La comunità di Don Orione non ha una parrocchia di riferimento. Ci ha recentemente aperto le porte una parrocchia di Palidoro: una bella località di mare, a circa 40 Km da Roma.

Pensando a questa nuova sistemazione in una località di mare, mi è tornata in mente la storia di Nemo, il pesce protagonista dell’omonimo cartone animato (che è stato il tema centrale del campo estivo di due anni fa alla “Bicoca”). Nemo è un pesciolino orfano di madre, e ha un piccolo handicap: una pinna atrofica (più piccola dell’altra).

È stato educato da un padre estremamente apprensivo e protettivo. Durante il suo primo giorno di scuola, viene pervaso da un forte senso di libertà e decide di affrontare il primo grande pericolo della sua vita: nuotare da solo nell’oceano aperto. Purtroppo viene catturato da un sub, che lo porterà nell’acquario di uno studio dentistico a Sydney, dall’altra parte dell’oceano. In quest’acquario Nemo incontrerà altri pesci, perché nati e cresciuti in cattività, rinchiusi da sempre tra quelle quattro pareti di vetro, disposti a tutto pur di fuggire via, perché «l’acquario ti cambia dentro».

Mi viene spontaneo paragonare le “casette” domenicali all’acquario di Nemo. Un luogo asettico, riproduzione più o meno fedele della realtà, in cui si fanno più o meno sempre le stesse cose, in presenza degli stessi pesci. Nel mare aperto – o meglio ancora, nell’oceano – è invece possibile incontrare creature sempre nuove.

L’ho detto durante l’ultima riunione di comunità, affermando che negli ultimi anni non sono più andato alle casette, perché «non credo nelle casette». Secondo me, i pochi momenti di condivisione che concediamo ogni mese (o quasi) a quelli che chiamiamo “ragazzi” -indipendentemente dalla loro età- sono sprecati nelle quattro mura di una parrocchia, in cui si finisce per fare sempre gli stessi canti, le stesse attività e gli stessi pranzi al sacco. Sono momenti sprecati non tanto per le attività in sé, che sono bellissime e divertenti, quanto perché stando al chiuso, non si ha la possibilità di incontrare persone nuove, e neanche di condividere questi bei momenti con chi non ha mai “toccato” la realtà dell’handicap.

Durante la riunione, ho fatto una proposta in cui credo molto: promuovere il cosiddetto “quarto tempo”, a “primo tempo”; ossia ricominciare a fare esperienze sempre nuove nella nostra amata città. Abbiamo la fortuna di vivere a Roma: gli spazi certo non ci mancano! Quanto sarebbe bello ad esempio organizzare una “casetta” a Villa Pamphili, giocare con i ragazzi e i bambini sul prato, accanto ad altre famiglie, e far vedere loro che in fin dei conti un handicappato è una persona che riesce a divertirsi, ridere giocare, come tutti; e non un termine del vocabolario da usare insieme a “Down” per offendere, come sinonimo di “stupido” o “scemo”.

Per questo mi piacerebbe organizzare dei tour delle chiese di Roma, andando a seguire la messa ogni domenica in un posto diverso, con gli amici e i ragazzi che vorranno partecipare ad una sorta di “pellegrinaggio cultural-religioso”, magari accompagnati e/o accolti dagli scout e dai seminaristi.

Tra l’acquario e l’oceano, io non ho dubbi: scelgo l’oceano!

Emanuele Mendola Roma – Kimata

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129

Tra l’acquario e l’oceano ultima modifica: 2015-03-19T10:50:08+00:00 da Redazione

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