Eravamo 10 fratelli. Mariangela era, nell’ordine, la quarta dopo due maschi e una bambina. Dopo di lei venivo io e posso quindi ben dire che abbiamo vissuto infanzia e adolescenza in stretto contatto. Ora, a distanza di tanto tempo se penso agli anni dell’infanzia, la rivedo così: una presenza importante, attiva, partecipe, interessata. Attiva nei giochi, nelle competizioni e nelle avventure sui prati (eravamo sfollati in una casa di campagna), ma anche, al contrario di me, più attenta e partecipe al mondo degli adulti, curiosa di quanto avveniva tra di loro, pronta a intercettare i loro discorsi, interessata ai rapporti tra le persone “grandi”, tesa a capire anche quello che non veniva detto davanti a noi…

Era curiosità, infantile voglia di impicciarsi (le dicevo io), ma anche, e l’ho capito in seguito, interesse autentico, aspirazione a farsi coinvolgere dai problemi della vita adulta. Infatti era poi la più pronta e in grado di aiutare, organizzare e risolvere i piccoli problemi che mia madre con tanti bambini e tanti parenti intorno, doveva giornalmente risolvere: e, a lei, mia madre faceva spesso riferimento. Un altro suo tratto caratteristico era quello di non concedersi mai fino in fondo ai nostri giochi più infantili, di fantasia – diceva lei con una punta di superiorità – ma di preferire quelli più aderenti al mondo reale: guardare da vicino, esplorare, sperimentare cose nuove.

Viaggio organizzato

Ricordo ora, eravamo già più grandicelle, un viaggio tutto organizzato da lei: dal paese del Veneto in cui vivevamo, con corriere e trenini d’anteguerra, fino a San Candido! Lei ed io avevamo intorno ai 13 anni e il fratello che ci portammo dietro poco più di sette. Non so come mia madre ce lo permise, ecco forse proprio per la fiducia che Mariangela le ispirava. Fu un viaggio dell’irrealtà: finimmo verso sera, con il freddo autunnale, nella canonica di uno sbalordito canonico austriaco; la sua novantenne perpetua, ancora più sbalordita ci offrì un enorme letto a baldacchino e latte e pane per la cena. Nessuno dei due parlava italiano, figuriamoci noi con il tedesco!

Secondo me hanno pensato di ospitare per una notte tre piccoli Rom. E furono i nostri unici contatti perché la suora italiana nostra referente che doveva accoglierci, era partita il giorno prima. Questo tanto per spiegare quale era lo spirito di iniziativa di mia sorella. Tornammo percorrendo un lungo tratto a piedi lungo la ferrovia perché non avevamo più i soldi sufficienti per l’intero tragitto: avevamo scelto di comune accordo di comprarci una brioche a testa prima di partire da S. Candido.

Durante la guerra

Per un anno, nell’inverno del ‘44, non potendo frequentare la seconda media nella cittadina vicina per il pericolo sempre più incombente dei bombardamenti e degli scontri a fuoco tra partigiani e tedeschi, Mariangela decise, d’accordo con mia madre, di imparare a cucire.

La sua maestra fu una brava signora del paese, la quale, oltre che lavorare da sarta, divideva con il fratello sagrestano la cura e la pulizia della chiesa, aiutando il parroco in ogni altra necessità e Mariangela partecipava con impegno anche a queste attività. Imparò perfino a suonare le campane in un campanile vero tirando grosse funi che, se tenute saldamente in pugno, ti trasportavano in alto fino a sfiorare con la testa il soffitto della cella campanaria: una meraviglia!

Fu in quell’anno, a dodici anni dunque, che le capitò di accompagnare il parroco a benedire i corpi di quattro militari tedeschi uccisi durante la ritirata (da un’incursione aerea) e abbandonati nei pressi del cimitero. Tante altre cose vide e sentì in quell’ultimo anno di guerra crudele, tante persone diverse passavano per la cucina della sarta-sagrestana, e Mariangela lì, come diceva, era a suo agio, si sentiva utile e attiva, grande tra persone adulte.

Fuori e dentro la scuola

L’anno successivo fu invece un anno nero. Il collegio di monache che frequentammo da interne, era freddo, davvero poco accogliente. Il cibo scarso, la pulizia personale poco considerata, le monache distanti, severe, ossessionate dal timore del peccato, dall’obbligo del dovere, dell’umiltà, della modestia. Io, più piccola e inconsapevole, mi limitavo a sopravvivere ma per Mariangela fu guerra totale!

Non sopportava niente di quell’atmosfera, odiava le monache, lo studio, il freddo, le compagne ipocrite… Dopo due tentativi di “fuga” falliti ottenemmo la libertà: a Pasqua eravamo a casa e l’anno scolastico lo finimmo trionfalmente da “esterne” grazie al trasporto con carrozza e cavallo!

E poi, una volta terminata la guerra, ci trasferimmo a Roma. Furono per Mariangela gli anni del ginnasio e del liceo all’Istituto Nazareth, anni generalmente sereni anche se la morte improvvisa di mio padre a soli 46 anni, obbligò noi tutti fratelli più grandi a “fare fronte” con nostra madre per superare le difficoltà di ogni tipo e proteggere i fratelli più piccoli. E solo questo ci impedì di abbandonarci al dolore e alla tristezza più assoluta.

Senza se e senza ma

Secondo me, quelli furono gli anni in cui la personalità di Mariangela cominciò a delinearsi con chiarezza. L’Istituto Nazareth fu il suo campo di allenamento, dove per la prima volta rivelò a se stessa e agli altri le sue particolari qualità, capacità, aspirazioni. Studiò quanto era necessario, scoprì quali argomenti la interessavano, quali materie la facevano soffrire, quali professori amare e quali…detestare. Come tutti.

Ma soprattutto, intrecciò le prime grandi amicizie con alcune compagne e con alcune suore con cui resterà in contatto per sempre e che sole, nei primi anni di Chicca, seppero veramente aiutarla. Sperimentò la sua capacità di unire le persone con la forza dell’amicizia e un comune scopo da raggiungere, scoprì la fedeltà all’impegno preso, il piacere dell’attivarsi per un fine importante, la gioia del godere con gli altri delle cose belle e semplici della vita…, mangiare insieme, preparare una festa, una recita… E seppe anche cosa temere e rifiutare nella vita di ogni giorno, una volta per tutte senza se e senza ma.

Un primo sommario elenco redatto con le sue possibili parole di allora, potrebbe essere il seguente: l’infierire su chi è già in difficoltà; la superbia vuota di chi è ricco, bello, potente; lo scegliere di non schierarsi mai, lo stare a vedere per poi dare addosso a chi sbaglia; la mancanza di passioni, l’ozio, il tempo buttato inutilmente…e per ora non mi viene in mente altro.

Panini moderati

Sperimentò anche un primo impegno di assistenza perché, con una suora coraggiosa, noi alunne delle medie portavamo pacchi di viveri e indumenti ai profughi di guerra ancora ricoverati con grande povertà nella scuola Pianciani di Piazza Risorgimento. E fu allora che Mariangela si vergognò dei suoi panini troppo imbottiti! Avvenne così: si potevano offrire per i bambini dei rifugiati le merende che ci portavamo da casa e una volta, con il ripieno del panino offerto da Mariangela, la suora sorvegliante confezionò ben tre panini! Tanto spreco davanti alla miseria! Voleva sottolineare la brava suora. Questo fatto fece vergognare mia sorella così tanto che non lo dimenticò più e, una volta a casa, fece una scena a chi le aveva preparato la merenda. Da quel giorno si preparò da sola panini “moderati”!

E poi vennero gli anni dell’università, poco frequentata da Mariangela in veste di studente perché doveva lavorare e guadagnare, ma molto – nel tempo libero – come appassionata collaboratrice del cappellano universitario di quegli anni: Don Gian Maria Rotondi, un prete speciale nel quale l’apertura della mente gareggiava con quella del cuore, amico generoso che ci fece conoscere Danilo Dolci e Don Milani… a suo rischio e pericolo.

E quindi anche lì Mariangela doveva, aiutando Don Gian Maria, coordinare, organizzare, galvanizzare gli animi, stabilire le prime messe “diverse” e le giornate di ritiro, inventare campeggi a pochi soldi e settimane bianche in rifugi gelidi. Fino a quando divenne la meteora, la luce in fondo al tunnel per gli studenti fuori sede, senza una lira, che si rivolgevano al CAU (Centro Assistenza Universitari fuori sede). Lì Mariangela, installata come segretaria tuttofare (con stipendio), tra sorrisi accoglienti e bagliori di occhi azzurri, distribuiva buoni pasto, dispense ciclostilate, parole di conforto e suggerimenti per gli esami da sostenere…naturale che fosse centro di continui corteggiamenti, innamoramenti…quasi fidanzamenti!

Valori alternativi

Giunse il giorno della sua laurea, poco festeggiata in realtà: anche nostra madre era andata in Cielo e gli spazi per i festeggiamenti erano sempre più ridotti. E poi ottenne di insegnare al ginnasio dell’istituto Nazareth dove, oltre che preparare egregiamente le sue alunne nelle materie letterarie, profuse la sua carica di passione e di valori…alternativi! “Non sopporto quelle che prendono solo e sempre voti altissimi…che pensano solo a studiare…” (detto a noi).

Ma volete capire che lavorare in gruppo è più bello e utile, anche se si chiacchiera un po’?” (detto a loro). E ancora:“Il sabato e la domenica ci sono tante cose da fare oltre che uscire con mamma per fare acquisti o andare alle festine…guardatevi intorno… leggete..” (a loro naturalmente)… “Non credetevi chissacchè solo perché siete belle e ben vestite…nessuno è senza difetti. Ci sono persone di aspetto modesto che valgono in ogni senso più di voi….!” (alle belle della classe).

Era impetuosa, forse a volte sconcertante, ma divertente, fuori da ogni schema, appassionata. Nessuna delle sue alunne – penso – l’ha dimenticata e molte di loro hanno ancora oggi per lei grande affetto e riconoscenza.

Nel dicembre del 1961 Mariangela si sposa con il prof. Paolo Bertolini e dopo due anni nasce Francesca (Chicca). Ma di questo non voglio proprio parlare. Non ne sarei in grado e poi lo ha fatto lei, nel modo che tutti conosciamo e di cui dobbiamo esserle grati, per sempre. Nemmeno della sua vita in Fede e Luce, del suo lavoro e del suo grande impegno per l’handicap voglio dire niente. Tante cose sono già state raccontate e le testimonianze continuano a giungere.

Voglio solo ricordare con tenerezza e orgoglio un giorno di tanti, tanti anni fa. Nel suo amatissimo giardino mi raccontava di Lourdes, di Jean Vanier, di Marie Helene, di Friquette, una mamma coraggiosa che aveva riacceso una luce nel suo cuore. Mi parlava di questa trama leggera e potente che con Paolo voleva cominciare a stendere anche in Italia tra i genitori di figli disabili e si chiedeva come provare a raggiungerli… E allora proprio noi due, io come eterna gregaria, pensammo ad un semplice povero foglio ciclostilato che doveva giungere con le sue prime parole di amore e condivisione a tanti genitori che lo attendevano senza saperlo.

E noi due decidemmo che quel foglio ciclostilato si sarebbe chiamato “INSIEME”!

Tea Mazzarotto, 2014

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.128

Con orgoglio e tenerezza ultima modifica: 2014-12-15T16:31:23+00:00 da Maria Teresa Mazzarotto

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