Da 11 anni passano due settimane di vacanza insieme.
Persone diverse e varie fra loro: bambini e giovani con handicap, amici, mamme, che vivono a Roma ma che provengono da ogni angolo della terra, quindi di razza, di cultura, di religione e di lingue le più svariate.
Molti partecipanti, prima di questa vacanza, non avevano mai visto una persona handicappata.
«Siete pazzi!» «Non ce la farete!» ci dicevano fin dall’inizio. Eppure ogni anno ricominciamo; ogni anno gli amici dicono: «Ritornerò!». I genitori ci dicono: «Continuate!». I bambini ci salutano «All’anno prossimo!» e perfino «A domani!»

«Settimane di sole» — come le chiamiamo ora — sono nate per iniziativa di una mamma straniera, residente a Roma, che era stata costretta a separarsi dal proprio figlio handicappato e che voleva esprimere alle altre mamme la sua solidarietà. Ha trovato delle amiche, ha trovato delle suore che hanno messo a disposizione il giardino, la piscina, qualche aula della loro scuola.
Le mamme amiche hanno portato i figli più piccoli perché non potevano lasciarli a casa; hanno chiesto ai figli più grandi di dare una mano. Ed ecco, il gruppo si è formato, è durato; e si è scoperto, anno dopo anno, un luogo di incontro un po’ eccezionale.
«A me è piaciuta molto la settimana con le persone handicappate. Di solito i giovani sono imbarazzati di fronte a loro. Qui è tutto il contrario. Gli handicappati imparano a fare le cose come noi. Davvero mi sono trovata molto bene. La gente era simpatica e ci siamo divertiti molto.
A me stare con le persone handicappate mi ha dato soddisfazione e gioia». Così una bambina si esprime dopo un soggiorno al Marymount.

 

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In pratica, che lingua parliamo, che cosa facciamo?
Parliamo soprattutto Inglese, lingua internazionale, e Italiano, lingua locale. Gesti, attività e affetto fanno il resto. E poi molte persone handicappate parlano poco o per niente, il che ci forza in ogni modo alla comunicazione non verbale e ci libera dalle barriere linguistiche e culturali.

Il numero dei partecipanti non è fisso, ma preferiamo restare tra le 40 e 50 persone. Sopra i 50 si diventa una piccola folla che crea un’altra atmosfera ed esigerebbe un altro genere di organizzazione. Le persone handicappate sono 10-15, di età fra i 5 ed i 25 anni, con handicap altrettanto vari; ma cerchiamo sempre di conciliare l’inconciliabile, cioè di essere aperti a tutti ma d’avere, allo stesso tempo, una certa omogeneità senza la quale è impossibile organizzare attività di gruppo. Praticamente questo vuol dire che ogni anno abbiamo fra noi solo uno o due persone molto gravi, che partecipano solo in parte alle attività. Non vogliamo aumentare questa proporzione.

Il programma della giornata è affisso e ci è prezioso come punto di riferimento e ritmo delle attività in un gruppo così eterogeneo e che non è mai lo stesso.

  • 9-9,15 arrivo
  • 9.15-10 giochi all’aperto: pallone, corda…
  • 10- 11 lavori manuali
  • 11- 11,15 merenda
  • 11.15- 11,30 ci si cambia per il bagno
  • 11.30- 12,45 piscina
  • 12.45- 13 cambio
  • 13-13,30 pranzo
  • 13.30- 14,30 siesta e giochi individuali tranquilli
  • 14.30- 15,45 canti e giochi in comune
  • 15.45- 16 merenda e partenza.

Le attività cambiano ogni giorno e anche ogni anno a seconda delle capacità dei volontari. I lavori manuali, per esempio, sono preparati e diretti da: maestre d’asilo, una ceramista, dei giovani pittori, da educatori speciali, o semplicemente da mamme piene di idee.
Così il numero dei giochi e dei canti nel pomeriggio: quando abbiamo dei bravi chitarristi, cantiamo molto; quando abbiamo giovani attivi e creativi giochiamo molto. Sempre, però, c’è una persona responsabile delle attività del pomeriggio.
Ogni persona con handicap è affidata in modo speciale a una mamma o ad un giovane che ne hanno la responsabilità: questo significa sorveglianza in certi casi, ma anche aiuto, stimolo, compagnia, ecc…

Ogni persona con handicap è affidata in modo speciale a una mamma o ad un giovane che ne hanno la responsabilità.

Per quanto riguarda la spesa: abbiamo un bilancio preventivo necessario perché dobbiamo pagare:

  • una polizza di assicurazione;
  • un maestro di nuoto responsabile della sicurezza in piscina;
  • acquisto di un po’ di materiali per i lavori manuali;
  • la pastasciutta di mezzogiorno fornita dalla scuola

Le nostre entrate provengono:

  • da un contributo modestissimo richiesto alle famiglie delle persone handicappate;
  • dalla quota di ogni partecipante per il pranzo;
  • da qualche dono;
  • per la maggior parte dal contributo di un Club internazionale di signore della FAO (Food and Agricolture Organization) che è anche il responsabile legale del soggiorno.
  • Ogni anno la preparazione di queste due settimane esige alcune riunioni (Aprile, Maggio e una prima del soggiorno), molte telefonate, visite soprattutto a casa delle persone handicappate nuove.

Partecipano a queste riunioni le persone che si impegnano a venire ogni giorno al Marymount e che accettano le responsabilità.

Durante queste riunioni si assegnano i compiti:

  • chi si occupa dell’assicurazione;
  • chi del trasporto;
  • chi dei contatti con il bagnino;
  • chi di mettere date e avvisi alla FAO e alle scuole straniere;
  • chi di provvedere alle merende (trovare amici che preparino torte o che comprino biscotti e bibite) ;
  • chi di animare i lavori manuali o trovare chi lo farà;
  • chi di stabilire i contatti con le famiglie vecchie e nuove delle persone handicappate.

La burocrazia è ridotta al minimo, ma dobbiamo fotocopiare:

  1. foglio per i genitori delle persone handicappate con le notizie sul luogo, data e programma;
  2. foglio che devono restituirci con nome, indirizzo e qualche informazione sui loro figli (medicinali, diete, problemi particolari)
  3. il consenso firmato per la partecipazione dei loro figli;
  4. foglio in inglese e in italiano da distribuire ai volontari con qualche regola e consiglio.

La persona incaricata delle finanze ogni giorno raccoglie la quota di partecipazione al pranzo. La stessa persona paga le somme dovute e fa un piccolo rapporto finale.

Di solito a settembre facciamo una riunione per fare un bilancio, scambiare le fotografie, ecc… Qualche volta ci siamo ritrovati un sabato pomeriggio al Marymount con tutte le famiglie; sono pomeriggi molto simpatici, ma purtroppo difficili da organizzare a causa dell’instabilità del gruppo dei volontari (quasi tutti stranieri e più o meno di passaggio).

Marymount non è solo un momento di vacanza eccezionale; è anche per molti «porte che si aprono, mentalità e cuori che si allargano». Testimone di questo una mamma canadese che racconta come ha vissuto l’esperienza «Settimane di Sole» nel testo che segue.

«Davvero mi sono trovata molto bene. La gente era simpatica e ci siamo divertiti molto».

Per prima cosa mi ricordo i dubbi e la preoccupazione. Mi ero offerta volontariamente per aiutare al Marymount Day Camp of Handicapped Children che l’«United Nations Women’s Group» (UNING) organizza ogni estate. Non avevo mai conosciuto un bambino handicappato. Li capirò? Anche mio figlio Tim, di dieci anni verrà con me. Starà bene? Gli stiamo chiedendo troppo?

Arriviamo presto il primo giorno. Guardiamo all’interno delle aule: i giocattoli sono accuratamente disposti nella grande stanza dei giochi; carte lucenti, pezzi di stoffa, penne, libri e matite colorate. Tutto pronto per l’uso per il lavoro manuale; i materassi ammucchiati nella «Quiet room» pronti per il riposo del pomeriggio. Annie e Nicole appaiono preoccupate nel decidere chi dovrebbe occuparsi di ogni bambino, chi aiuterà per le pulizie, quello che dovrebbe essere il programma della giornata. Circa sei aiutanti da altrettanti paesi, sono già lì. Altri ne arriveranno insieme ai bambini con il pulmino. Tim ha già trovato un compagno di scuola.
All’improvviso l’intera atmosfera cambia come se ognuno si aprisse alla vita. Corriamo giù per le scale, la porta del pulmino si apre e un caos di bambini felici e ridenti si riversa fuori. Esclamazioni di benvenuto e gioia da tutte le parti. I «terribili gemelli» Roberto e Carlo prendono il volo per due diverse direzioni, con una coppia di agili ragazzi del Marymount all’accanito inseguimento. Velocemente il programma della giornata si trasforma in azione: i nostri bambini e gli studenti volontari si uniscono ai giochi più attivi del calcio, pallavolo, pallacanestro, mentre i più piccoli giocano a rincorrersi, al salto, alla corda. Tutti tranne i «terribili gemelli» il cui gioco consiste nel gettare ogni palla di cui riescono ad impossessarsi fuori dal recinto.

Poi viene il momento del lavoro manuale e di una tranquilla riunione con giocattoli e costruzioni. Pat sta aiutando il piccolo Andrea nella scrittura e nei numeri. La giovane Nathalie e Sandra stanno organizzando la merenda del mattino e parecchi di noi sono completamente occupati nell’impedire ai gemelli di demolire tutto prima che gli altri arrivino. L’ora del nuoto ci porta al momento del pranzo con vorace appetito.
Dopo un qualcosa eufemisticamente chiamato «momento del riposo», il pomeriggio passa veloce, riempito di canti e giochi. Quest’anno c’è una gioia speciale: Sister Gertrude della St. Francis school, ha portato la sua chitarra e conosce tutte le nostre canzoni preferite.

Le due settimane volano in una successione di giorni di sole, riempiti di suoni dorati di risate, canzoni, musica, giochi e amicizia. Improvvise lacrime si asciugano velocemente come le piogge estive e una voce rabbiosa sarebbe come un intruso sconosciuto.
Isolati ricordi restano nella memoria: la pura beatitudine di Andrea mentre dirige il coro in inglese di «Happy Birthday Andrea», il teatrino dei burattini creato dai nostri stessi bambini che riceve un’ovazione da far invidia a una qualsiasi prima donna; l’espressione di enorme soddisfazione sul viso dei gemelli quando una macchina della polizia si ferma e i due agenti scendono per restituire loro la palla e poi fanno una chiacchierata; il timido e schivo Francesco che balla «Skip to My Loo»; la dolce e gentile Giorgina che ridacchia alle buffonerie di Roberto e Carlo; ma, soprattutto, il vuoto dolore nel cuore quando ci siamo salutati l’ultimo giorno.

Cari bambini: io e Tim non vediamo l’ora di rivederci tutti il prossimo anno!

di una Mamma, 1986

Nicole Marie Therese Tirard Schultes
Ha studiato Ergoterapia in Francia e negli Stati Uniti, co-fondando nel 1961 l'Association Nationale Francaise des Ergotherapeutes, (ANFE).
Trasferitasi a Roma, incontra Mariangela Bertolini e insieme avviano nel 1971, su invito di Marie-Hélène Mathieu, le attività di Fede e Luce e partecipano all'organizzazione del pellegrinaggio dell'Anno Santo del 1975. Dal 1983 al 2004 cura con Mariangela la rivista Ombre e Luci. Per anni ha organizzato il campo estivo per bambini e famiglie sul campus della scuola Mary Mount a Roma.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.15, 1986

Sommario

Editoriale

Se loro non si muovono di Mariangela Bertolini

Articoli

La fortuna di avere Daniela di Gertrude Calenzani
Per un risveglio religioso dei più handicappati di Henri Bissonier
Casa Sacra Famiglia 
Mary Mount: Settimana al Sole di Nicole Schulthes

Rubriche

Dialogo aperto
Vita Fede e Luce

Mary Mount: Settimane al sole ultima modifica: 1986-09-27T12:33:05+00:00 da Nicole Schulthes

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