Un batterista perde gran parte dell’udito all’improvviso: i suoni diventano ovattati, si sente come separato dal resto del mondo. Sarebbe destabilizzante per chiunque, ma per chi usa l’udito per lavoro è un colpo durissimo. Ruben (Riz Ahmed) ha un atteggiamento di completa negazione: fa finta di niente finché può, si convince che sia una cosa temporanea. Quando infine ammette che qualcosa non va, si immagina che esista una qualche soluzione. Non è così, o comunque l’intervento chirurgico che lui crede possa essere miracoloso costa troppo; perciò deve imparare ad adattarsi alla sua nuova condizione e, come prima cosa, deve abbandonare l’attività musicale.
Entrando controvoglia a contatto con una comunità sorda, si trova di fronte a un modo di affrontare la vita opposto al suo: la comunità è molto orgogliosa, autosufficiente, trova soluzioni efficaci per ogni aspetto della vita senza rimpiangere l’udito che non si ha più (e che molti non hanno mai avuto). Ruben invece ragiona come qualcuno che ha perso temporaneamente qualcosa di fondamentale, e così non riesce ad adeguarsi al cambiamento drastico. Il rapporto col suo nuovo mentore Joe (Paul Raci) è viziato da questo conflitto da sanare: Joe vorrebbe aiutarlo a iniziare una nuova vita piena di inattese opportunità, Ruben non abbandona la speranza di tornare al passato e non riesce a sviluppare quell’orgoglio che gli altri attorno a lui possiedono.
Il punto di vista è quello di chi sente — l’audio del film entra ed esce dalla soggettività del protagonista senza soluzione di continuità — ma il film è molto rispettoso della comunità sorda e non solo perché molti attori sono davvero sordi; non Paul Raci, che interpreta Joe e viene da una lunga carriera da caratterista, ma conosce bene la lingua dei segni in quanto figlio di genitori non udenti. Anche Riz Ahmed, però, si è impegnato a imparare davvero la lingua dei segni, come anche a suonare la batteria. Queste attività, come anche la sua interpretazione che esprime una disillusione insormontabile, gli sono valse una nomination ai Premi Oscar 2021, dove The Sound of Metal ha vinto come Miglior montaggio e Miglior sonoro.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 154, 2021
SOMMARIO
Editoriale
Nove punti di Cristina Tersigni
Focus: Guardami, questa/questo sono io
Inneschiamo la valanga? di Giulia Galeotti
Cosa c'è sotto gli aggettivi di Laura Coccia
Con gli occhi di Corrado di Giorgia Fontani
Chi mettere al centro dell'obiettivo? di Enrica Riera
Eliminarli dalla nostra vista di Vittore Mariani
Intervista
Far vivere il luogo (e le persone) di cui si è custodi di Cristina Tersigni
Dall'archivio
Quel vecchio signore che non conosciamo di Marie Hélène Mathieu
Testimonianza
Mio figlio, che non voleva vedermi piangere di Grazia Maria Romanini
Associazioni
Quante cose possono nascere intorno a un libro di Cristina Tersigni
Fede e Luce
Piccole cronache dalla Lunigiana dalla Provincia di Kimata
Spettacoli
Incapace di reinventarsi di Claudio Cinus
Arriva Pablo, che vede il mondo a modo suo di Matteo Cinti
Libri
Maneggiare con cura di Marco Bove
Una specie di scintilla di Elle McNicoll
E poi saremo salvi di Alessandra Carati
Quello che non uccide di David Lagercrantz
Diari
Padel, una parola che non si capisce di Benedetta Mattei
Tornando a casa di Giovanni Grossi
La newsletter
Ogni mese inviamo una newsletter
Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.
Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.