Viciomaggio. Un paesino presso Arezzo, con un centro scolastico e riabilitativo gestito dalle suore di S. Marta. Sul cancello una targa: Centro Medaglia Miracolosa (aggiornamenti sull’Istituto qui, n.d.r.). La premessa non suona esaltante, perciò la sorpresa è tanto più grande: un centro e una scuola di questa qualità non li avevamo ancora visti.

L’esperienza ci ha insegnato a cercare in una scuola, in un istituto, in un laboratorio che si occupa di ragazzi con difficoltà, oltre alla parte tecnica e professionale (preparazione degli operatori, qualità delle attrezzature, confortevolezza degli ambienti), la qualità umana. E abbiamo imparato a misurarla attraverso «segni» differenti che possono in genere apparire insignificanti. Un modo di comunicazione e di espansività dei bambini e ragazzi, percepibile anche dietro il velo della timidezza o la barriera dell’handicap; il modo di esprimersi degli operatori (assistenti, insegnanti, personale vario); l’arredamento che può anche essere di buona qualità, ma freddo; i quadri, i disegni gli ornamenti che definiscono la cultura di un centro meglio di lunghi discorsi; tanti altri elementi, perfino l’odore, possono descrivere la qualità umana di una scuola, di un istituto.

Con sei occhi per due ore, dalle cucine alle camere e ai bagni dei bambini residenti, dalle classi in orario scolastico alla sala da pranzo durante il pasto, dai laboratori per l’addestramento professionale alle schede che descrivono, realmente, i vari aspetti della vita e della crescita dei ragazzi, non siamo riusciti a trovare un elemento negativo o scadente.

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Il Centro consiste di scuola materna, scuola elementare parificata, centro di addestramento professionale per ragazzi con problemi dopo la scuola dell’obbligo, convitto, servizi di terapia, riabilitazione e pronto intervento esterno per bambini e ragazzi handicappati in situazioni sociali particolari.

La scuola

La nostra visita comincia dalle aule. Le classi sono di 8 – 10 ragazzi, due o tre dei quali con problemi. Le attrezzature didattiche, i numerosi oggetti e strumenti scientifici artigianali costruiti dalla classe, i terrari, i disegni e i collage che illustrano aspetti della realtà umana, sociale, naturale, fatti con i materiali più diversi e con risultati eleganti e originali, il comportamento dei ragazzi vivace, spontaneo, ma senza confusione: tutto rivela un lavoro didattico di prim’ordine.
L’integrazione è reale come raramente capita di vedere: si capisce dai lavori dei ragazzi con problemi e dal rapporto naturale, quasi spiritoso che hanno con gli altri, senza quelle «particolari attenzioni» e «accentuate affabilità» che tradiscono la finta integrazione, che è stata così spesso il misero risultato della legge sull’integrazione scolastica.
La scuola è gratuita. I bambini con problemi, molti dei quali vengono anche da lontano, in genere dormono qui (quelli che possono tornano a casa per il fine settimana); gli altri bambini sono del paese o vengono da Arezzo con lo scuola-bus.

La mattina si seguono gli insegnamenti previsti dai programmi. Dopo il pranzo e la ricreazione i bambini si dividono in cinque gruppi, misti per età, e fanno, a scelta, musica, dattilografia, stampa, animazione, attività scientifiche. Poiché ogni ciclo di attività dura due mesi, ogni gruppo finisce col farle tutt’e cinque nel volgere dell’anno scolastico.

I bambini con problemi non sono mai separati dagli altri, esclusi i momenti di terapia e riabilitazione.
Nel Centro intervengono specialisti di riabilitazione motoria e psicomotoria, di ortofonia e logopedia, di psicoterapia. I terapisti lavorano a contatto con gli insegnanti, cosicché l’opera degli uni si integra e potenzia con quella degli altri.
Fra le attività del tempo pieno, la dattilografia si è rivelata di particolare efficacia didattica, sia per imparare l’ortografia, sia per i ragazzi affetti da dislessia o disturbi simili.
Gli insegnanti sono tutti specializzati e — si capisce dal modo di lavorare — appassionati. «Siamo noi a sceglierli», dice con orgoglio la direttrice che ci accompagna, «anche se così perdiamo il 60 per cento del contributo pubblico».

In un’aula una maestra con quattro bambini non ancora «scolarizzati» stanno cominciando la vita di gruppo. «Bisogna cambiare attività non appena si stancano», spiega, «per stimolarli di continuo e tenerne viva l’attenzione». Sviluppare la capacità di concentrazione è il primo passo della scolarizzazione.

Emergono di continuo particolari educativi carichi d’intelligenza e di affetto. Ecco due quadretti di ottimo gusto, con le linee fatte di teste di chiodi; ecco un collage che usa sapientemente i trucioli di matite temperate. Questi sono di un bambino che sapeva solo battere chiodi; quello è di un bambino che non voleva fare altro che temperare matite. Sono modi di dare espressione e fine ai gesti stereotipi di ragazzi serrati nell’handicap.

L’attività di addestramento al lavoro, che ha anche scopo terapeutico, è fatta in tre corsi: ceramica, tessitura, lavoro del cuoio. Li conducono ergoterapiste specializzate nell’università di Siena.

Storia

Il Centro sorge come una delle tante opere di carità della Chiesa, ma con alcuni caratteri propri: un particolare legame con la gente del paese (con il territorio, si usa dire oggi) e il senso pratico di un ordine che il fondatore aveva voluto «per lavorare». «Delle volte penso che esageriamo» commenta suor Maria con un sorriso.

Nel 1917, in un periodo difficile per il paese, segnato come tanti altri dalla miseria per i contadini di questa campagna, don Natale Barbagli, nato qui, vuole che sia fatta una casa «da dare ai figli di quell’umile frazione… (che) in qualunque modo possono dirsi abbandonati».

La gente del luogo apprezza le suore di S. Marta che accolgono i bambini in una casa di Viciomaggio. Il paese «sente» le suore come parte della comunità, tanto che costruisce per l’Istituto Medaglia Miracolosa una nuova casa lavorando gratis e avendo ottenuta la dispensa del vescovo per il lavoro domenicale.
«Si lavorava sodo — ricordano ancora alcuni anziani — e gratis, anche la domenica mattina perché s’era capita la cosa. Ci si era affezionati alle suore che insegnavano alle nostre figliole il cucito, a cantare alla Messa, e tenevano i piccini intanto che le su’ mamme stavano nei campi, e facevano le punture e medicamenti ai malati di spagnola e agli altri, che ce n’erano sempre.»
Nella nuova casa c’è la scuola materna, l’elementare, l’ambulatorio, l’internato, dove sono accolti fino a 120 bambini durante l’ultima guerra, con i suoi giorni più tragici quando qui passava il fronte.

Nel 1957, dietro sollecitazioni e con l’aiuto della Provincia e di vari enti e associazioni, nasce l’istituto medico pedagogico «Medaglia miracolosa». Il suo fine è svolgere «attività sanitaria, psicologica e sociale affinché i bambini handicappati possano sviluppare la loro personalità ed essere inseriti nella società…»
Stima e collaborazione caratterizzano i rapporti con la gente e con gli enti locali.

Le educatrici credono veramente nell’importanza dei rapporti tra i bambini e li favoriscono

Alla fine degli anni ’60 e ’70, si sviluppa in Italia un’ondata di cambiamento culturale, che porta, nel mondo dell’handicap e della malattia mentale, la chiusura degli istituti e l’integrazione scolastica. Oltre a metter fine a forme insopportabili di indifferenza e segregazione, oltre a dare alcuni salutari scrolloni, l’ondata solleva un fango di demagogia, di velleitarismo. Il Centro di Viciomaggio, essendo privato e guidato anche secondo principi religiosi viene ostacolato in ogni modo dalle istituzioni pubbliche direttamente preposte al controllo della sua attività.

«Siamo stati boicottati in ogni convegno — la crescita di questi anni recenti, è avvenuta più malgrado gli enti locali che col loro aiuto», dice con amarezza e un po’ d’orgoglio Suor Maria.

Per una vita in famiglia

Mentre racconta e spiega, continuiamo la visita. La cucina pulitissima con un buon profumo. La sala da pranzo con i tavoli da 6-8 ragazzi, ben apparecchiati con tovaglie di stoffa. Le stanze dove dormono i ragazzi che non possono tornare a casa tutte le sere: stanza da sei-otto letti bene separati, con le diverse sopraccoperte e i vari orsi, pupazzi, bambole di ognuno. I servizi abbondanti, perché i ragazzi che si vogliono portare all’autosufficienza, impiegano molto tempo a far le loro pulizie.

Dopo le pulizie personali e la cena, continua la nostra guida, i bambini hanno il loro tempo privato di gioco. Possono vedere qualche programma televisivo adatto, non più di un’ora il giorno, oppure giocare, e non finirebbero mai.
Si vede che qui i bambini stanno bene, ma — insiste la direttrice — facciamo il possibile, in diverse occasioni anche di più, per mantenere i legami dei ragazzi con le famiglie e assicurare loro il rientro. È la prospettiva di una vita in famiglia che dà senso e stimoli al lavoro che facciamo qui con i ragazzi.

Quando il rientro in famiglia è impossibile, la profonda comprensione che la gente di queste campagne ha per quel che facciamo, permette spesso la soluzione delle adozioni. Negli anni ’82 e ’83, 17 ragazzi handicappati sono stati adottati da famiglie della zona.
È un risultato come questo, è lo stile di questa scuola, sono i rapporti umani che si intuiscono, sono tutti particolari che disegnano un modo di «aiutare» questi ragazzi veramente rispettoso, intessuto d’affetto, consapevole della loro pari dignità umana e trascendente.

Sergio Sciascia, 1985

 

 

 

Sergio Sciascia, nasce a Torino nel 1937 ma si trasferisce a Roma con la famiglia pochi anni dopo. Fin da piccolo manifesta una spiccata passione per lo scrivere e per il capire le cose che lo circondano, e di questi due aspetti farà il mestiere di una vita. Una collega, amica della primissima Fede e Luce romana, mette in contatto Sergio con Mariangela Bertolini e con l’idea di trasformare il ciclostilato “Insieme”che legava le poche comunità italiane di Fede e Luce in qualcosa di più. Era l’autunno del 1981. Nasceva Ombre e Luci e Sergio accettava di esserne il direttore responsabile.

Sergio Sciascia

Giornalista

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.12, 1985

Editoriale

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Rubriche

Dialogo aperto n. 12
Vita di Fede e Luce n. 12

Libri

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112 suggerimenti per un corretto rapporto con gli handicappati

Qui “integrazione” non è una parola ultima modifica: 1985-12-26T12:50:23+00:00 da Sergio Sciascia

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