«Faccio bene ad andare? Non darò fastidio? Non mi giudicheranno importuna?» pensavo mentre mi dirigevo a un incontro “di mamme che ancora non conoscevo e dei loro bambini handicappati, organizzato a Roma da Fede e Luce. Anche appena giunta, nei primi incontri il disagio non cessava. Guardavo gli occhi di quelle mamme che mi interrogavano; mi sembrava dicessero: «Perché sei qui? Cosa credi di poter fare per noi?» Guardavo le gambine di un bambino costretto in carrozzella e pensavo a quelle sempre in movimento dei miei figli. E mi vergognavo.
Poi è iniziata la Messa… il Vangelo. Zaccheo, piccolo e curioso sull’albero. Gesù lo chiama, va a casa sua. Zaccheo cambia vita, è salvo. Il celebrante spiegava: ogni bambino, ogni adulto, «diverso» dagli altri è il prediletto di Gesù, è quello che Gesù cerca. Io pensavo. Anche io sono Zaccheo, piccolo di idee, di amore. E l’albero è quello della paura, dell’egoismo, delle scuse: che posso fare? Non sono capace. Stiamo quassù a vedere. Ma Gesù dice: «Cosa stai a fare lassù? Scendi ed entra con me nella vita».
Allora ho capito perché ero lì, perché dovevo essere lì. Perché, se mi dico cristiana, ho come segno di identità quello di essere fra chi soffre, tra chi paga essendo innocente, tra quelli che una società normalmente cristiana mette ai margini, rifiuta, nemmeno capisce.
E quei bambini non sono solo figli di quelle mamme e di quei papà, sono anche figli nostri; del loro destino siamo responsabili noi come i loro genitori. E se non riusciamo a trovare per loro uno spazio giusto, una vita degna di essere vissuta, non ci rimane che vergognarci davanti a loro, senza nasconderci, soffrendo per questo accanto ai loro genitori.
E sono qui anche per i miei figli sani, perché se non riuscirò a far partecipare anche loro, se non capiranno e non opereranno in questo senso, saranno per sempre loro i malati.

M.T.M., 1990

Sono anche figli di tutti ultima modifica: 1990-09-26T11:31:47+00:00 da Redazione

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