Cos’è bello? Chi definisce cosa sia bello e cosa brutto? “Bello” e “brutto” sono aggettivi qualificativi, che aggiungono qualità a ciò che si sta descrivendo dal punto di vista dell’osservatore, esattamente come “alto” o “basso” dipendono dalla prospettiva di colui che verga il giudizio.

Essere una donna con disabilità non è semplice, perché si è troppo spesso vittime di una doppia discriminazione. Da un lato perché donna e quindi soggetta alle differenziazioni che i movimenti femministi ci ricordano con le loro importanti battaglie come quella contro la disparità salariale, dall’altro lato perché disabili e quindi considerate universalmente incapaci di raggiungere un obbiettivo, svolgere un lavoro, eccetera.

Il periodo più difficile della vita di una persona con disabilità è senza dubbio l’adolescenza. Infatti, nel periodo in cui tutti iniziano le prime scoperte del sé e degli altri, quando tutti cercano di nascondere presunte impercettibili imperfezioni dentro a vestiti larghi e informi, una ragazza con disabilità inizia a fare i conti con un corpo in cambiamento che non risponderà mai ai canoni estetici della società delle show-girls e che non potrà mai nascondere dentro a una maximaglia.

Le adolescenti con disabilità si trovano così davanti a un bivio, un aut aut senza ritorno come avrebbe detto Kirkegaard: nascondersi al caldo della propria cameretta lontano da sguardi indiscreti, o partire alla ventura e imparare a vivere la vita senza farsi condizionare dal giudizio degli altri. Anche questo vuol dire diventare grandi.

Per compiere la scelta della vita tra vivere o osservare gli altri vivere, i modelli di riferimento sono importanti e l’esempio di Melissa Blake, blogger con disabilità americana, può essere determinante per molte ragazze. E molti ragazzi. La donna, affetta dalla sindrome di Freeman-Sheldon che ne influenza l’aspetto fisico, aveva subito molti attacchi dai coetanei che sostenevano che non avrebbe mai potuto realizzare il suo sogno di fare la modella, eppure dopo è stata chiamata a sfilare per la New York Fashion Week, contro ogni pregiudizio. Ma i social network, si sa, sono spesso la tana dei vigliacchi che si nascondono dietro a un monitor per vomitare odio ed è stata più volte oggetto di body shaming, al quale ha saputo rispondere con un’ironia sorprendente: se qualcuno la critica sostenendo che dovrebbe essere bannata dai social per il suo aspetto… lei risponde pubblicando una serie di auto-scatti.

Quello che ci insegna Melissa Blake è proprio a non farci fermare dagli aggettivi che ci circondano e ci descrivono, perché quello che c’è sotto quegli aggettivi possiamo deciderlo solo noi.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 154, 2021

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Cosa c’è sotto gli aggettivi ultima modifica: 2021-07-30T06:05:34+00:00 da Laura Coccia

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