«Ma è meraviglioso, è la dimostrazione della grande capacità di Ombre e Luci di fare rete!». Angela è entusiasta, noi un po’ meno dopo aver scoperto che un cospicuo bonifico indirizzato alla redazione in realtà non era per noi. Le spese per la nuova sede sono state alte, i conti disperatamente in rosso, quei soldi avrebbero portato linfa vitale, eppure Angela vede oltre. E oltre è che OL ha dato frutto: dopo aver letto, nello scorso numero, l’intervista di Cristina Tersigni a Emanuela Posa, la cooperante italiana che nella Repubblica Democratica del Congo si occupa di bambini con disabilità, è infatti immediatamente partito un bonifico dalla Toscana per Kinshasa. Nell’episodio c’è tutta Angela Gattulli, funzionaria in banca, fedelucina da oltre trent’anni, moglie di Stefano incontrato nel movimento, due figli, amica e punto di riferimento per moltissimi. Del resto che Angela sia donna di cuore e intelligenza è noto e così nel settembre 2020 è stata rieletta per un nuovo quadriennio presidente di Fede e Luce onlus.

Siamo nell’epoca dei secondi mandati! È stata una chiamata a cui non hai potuto sottrarti o ci hai messo del tuo?
Entrambe le cose! A Fede e Luce ogni ruolo ha bisogno di un’elezione, quindi l’elemento fondamentale è la chiamata della comunità dopo il discernimento (Serena Sillitto lo ha spiegato benissimo in un vostro articolo). È anche vero, però, che nei mesi precedenti il voto avevo fatto capire che avrei avuto piacere di concludere il percorso iniziato 4 anni prima. Dopo tanto lavoro, c’era da parte mia anche l’orgoglio di raccogliere quei frutti che avevamo seminato tutti insieme, con il cda, con la redazione di OL, con la segreteria. Nel primo mandato gli obiettivi erano stati due: procedere alla modifica dello statuto e trovare questa benedetta sede. Non siamo riusciti a completarli alla scadenza dei 4 anni, però avevamo messo delle belle basi: quindi, benché stanca, sono stata contenta di poter continuare il percorso e finalmente i risultati sono arrivati!

E i prossimi due anni e mezzo?
Effettivamente a qualcuno un mese fa ho detto: «Basta, sono stremata, adesso mi rilasso, il tempo restante lo vivrò nell’ordinaria amministrazione». Invece giusto la settimana scorsa in una riunione, abbiamo messo a punto il progetto di includere persone con disabilità nella segreteria o nella redazione, il che significa intraprendere percorsi di tirocinio, significa studiare… Ecco dunque i prossimi obiettivi: oltre a organizzare convegni e ottenere maggiore visibilità, integrare le persone con disabilità nel lavoro associativo.

È anche questione di indole: non sei una persona che tira i remi in barca… Ma se la fatica riusciamo bene a immaginarla, cosa altro ti ha dato il ruolo di presidente?
Le relazioni! Non pensavo di essere una persona che riuscisse ad avere relazioni – cioè amicali o con persone che conosco sì, ma uscire fuori dal mio guscio è una cosa che non ho mai gradito, e soprattutto l’andare a chiedere. Non ho mai domandato per me o per altri, non sono proprio quel tipo di persona, un po’ per timidezza, un po’ perché penso che uno debba fare tutto da sé, anche sul lavoro. Invece Fede e Luce mi ha chiesto di andare a bussare per ottenere finanziamenti. Per la sede abbiamo raggiunto tante porte, molte sono rimaste chiuse (non ci hanno nemmeno risposto) ma altre invece, inaspettatamente, ci hanno accolto, ci hanno dato indicazioni che poi abbiamo saputo sfruttare. Indubbiamente l’amicizia a Fede e Luce mi ha fatta crescere (non sarei quella che sono adesso se non fossi stata a FL), però anche il ruolo di presidente, che molti pensano sia un po’ freddo, in realtà mi ha cambiata. Mi sono resa conto dei miei limiti e, per forza, ho dovuto superarli se volevo raggiungere gli obiettivi prefissati. Rendersi conto delle mancanze personali, farsi forza e superarle con l’aiuto degli altri (anche se ovviamente, in certi momenti, la decisione devi prenderla da sola, ti criticheranno ma ti assumi le tue responsabilità): tutto questo mi ha aiutata anche nella vita professionale, ha cambiato il mio modo di lavorare e di relazionarmi.

Sede e statuto sono la parte luminosa, ma i tuoi mandati hanno anche coinciso con due momenti difficili: i risultati dell’inchiesta su Jean Vanier e la pandemia.
Sono stati quasi concomitanti. Da un lato forse la pandemia ci ha aiutati a metabolizzare il dolore per Jean Vanier (per molti è ancora una grande sofferenza che dobbiamo rispettare). Probabilmente in entrambi i casi è stato un bene che siano state necessarie risposte veloci. Per Vanier mi sono affidata a voi di OL, ad Angela Grassi, a don Marco Bove per cercare di trovare il modo più adatto per presentare la questione (poi nel movimento i coordinatori provinciali hanno aiutato le comunità). Sono convinta che la strada della trasparenza sia quella giusta. Quanto alla pandemia, le risposte sono dovute essere veloci perché arrivavano sollecitazioni da parte delle comunità e dei coordinatori provinciali, e avevamo delle responsabilità precise. È stato però veramente bello che, dal marzo 2020 quando tutto è esploso, siamo riusciti a stare vicino alle comunità con le attività a distanza: il movimento non si è fermato, e di questo ringrazio segreteria e redazione. Un altro momento forte lo abbiamo vissuto a settembre 2021: c’è stata una grande discussione se essere più restrittivi o meno, e alla fine abbiamo scelto ancora la strada della cautela, della protezione delle persone più fragili. E se poi i fatti ci hanno dato ragione (abbiamo anticipato decisioni che poi sono state prese un po’ da tutti), non posso però dimenticare quel che ha detto un’amica della Campania, responsabile di comunità: «Ok, accettiamo tutto, ma arrivano solo messaggi su aspetti formali e burocratici che non vanno al cuore; ci state solo dando tante norme, ma non vi state occupando della sofferenza delle comunità». Mi è dispiaciuta molto questa critica, ma va ascoltata: forse quell’amica ha ragione, forse è arrivato il momento di pensare alle comunità. Quindi tra gli obiettivi metto anche fare arrivare messaggi capaci di dare energia e fiducia, di aiutare le comunità a riprendersi.

Oggi FL ha un problema anagrafico con amici e ragazzi “grandi”: abbiamo investito abbastanza nei giovani?
Sicuramente dobbiamo puntare su di loro. La provincia del nord ha fatto molto in questa direzione, organizzando settimane di formazione, cercando di coinvolgere parrocchie e oratori. Forse i giovani hanno paura di avvicinarsi alla disabilità, ma credo ci sia anche altro: tempo fa, un’amica mi faceva notare che oggi, in generale, ci sono pochi giovani. E ce ne sono pochissimi nelle parrocchie. Dobbiamo assolutamente capire quali possano essere le vie per attrarli, cercando modalità anche fuori dalla Chiesa, fuori dagli scout. Alla base però ci deve sempre essere l’innamoramento, sennò lasci. Come diceva Mariangela Bertolini, FL è una pozzanghera: alcuni ci passano semplicemente sopra, altri invece si lasciano sporcare, si infangano tutti.

E tu come sei finita nella pozzanghera?
Avevo vent’anni, ero in un momento di fragilità personale ed è arrivata Cristina. Dopo le elementari insieme, siamo rimaste in contatto e lei mi chiedeva spesso «Perché non vieni a FL?». Ma che ci vado a fare, mi dicevo, non me la sentivo proprio, la disabilità non aveva mai fatto parte della mia vita, pensavo di non sapere cosa fare… Poi un anno, io che partivo ogni Natale, mi sono ritrovata a Roma durante le vacanze perché mia mamma era caduta; mi sentivo in colpa e così sono andata a un incontro: e sono rimasta! Oggi mia madre, che non sta bene (è stata sempre una donna attiva e ora è disabile), mi dice spesso «come sei brava!». Lei che per anni mi ha rimproverata di non dedicarle tempo perché andavo sempre a Fede e Luce, oggi mi trova diversa nell’affrontare la sua disabilità. Secondo me, pensa che io sia un’altra persona! Quando sono paziente e disponibile, mi dice «si sente che sei stata tanto con Emanuela» (la ragazza che ho più nel mio cuore). Nella vita c’è un disegno.

In trent’anni ti sembra che sia cambiato il contesto sociale attorno alla disabilità?
Quando sono entrata nel movimento ho scoperto un mondo. Alcune disabilità non le avevo mai viste, nei miei primi vent’anni non avevo mai avuto un compagno con handicap a scuola o al catechismo. Adesso le cose sono cambiate: ci sono tante associazioni che si occupano di persone fragili; le famiglie sono meno sole, hanno imparato a uscire, e sicuramente anche FL ha avuto un ruolo importante aiutando a varcare la porta di casa, abbiamo portato in vacanza ragazzi mai usciti prima. Oggi anche la scuola è più integrata, anche se certo il vero problema viene dopo (mancano attività ed è difficile che i rapporti tra coetanei nati in classe sopravvivano nel tempo). Comunque ora sono tante le associazioni che si occupano di disabilità con il nostro spirito.

Cioè, non siamo più unici e speciali?
Eh già! «Voi fate servizio, fate volontariato, noi invece siamo amici», ripetevamo a tutti, con un po’ di spocchia. Invece a me sembra che ora tante altre realtà siano in sintonia con noi su questo, che sulla disabilità abbiano un occhio diverso da quello del mondo, uno sguardo simile al nostro! Certo, anche se la realtà associativa è cambiata, rimane comunque quel valore aggiunto che dà l’esperienza a FL. Restano quei forti legami di amicizia che vanno oltre la comunità, oltre il vivere comunitario. Queste relazioni così profonde tra amici e famiglie sono ancora qualcosa di unico.

Dalle tue parole emerge la voglia di fare ancora tanto… Ci sarà spazio per un terzo mandato?
Assolutamente no! C’è ancora tempo prima della scadenza e ci rimbocchiamo le maniche. Abbiamo vissuto gli ultimi due anni in emergenza, un po’ come tutti, o forse un po’ di più: il covid, Jean Vanier, lo statuto, la segreteria, i finanziamenti… Adesso, messe le basi, è tempo di ricostruire. Perché nel frattempo qualcosa di grave è successo e dobbiamo affrontarlo con il nostro associazionismo bello e concreto. Mia figlia fa la volontaria per un’associazione che si occupa di scambi tra ragazzi delle superiori: qualche giorno fa mi raccontava di come siano cambiati, in soli due anni, gli studenti che presentano domanda per partire. Sembrano appartenere a due epoche diverse, tanto quelli di ora sono più tormentati e fragili, tra disturbi alimentari, autolesionismo… Dobbiamo rispondere a tutta questa sofferenza diffusa. E dobbiamo farlo subito.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 157, 2021

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Messe le basi, è tempo di ricostruire ultima modifica: 2022-05-09T11:10:46+00:00 da Giulia Galeotti

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