“Ritrovarmi in mezzo a tanta gente mi dava un po’ fastidio, però…”; “Chi sta con me e sente le stesse cose abbia il coraggio di chiamare il proprio male per nome…”; “Un vicino di casa non ha avuto vergogna a dirmi che gli mandavo su la puzza; io ho sempre cercato di tener più che pulito. Quanto ho pianto da sola per questa offesa…”.

Ad Assisi

Sono andata ad Assisi in condizioni di spirito, come sempre, molto guardinga e piuttosto fredda nei confronti di Fede e Luce.
Proposi a mio marito di andare per conto nostro e lo trovai subito disponibile.
Siamo partiti infatti con la nostra macchina. Assisi, come città medioevale, mi ha colpita molto e ne sono rimasta subito affascinata tanto da sfruttare i pochi momenti che avevamo liberi dagli impegni del pellegrinaggio, per visitarla il più possibile.
Ritrovarmi in mezzo a tanta gente mi dava un po’ fastidio, però tutti gli incontri ai quali ho partecipato mi hanno sempre soddisfatta. Ho conosciuto il Cardinale Martini, uomo di una spiritualità e di una cultura immensa, che ha tenuto una conferenza per tutti noi, genitori di ragazzi handicappati.
Jean Vanier, il fondatore di Fede e Luce e delle Arche, un uomo meraviglioso, parla con molta semplicità e come se raccontasse una favola; predica il Vangelo di Cristo con una spontaneità e sicurezza che mi hanno affascinata e mi hanno lasciata perplessa nello stesso tempo; dico perplessa, perché io mi pongo tante domande e sono presa da tanti dubbi e tante paure, mentre egli, con una certezza, senza nessuna ombra di dubbio, parla di Gesù, con gioia e serenità.
Tutte le liturgie mi hanno sempre emozionata, forse anche per il mio carattere così emotivo, ma il penultimo giorno mi è capitato di vivere un momento del tutto particolare che era lungi da me che potesse verificarsi.
Avevo preso posto a sedere in chiesa, nei primi banchi, per assistere alla S. Messa che avrebbe officiato Padre Enrico della comunità di Napoli. Ad un certo punto hanno aiutato a sedere un ragazzo tetraplegico, vicino a me. Provai subito una sensazione di fastidio e avvertii anche un certo disagio, però facendo atto di umiltà, mi imposi di sorridergli e di rivolgergli la parola. Gli chiesi come si chiamasse, da dove venisse, quanti anni avesse; mi rispose, con molta difficoltà, che si chiamava Martino, che aveva 25 anni e veniva da Parma; io gli parlai di mio figlio Walter.
Iniziò la celebrazione della S. Messa; al Gloria mi sono alzata in piedi e ho aiutato Martino a farlo; la sua persona era goffa e non stava proprio dritto sulle gambe; poggiò le mani sul banco antistante, però la mano destra era così ipertonia che poggiava il polso, mentre la mano era rivoltata in su. Istintivamente gli presi quella mano e cominciai a plasmarla, ad accarezzarla per poterla rendere più distesa, più rilassata, e allora qualcosa di indescrivibile avvenne in me. Sentii per Martino un amore sconfinato, egli e mio figlio Walter potevano essere la stessa persona; mi misi a piangere senza ritegno, mentre una voce dentro di me mi ammoniva dicendo «Martino non ha bisogno delle tue lacrime». Infatti io non piangevo per commiserarlo; ma perché il suo sguardo toccava il profondo del mio cuore, ed io sentivo tanto amore per lui, cosa che mi meravigliava e nello stesso momento mi rasserenava. Ci siamo seduti e non so come, mi sono trovata abbracciata a Martino con la testa sul suo petto e stavo così bene da non volermi distaccare più (…)

Lina Guarnieri

E sono contenta

Leggo sempre con attenzione la vostra rivista non appena arriva all’ANFFAS di Brescia e trovo gli articoli molto interessanti specialmente per me che sono madre di una ragazza mongoloide.
Ben dite che la mentalità corrente deve trasformarsi in solidarietà, amicizia, comprensione per chi nella vita è stato meno fortunato di noi. Io, grazie a Dio, sento nei confronti dei ragazzi subnormali grande amore che ho trasformato in aiuto verso di loro. Da vent’anni lavoro presso l’ANFFAS di Brescia; da nove anni dirigo i laboratori femminili che contano 60 ragazze suddivise nelle varie attività: ceramica, ricamo, cucito, maglieria, bricolage, telaio, e presto felice la mia opera volontaria dopo 40 anni di insegnamento. E di questo mio lavoro sono contenta perché appagata da tanto affetto e riconoscenza.

Maria Salerno

Chiamate il male per nome

Avrete il coraggio di pubblicare questa mia lettera? Non lo so, e forse non so se è giusto quello che sto per dire.
Ho sempre creduto nella comprensione umana in senso generale e senza paratie stagne; ho rifiutato il pensiero che una sofferenza non potesse capirne un’altra, non capivo i club delle vedove, le associazioni per le varie malattie, e forse sbagliavo.
Ho parlato e parlo con i malati di cancro: in tutti ho sentito la solitudine dovuta al non poter parlare serenamente con chi gli stava o gli sta intorno (salvo poche eccezioni), della propria malattia… di quello che forse sarebbe stato il futuro, anche se breve… E così, solo perché ero come loro, si stava delle ore a parlare, senza tragedie, senza compiangersi, ma serenamente, di quello che sentivamo, e di come — forse — eravamo un po’… scomodi per chi ci stava intorno e che si sentiva costretto a «giocare» con noi nel sapere e non sapere!
Una delle persone a me più care, subito dopo la mia diagnosi mi disse sinceramente: «non so come trattarti». E allora capii: non ero più «io», persona, ma il cancro e poi io. Dobbiamo imparare a non alzare dei muri, a non far morire prima del tempo persone che sanno di dover morire e che hanno bisogno di sincerità, anche se questa sincerità porta loro sofferenza.
Io ho una grande fortuna: ho trovato persone non cancerose che hanno capito e per cui non sono la “cancerosa”, ma sono quella che sono sempre stata e che attraversa un periodo difficile come tanti altri.
Scrivo questo perché chi sta con me e sente le stesse cose abbia il coraggio di chiamare il proprio male per nome, e in questo trovi il coraggio di lottare, di curarsi e di incoraggiare gli altri che gli stanno intorno a parlare allo stesso modo. E così troveranno anche la forza di non dover fuggire dalla camera per piangere, perché o non si piange o lo si fa insieme.

Anonimo

La malattia e la sofferenza sono misteri di fronte ai quali siamo tenuti ad essere discreti e delicati, sapendo che il modo di vivere il dolore è del tutto personale e attraversa diversi stadi, prima della consapevolezza e dell’accettazione.
«Comprensione umana» vuol dire quindi cercare di capire quali sono i bisogni e le attese di chi soffre e accogliere rispettando il suo cammino. Non esistono regole.(la redazione)

Quanto ho pianto da sola

Sono in ritardo a rispondere alla vostra tanto gradita, date le condizioni di salute mia e di mia figlia sordoparlante; ma al 10 gennaio scorso sono stati 12 anni che svenne sul lavoro; portata d’urgenza all’ospedale civile di Brescia: credevano fosse il cuore, poi esaurimento, quattro volte in psichiatria, ma a nulla valsero cure di ogni genere, sempre peggiorando giorno per giorno; trovarono una forte cerebropatia dalla nascita, che l’ha ridotta completamente inferma. Tra poco compie 31 anni; io scrivo al chiaro di una pila perché sono le quattro del mattino; ora ha preso sonno nel letto con le sbarre; sono in attesa di una carrozzella; ma tutto va a lungo. Nel 1976 feci domanda di accompagnamento che è mai stata accettata fino a giugno dell’85. Quando la potrò avere? Sono pure vedova da otto armi e vivo con un altro figlio sordomuto che non può parlare perché a due anni è stato colto da encefalite. Tra poco avrà 26 anni ed è poco normale. Io malata tanto di cuore, tromboflebite, artrosi deformante, passo notte e giorno facendo questa brutta vita. Mi sono trasferita qui a … perché sono vicina a due sorelle e un fratello e tanti nipoti che tutti mi danno una mano in giornata. La notte siamo soli e quante notti in bianco. Quante offese ho ricevuto, quante umiliazioni per avere queste disgrazie. Dovrei parlare con voi a bocca ma è impossibile per ora. È già sveglia, non posso continuare.
Un vicino di casa a Brescia non ha avuto vergogna a dirmi che gli mandavo su la puzza; io ho sempre cercato di tener più che pulito. Quanto ho pianto da sola per questa offesa… Vi dico che ne ho sopportate di calunnie e disprezzi sola abbandonata nella tenebra della nebbia di Brescia. Qui è montagna almeno vedo le cime, parlo con loro. Ne ho uno normale di figlio, sposato da 8 anni con due belle bambine normali, ma è lontano 20 chilometri e qualche volta viene a trovarmi ma ha la sua famiglia e sono tutti normali: non comprendono il dolore di una suocera malata, vedova con due disgrazie…

M.C.

Ho scoperto Ombre e Luci

Sono un giovane di 26 anni, volontario da più di 5 nel mondo dell’handicap.
Alcuni giorni fa, facendo visita ad un ragazzino cui ho avuto la fortuna di essere padrino (e instradato nei miei ideali) ho scoperto la vostra rivista e ne sono rimasto entusiasticamente impressionato!
Con queste poche righe vi chiedo se potete farmi avere i numeri di quest’anno, nonché la gioia e i sacrifici nel leggere le vostre esperienze (di cui ne ho una anch’io con un fratello di 42 anni insufficiente mentale). (…).

Angelo D’Amico

Buona idea

Ho ricevuto il numero di Ombre e Luci di Assisi: è fatto molto bene ed è stata una buona idea riportare quanto è stato detto negli incontri con il Cardinale e con Jean Vanier così ognuno di noi ha la possibilità di rileggerli di tanto in tanto per non dimenticare. Se fosse possibile ricevere qualche copia per distribuirla a qualche genitore e amico che non ha avuto la possibilità di partecipare…

Giovanna Bonzi

Merita

Sono lieta di mandarvi questi indirizzi perché la vostra rivista merita veramente di essere conosciuta ed apprezzata.
Ho un figlio h. anche io e da buona cristiana, posso esprimere un giudizio più che positivo.

Vi suggerisco

Mi chiamo Giovanna e vi scrivo da un paese in provincia di Varese. Personalmente vorrei dirvi che a me piace molto questa rivista in quanto invita davvero a riflettere, a pensare, a cambiare il nostro atteggiamento molte volte restio nei confronti di persone portatrici di handicap. Vi scrivo anche per fare una richiesta. Io svolgo volontariato presso centri di handicappati e forse comincerò a lavorare anche in uno di questi e sarebbe molto bello se ci fosse qualche articolo in cui si parla, si spiegano i vari tipi di handicap, le loro caratteristiche, le loro differenze, così da aprire maggiormente i nostri orizzonti su questo campo, per comprendere meglio le varie malformazioni che ci sono e che magari vediamo e non sappiamo distinguere.
Questo è un suggerimento, spero lo accettiate!

Giovanna

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.15, 1986

Sommario

Editoriale

Se loro non si muovono di Mariangela Bertolini

Articoli

La fortuna di avere Daniela di Gertrude Calenzani
Per un risveglio religioso dei più handicappati di Henri Bissonier
Casa Sacra Famiglia 
Mary Mount: Settimana al Sole di Nicole Schulthes

Rubriche

Dialogo aperto
Vita Fede e Luce

Dialogo Aperto n.15 ultima modifica: 1986-09-24T14:11:26+00:00 da Redazione

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