Ricordo sempre il giorno in cui l’ho conosciuta. Eravamo nella Parrocchia di Santa Silvia, dove io, dopo gli anni giovanili, mi riaffacciavo titubante al mondo del volontariato; era seduta davanti alla scrivania del parroco Don Benedetto che ci presentò. Di fronte al suo sorriso dolce ed accogliente, devo dire che rimasi scettica, come dire: “troppo bello per essere vero!”. Temevo di trovarmi davanti alla solita “buona” signora un po’ paternalistica, assidua parrocchiana… L’incontro, comunque, andò bene, quella signora dalla testa bianca e dallo sguardo del colore del cielo di montagna, mi piacque. Altro che buona signora! era una specie di motore da cento cavalli, promotrice di attività, di idee e soprattutto di cultura cristiana. Il parroco, che ne aveva grande stima e fiducia, le aveva dato l’incarico di coordinare tutte le attività della carità, un settore che in quel periodo, era in grande fermento.

Io muovevo i primi passi nell’avvio di un Centro di Ascolto Caritas, e, dopo quell’incontro, ho cominciato a camminarle accanto ed ho continuato a farlo per oltre 25 anni, finché lei, non mi ha lasciato la mano…

Mi ha insegnato tanto e non solo nelle attività di volontariato; la sua esperienza mi ha aiutato anche sul piano professionale; come assistente sociale ho trovato infatti la giusta ispirazione per coniugare professionalità e vita cristiana. Perché mi ha fatto vedere, con il suo esempio, che si è cristiani sempre, in ogni circostanza della vita.

La ricordo all’interno del Consiglio pastorale con i suoi interventi schietti, incisivi, propositivi.

Non amava chi veniva lì per suscitare sensi di colpa o per farsi vedere bravo, mi ha insegnato che tutti siamo poveri. Mi ricordo quando si arrabbiava per i tanti ragazzi che consumavano i loro jeans sugli scalini della chiesa ed insisteva perché fossero coinvolti in attività di volontariato anche semplici.

Non amava le messe settoriali: bambini, giovani, adulti.. “la famiglia deve andare insieme a messa” diceva.

Tanta strada ho fatto con lei… anche in macchina. Per andare al Carro, una volta eravamo talmente prese a parlare che ci siamo ritrovate ad Ardea, molto oltre la traversa che porta alla Casa Famiglia. I nostri viaggi in macchina, soprattutto più recentemente per andare insieme a Ombre e Luci, erano per noi momenti di grande scambio. Parlavamo di tutto, di figli, di mariti, di parenti. di cucina… e lei mi ha raccontato tanti piccoli episodi, frammenti della sua vita che ho così pian piano ricostruito come in un puzzle, tra momenti tristi e allegri: la famiglia patriarcale, la forza d’animo della mamma…Chicca, la nascita di Fede e Luce…

Molto spesso parlavamo del mio lavoro e lei partecipava alle situazioni di cui le raccontavo e dopo tanto tempo, anche senza conoscerne i nomi, mi chiedeva notizie. Da parte mia la consideravo il mio “saggio” e ogni tanto le chiedevo di “salire sulla montagna” per parlarle. Sapeva ascoltare senza giudicare, sapeva consolare e diceva la sua opinione senza lasciarti mai l’amaro in bocca.

Dopo qualche tempo che ci conoscevamo, io pensavo dentro di me di aver incontrato una persona non solo brava e in gamba, ma anche molto buona. Forse lei me lo ha letto nel pensiero perché un giorno mi disse: “non pensare che io sia buona, perché io sono cattivissima!!!” “Ma va – risposi io – non ci credo!”. In effetti facevo bene a non crederci! Tuttavia in molte occasioni ho avuto modo di assistere a varie sue “sfuriate”, la prima che mi lasciò stupita e trasecolata fu con il suo amato nipote Matteo, nei primi anni del Carro, nel corso di una riunione di Consiglio. Per alleggerire, almeno un po’ il peso di un quotidiano tanto impegnativo nella giovane Casa Famiglia, lei proponeva l’acquisto di una lavastoviglie, ma Matteo si opponeva con forza, ritenendo l’oggetto un lusso. Ne è scaturito così, tra zia e nipote, uno scontro verbale molto intenso, io ero molto stupita e un po’ preoccupata, ma mi sembrava che gli altri, che li conoscevano meglio, seppur dispiaciuti, trattenessero qualche risolino! E infatti in seguito ho capito che lei si arrabbiava e discuteva soprattutto con le persone che stimava e a cui voleva bene. È per questo che quando ha cominciato ad arrabbiarsi un po’ anche con me, ne sono stata lusingata. Era sincera, mai ipocrita e non diceva mai una cosa per benevola accondiscendenza. Sapeva esprimere grande tenerezza, spirito di condivisione, quel modo di accogliere che seppure criticava, ti faceva sentire che era sempre lì con te, capace di disapprovare anche il comportamento di un ragazzo disabile, se necessario, proprio perché ne aveva un grande rispetto.

Questo contrasto tra la sua tenerezza e la sua decisone l’ho potuto constatare anche negli ultimi giorni.

Era in ospedale, non mangiava quasi più, parlava pochissimo, pur dimostrando sempre grande lucidità. Le avevo portato due tipi di biscotti, scelti con cura per evitare ingredienti che le potessero far male, un tipo era ai mirtilli. Suo figlio Nanni le chiedeva quali preferisse e lei indicava con gli occhi una delle due buste, ma noi non capivamo, allora con voce chiara e stentorea disse: mirtilli! Abbiamo sorriso, per me credo sia stata l’ultima parola che le ho sentito dire, se non qualche bisbigliato saluto. Mi piace questa parola, sa di lei, inoltre io assimilo i mirtilli alla montagna, dove negli anni passati ne ho raccolti e mangiati tanti. Ed anche se non siamo mai riuscite ad andarci insieme, “lei sapeva di montagna”.

Diciamo tutti che era un persona eccezionale, ma questo non deve costituire un alibi per noi che ci sentiamo, quando va bene, solo normali. Mariangela ha avuto sicuramente tanti talenti, ma li ha messi tutti a frutto, anche di fronte alle grandi difficoltà che la vita le ha posto davanti. Il suo “mulino” ha ricevuto certamente tanta acqua, ma lei pur girando le sue pale tra i sassi, l’ha passata tutta, perché fosse utile a far girare altri mulini.

Rita Massi, 2014

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.128

“Mirtilli” ultima modifica: 2014-12-15T08:00:23+00:00 da Rita Massi

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