Nove punti disposti su tre linee a distanza regolare devono essere uniti da un massimo di quattro righe senza mai alzare la matita dal foglio (conoscete la risposta? Provate prima di proseguire). Nella maggior parte dei casi, chi cerca una soluzione a questo gioco (proposto originariamente dalla scuola di psicologia della Gestalt e ricordato da Angelo Lascioli in “Italian Journal of Special Education for Inclusion” 2, 2016) vede i nove punti formare un quadrato e nel tracciare le linee prova sempre a restarci dentro. La soluzione invece sta proprio nel riuscire ad andare oltre: quel quadrato è uno stratagemma del nostro cervello che prova a incasellare gli stimoli indefiniti dell’ambiente in qualcosa di noto. Per un effetto simile capita di non riuscire ad uscire da uno schema che abbiamo impresso in mente: difronte ad una persona con disabilità vediamo la menomazione o la malattia o la sindrome, che quella disabilità hanno provocato, e non la persona nella sua interezza. Lo schema di essere umano che abbiamo in mente non contempla movimenti incontrollati, malformazioni, limitazioni fisiche o strani comportamenti… la disabilità diventa una categoria a parte, con tutto quel che ne consegue, e non una possibilità dovuta alla complessità della vita nella quale tutti dovremmo riconoscerci.

La debolezza e i limiti che le attribuiamo ci spingono a rimuovere quella possibilità, almeno finché possiamo, perdendo però tanto della nostra umanità in questo mancato incontro. La buona notizia è che la nostra mente può essere educata: la consapevolezza di questi automatismi è già un buon primo passo! Il secondo – ne siamo convinti da 50 anni con Fede e Luce e da quasi 40 con Ombre e Luci – è invece quello di incontrare e conoscere le persone con disabilità, le loro famiglie, le loro storie… e che impariamo, bene, a guardarle! Come invita a fare anche l’inno composto per il cinquantesimo di Fede e Luce (al quale dedicheremo il focus nel quarto numero) con semplici e sentite parole che ripete cinque volte proprio il verbo guardare e sottolinea in viso in una delle strofe. Il terzo passo poi sarà quello auspicato da Alexandre Jollien, filosofo con una paralisi cerebrale: considerato che «la vita è, in realtà, una cosa seria, difficile… malgrado ciò si farà di tutto per renderla bella, gioiosa e solidale» (OL n.79). Rimbocchiamoci le maniche e… cominciamo a camminare.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 154, 2021

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SOMMARIO

Editoriale
Nove punti di Cristina Tersigni

Focus: Guardami, questa/questo sono io
Inneschiamo la valanga? di Giulia Galeotti
Cosa c'è sotto gli aggettivi di Laura Coccia
Con gli occhi di Corrado di Giorgia Fontani
Chi mettere al centro dell'obiettivo? di Enrica Riera
Eliminarli dalla nostra vista di Vittore Mariani

Intervista
Far vivere il luogo (e le persone) di cui si è custodi di Cristina Tersigni

Dall'archivio
Quel vecchio signore che non conosciamo di Marie Hélène Mathieu

Testimonianza
Mio figlio, che non voleva vedermi piangere di Grazia Maria Romanini

Associazioni
Quante cose possono nascere intorno a un libro di Cristina Tersigni

Fede e Luce
Piccole cronache dalla Lunigiana dalla Provincia di Kimata

Spettacoli
Incapace di reinventarsi di Claudio Cinus
Arriva Pablo, che vede il mondo a modo suo di Matteo Cinti

Dialogo Aperto

Libri
Maneggiare con cura di Marco Bove
Una specie di scintilla di Elle McNicoll
E poi saremo salvi di Alessandra Carati
Quello che non uccide
di David Lagercrantz

Diari
Padel, una parola che non si capisce di Benedetta Mattei
Tornando a casa di Giovanni Grossi

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Nove punti ultima modifica: 2021-07-19T00:07:29+00:00 da Cristina Tersigni

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