Antonio ha 24 anni, un bel viso tondo e simpatico. Da quando lo conosco mi pare abbia sempre «fatto il passivo»: se uno gli dice «guarda che la scarpa è slacciata», ti porge il piede aspettando che faccia, tu, il lavoro di allacciargliela. Quando arriva la madre con la giacca, lui stende il braccio per essere vestito. Quando si balla si fa trascinare, quando si lavora non guarda neanche il lavoro e regge appena gli oggetti. Spesso quando gli si parla non risponde e fa anche lo «stupido». Ascoltare la musica, sì, questo gli piace, oppure lasciare suonare gli altri. Sempre questa passività che porta i miei sentimenti verso di lui dalla tenerezza all’esasperazione.
È vero che quando Tea gli mette in mano una marionetta e che, con la sua, comincia un dialogo fra marionette, Antonio è vivo, parla anche un poco. Ma allora Antonio, cosa ti manca per essere più dinamico, per agire, tu, per dire « Io faccio »?

L’altro giorno, finito il laboratorio, siamo tutti indaffarati a mettere a posto sedie, materiale, lavoretti, eccetera, prima di bere il té delle cinque e di giocare. Vedo Antonio con la spugna in mano. Vedo Antonio che pulisce il grande, sporchissimo tavolo (abbiamo lavorato la creta): chi glielo ha chiesto? Non lo so ma pulisce, pulisce, pulisce, con energia e perseveranza. Quando siamo tutti pronti, meravigliato dal suo efficace lavoro qualcuno suggerisce un applauso che scoppia, da tutte le mani, con grande entusiasmo. Di fatto questo esasperante Antonio è carissimo a tutti.
E andiamo a sederci tutti in un altro angolo della stanza per il té. Ma dopo un po’ mi volto e vedo Antonio che con energia si è rimesso al lavoro, a pulire, invece di venire a prendere il té coi biscotti (e si che Antonio è un mangione!).
Antonio, cosa ti spinge, tu, il «pigro», il passivo, a darti ancora tanto da fare? Forse il successo? L’applauso ti ha dato una grande soddisfazione. Non credo di sbagliarmi. Tu, come tutti noi, hai, senza saperlo — e anche noi ce ne dimentichiamo spesso — un grande bisogno di avere un ruolo, di essere davvero protagonista, riconosciuto, di poter dire, anche se non lo dici, «Io ho pulito il tavolo!».

N.S., 1993

Non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che questo giovane è un giovane, che quest’uomo è un uomo e che, anche se «mancante di qualcosa», ha alle spalle 15, 20, 35 anni di vita vissuta, con tutto quello che ciò comporta di maturità e di esperienza. Senza dubbio non saprà dirlo, spesso nemmeno manifestarlo, ma noi, nel dialogo, nel nostro comportamento, dobbiamo rivolgerci alla sua età reale, e non considerarlo come un grande-bambino.

Anne Yvonne Bouts, 1993

Nicole Marie Therese Tirard Schultes
Ha studiato Ergoterapia in Francia e negli Stati Uniti, co-fondando nel 1961 l'Association Nationale Francaise des Ergotherapeutes, (ANFE).
Trasferitasi a Roma, incontra Mariangela Bertolini e insieme avviano nel 1971, su invito di Marie-Hélène Mathieu, le attività di Fede e Luce e partecipano all'organizzazione del pellegrinaggio dell'Anno Santo del 1975. Dal 1983 al 2004 cura con Mariangela la rivista Ombre e Luci. Per anni ha organizzato il campo estivo per bambini e famiglie sul campus della scuola Mary Mount a Roma.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.43, 1993

Sommario

Editoriale

Si fa sera di Mariangela Bertolini

Se la notte è agitata

Prima di andare a letto intervista a M.Réthoré
Se dorme male di D. Laplane
Di notte bagna... di P. Lemoine
Io grido verso te

Altri Articoli

Imparando a vivere bene con Jimmy di M.S. Tomaro
Viviamo da soli intervista a Romolo e Remo
Quando i genitori si rimboccano le maniche di Antonio e Milena
Ce l'abbiamo fatta di Milena

Rubriche

Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Proviamo un'altra volta

Libri

Cammino di preghiera, M. Quoist
Esploderà la vita, AA.VV.
La cinquataseiesima colonna, M.Gillini e M.Tonni
La forza del debole, E. Robertson

«Io ho pulito il tavolo» ultima modifica: 1993-06-21T09:53:31+00:00 da Nicole Schulthes

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