentire la mamma. Secondo me era una vera comunicazione.

Fausta: Secondo me no, era un modo di scaricare un suo stato d’animo.

Rita: Anche secondo me. Infatti lei dà anche le risposte per il figlio; anche se capisce i gesti che fa, non gli dà spazio per esprimersi, non aspetta i tempi del figlio. Anche quel suo modo di reagire per strada con lui, snobbando le persone, non è produttivo. Bisogna tenersi dentro il proprio dolore, perché se nostro figlio se ne accorge, finirà anche lui col guardare storto gli altri.

Olga: Per me la comunicazione è qualcosa di reciproco, quindi qui una vera comunicazione non c’è; però è una buona cosa parlare con queste persone anche se delle volte non sai perché lo fai. A volte, poi, a lungo andare, può nascere una sorta di linguaggio anche se passivo. Questo ragazzo non è sordo. Non c’è una vera comunicazione ma è meglio di niente.

Rosy: Le persone che parlano in continuazione, anche al posto dell’altro mi danno fastidio. Un po’, tendo anch’io a farlo, però io interpreto i gesti di mio figlio Davide e li traduco in parole. Invece nel film lei esagera, non c’è partecipazione. David ha più bisogno della mamma o è la mamma ad aver più bisogno di David?

Giuliana: Secondo me, è la mamma ad aver più bisogno di David. Forse, noi mamme ci sentiamo gratificate nell’avere un figlio che resta sempre come un bambino piccolo, che va curato, accudito, nutrito, portato in bagno. Credo che il non volersi staccare dal «neonato», rappresenti un pessimo rapporto madre-figlio.

Lina: Penso che entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro. David ha un padre che gli ha voltato le spalle, una sorella che è partita, quindi nessuno oltre la mamma. È logico che ha bisogno di lei, una necessità di vita. La mamma è come ciascuna di noi. dà tutta se stessa al figlio.

Fausta: Anche io dico entrambi. La situazione si è creata fin dalla nascita: la mamma ha stabilito questo rapporto in cui esiste solo lei, sempre e comunque e quindi la situazione non poteva cambiare.

Rita: Fra i due, è la mamma ad aver più bisogno del figlio perché per lei è molto più difficile lasciarlo andare. Si ha paura a lasciare andare i figli; anche quando vanno a scuola, ci si chiede quello che può succedere, se gli altri avranno le stesse nostre attenzioni. Penso che il figlio sarebbe più disposto di lei a conoscere altre persone.

Olga: Il figlio aveva bisogno della mamma, ma lei poteva abituarlo fin dall’inizio a stare con altre persone. Perché ho mandato Sabina al centro a quattro anni? Non che quel centro fosse una gran cosa, ma ho capito istintivamente che lei doveva abituarsi a stare con altra gente. Luisa: Anche io dico che il bisogno era reciproco. Però i modi espressivi dei due sono completamente diversi perché la madre ragiona e quindi è in grado di dominare una situazione che si va formando; il figlio, invece, riceve e basta, non è in grado di gestire la situazione. In definitiva, è la mamma che ha bisogno di essere l’artefice di un procedimento o almeno crede di essere tale. Crede, continuando ad intervenire, di agire nel giusto e arriva quasi a divenire ossessiva.

Rosy: Forse c’è anche un senso di colpa della madre per il quale la madre sente di doversi occupare per forza del figlio. Quindi fa la chioccia e si attacca a questo figlio come se lei fosse indispensabile. Qual’è il momento in cui la mamma, per la prima volta, mette in discussione il suo atteggiamento nei confronti del figlio?

Rosy: Nel momento in cui giocano a Monopoli, perché la madre si rende conto che sta giocando da sola.

Luisa: Secondo me, invece, quando l’amico riesce a far inserire a David la videocassetta e di questa capacità del figlio ha la conferma al supermercato quando il figlio riesce a fare da solo quel gesto.

Olga: E stato l’amico. Può darsi pure che lei dentro di sé già avesse un sospetto, ma questo non possiamo saperlo. È l’amico che le dice, chiaro e tondo, che è lei ad aver bisogno del figlio e che gli impedisce di fare progressi…

Giuliana: È il miracolo che succede a ogni genitore che incontra qualcuno che gli fa capire quanto sbaglia… La scena finale, tra madre e figlio, in cui lei decide finalmente di tagliare il cordone ombelicale e di mettere il figlio in un posto in cui potrà progredire, e da dove tornerà a casa durante i week-end, è solo triste o è un passo avanti?

Giuliana: È un passo avanti senz’altro. Il fatto che lei abbia analizzato se stessa e abbia capito che il figlio può fare anche senza di lei… la decisione di fare crescere questo ragazzo ormai adolescente, rappresentano di certo un passo avanti.

Fausta: È un passo avanti ma è anche un momento triste, anzi, non triste, direi doloroso.

Luisa: Sono cose che maturano molto alla lunga e sicuramente la scena finale è un passo avanti, soprattutto perché la madre ha saputo resistere e non ha ceduto di fronte alla ribellione del figlio che, arrivato al centro, ha buttato tutto all’aria. Di momenti così, nella nostra vita ne abbiamo passati tanti… Io ho cominciato a star meglio, solo quando, dopo tante traversie, un’assistente sociale ha cercato di alleviare i nostri sensi di colpa dicendoci che è la società ad aver mancato nei nostri confronti…

Rosy: Momento doloroso, sì, che va però fatto il prima possibile. Ma io vorrei vedere il seguito del film, vorrei vedere come e cosa fanno in quel centro, perché il problema è questo! Perché nei nostri centri… È questo che mi fa venire i nervi. Qual’è la scena del film che vi ha toccato maggiormente o nella quale vi siete rispecchiate?

Giuliana: lo in questa donna mi sono rivista parecchio, anzitutto per il bere. In un certo periodo della mia vita sono ricorsa all’alcool, forse per sopperire alla mancanza di carriera perché, in fondo ero una ragazza con tante possibilità di carriera. Ero una donna che voleva arrivare. Ero una donna che viveva un rapporto di coppia più o meno bene, non capivo un accidenti di come sarebbe dovuto essere tra me e mio marito, però tiravo avanti. È arrivato questo figlio e mi sembrava normale avere un figlio, ma di sicuro non avevamo previsto che potesse essere un diverso e così è stata una vera delusione. In realtà chi mi ha veramente deluso è stato mio marito e la sua famiglia… ecco perché bevevo; il mio unico amico era il vino. Per mia fortuna ne sono uscita, e ne sono uscita perché ho toccato il fondo. Mi commuovo un po’… però è importante parlarne!

Lina: Volevo dire che noi mamme siamo sempre messe in discussione perché, comunque ci comportiamo, c’è sempre qualcuno che .critica: «Non abbiamo fatto bene, siamo state troppo egoiste, abbiamo pensato solo a quel figlio oppure l’abbiamo trascurato per seguire il marito in vacanza… Passiamo tutti dei momenti difficili in cui sembra che non vogliamo vedere nessuno, come la mamma di David. Ma a differenza di lei, se gli altri ci vengono incontro, ci apriamo all’affetto degli altri, alla benevolenza; non diciamo: «Che bello avere questa croce, vogliamo restare così!». Quando abbiamo avuto l’aiuto, li abbiamo dati questi figli, non ce li siamo tenuti per forza! Per primi gli amici di FEDE E LUCE, che hanno incominciato a prendere Roberto quando era piccolo, io gli avrei baciato le mani a quei ragazzi che me lo levavano per un po’ di ore dalle braccia!

Fausta: Mi son ritrovata nel modo in cui la mamma di David ha trattato quella bambina che guardava suo figlio con curiosità… mi ha fatto tornare indietro di tanti anni. Una volta, quando Carla diede fastidio a qualcuno in autobus, un controllore disse: «Signora, uno schiaffo o glielo dà lei o glielo dò io!». Io però, non essendo stata aiutata da nessuno in quel periodo, scesi dall’autobus e mi misi a piangere e basta.

Rita: Quello che mi ha toccato di più nel film, è stata la personalità della mamma. Aggressiva, quasi violenta, nei confronti del mondo esterno, che preclude qualsiasi contatto anche al figlio. Spesso le sue reazioni sono piene di cinismo anche verso se stessa; la sua è una violenza molto sottile, che allontana da sé tutti gli affetti, come per punirsi per aver avuto un figlio diverso. Penso che tutto parta da un forte senso di colpa che fa sì che lei si accolli tutta la responsabilità: pensa così di dover essere forte, di non aver nessun cedimento, di non far trasparire la propria debolezza, la propria fragilità, vuol fare sempre di più… e così non ha più il coraggio di chiedere aiuto e si mette addosso una spessa corazza di indifferenza per difendersi e resistere ad ogni emozione che possa farle perdere il controllo. Ed è proprio l’aiuto di un amico ed un piccolo miglioramento del figlio che le fa capire di non essere insostituibile. E così: sono proprio gli altri che possono arrivare dove noi non possiamo per quel forte rapporto di dipendenza che si instaura tra noi e nostro figlio. Così avviene il distacco, prima piccolo: si comincia con la scuola, con l’amico, la vacanza… tutto deve contribuire a preparare il figlio ad un distacco sempre più grande, e alla sua crescita soprattutto affettiva.

La madre di Davide ultima modifica: 1995-06-02T13:17:52+00:00 da Redazione

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