Maria Fux è una specialista di danza terapia di fama mondiale. Cittadina argentina, di famiglia ebrea russa, era danzatrice classica.
Il principio della danza terapia di Maria Fux è semplice e affascinante. La persona che ha impedimenti, blocchi mentali e fisici, soffre di tensioni sia perché non riesce a comunicare come vorrebbe, sia perché sente il disagio del suo corpo. Con il movimento ritmico può esprimere quel che sente dentro e anche gioire della nuova padronanza del suo corpo capace di esprimere. Mente e corpo separati dalla minorazione — sono separati più o meno in ogni persona — sentono sollievo e gioia nell’unità. Così quel movimento diventa espressione di sé, allentatore delle tensioni e di fatto cura, terapia; sebbene Maria Fux non usi mai la parola terapia per definire il suo lavoro «liberatorio» con le persone con handicap. Invece, usa sempre la parola «ricerca». Ricerca di un linguaggio aperto, creativo, non meccanico, capace di esprimere le emozioni, i sentimenti e che aiuti ad allargare il limite che tutti abbiamo. In questo linguaggio poi ognuno si esprime nel suo modo e secondo le sue possibilità.
Così cominciò, 30 anni fa, la sua ricerca di danza terapia.
Una mia amica — racconta — aveva una bambina di 4 anni sorda, molto malata, dicevano. «Le insegnerò a danzare», proposi alla madre. «Sei pazza», mi rispose.
Danzando, cominciai la ricerca di una comunicazione attraverso il silenzio di quella bambina.
Le avevo regalato una maglia; non la indossava, però — la madre mi disse — la metteva sotto il cuscino quando andava a dormire: era una comunicazione, anche senza parole. Ma non seguiva i miei movimenti. Poco dopo le nacque una sorellina. Un giorno feci il gesto di cullare un neonato fra le braccia; lei ripeté il gesto. Fu l’inizio di una comunicazione che sarebbe cresciuta. Fu anche un primo passo importante della mia ricerca: il ragazzo, la persona con handicap (preferisco chiamarla «diversa da me» ), deve capire la ragione del movimento.
Non dico mai: metti il braccio così, tieni la schiena dritta. Faccio dei movimenti e chiedo: questo ti piace o no? Loro possono scegliere, e sempre, anche il più malato sceglie i movimenti giusti.
La danza terapia, a differenza del linguaggio corporeo tradizionale (che è espressione per mezzo di movimenti) è meno meccanica: utilizza la danza creativa come mezzo per incorporare i linguaggi del corpo alla terapia.
Io non sono medico né psicologo: sono un’artista che ha fatto questa ricerca di un linguaggio aperto, creativo che riguarda l’emozione, l’espressione interna, che aiuta ad aprire i limiti che ognuno di noi ha.
Quando viene da me una mamma con una bambina che ha problemi, io non chiedo quali sono. Io dico alla bambina: per favore cammina fino a quel punto e torna indietro. Come ti chiami? Ti piace la danza? Chiedo allo psicologo o psicoterapista di osservarla al principio e dopo un mese in cui la bambina lavora con me: poco o tanto, ci sarà un miglioramento visibile.
Ricordo uno spastico col corpo tanto difficile; dopo un anno che lavoravo con lui, un giorno mi disse: «Maria, che felice che sono col mio corpo!».
Io sono una persona che conosce i suoi limiti, che lavora col corpo, che fa una ricerca del movimento in relazione all’altro e che ha elaborato una metodologia aperta.
L’operatore che lavora con la danza terapia deve conoscere i suoi limiti nell’applicazione della danza come mezzo coadiuvante della terapia. Non lavora da solo, ma con l’equipe terapeutica.
Chi vuole fare l’operatore di danza terapia, lavora con me e impara a lavorare con le persone handicappate attraverso il movimento. Più che un corso io do un metodo, che poi ognuno quando è pronto, dovrà sviluppare attraverso una sua ricerca. I risultati saranno diversi secondo gli operatori. Ognuno produce all’interno di sé, per quel che sente; ognuno ha i suoi movimenti e si esprimerà in maniera diversa dopo anni di lavoro. E saranno molto diverse le persone con handicap: ognuna riceverà il messaggio in maniera diversa; tutte possono muoversi, capire, esprimere, anche se noi crediamo che molte non possono.
C’è stretta relazione tra danza e musica: musica di tutto il mondo e di tutti i generi. Ma si lavora anche con il ritmo: del cuore, del respiro, del metronomo e anche «disegnando la musica» con colori e forme. Perciò la danza terapia si fa anche con i sordi: e in realtà molti di noi possiamo udire ma abbiamo chiuso la possibilità che il suono passi al corpo.
Di recente — racconta Maria Fux — ho fatto uno spettacolo con una ragazza sorda di 18 anni, che da cinque lavora con me. È sorda ma può parlare. «La danza forma parte della mia vita — dice Fernanda — es mi libertad. Ho capito che il silenzio può essere danzato: ora il mio silenzio è diverso, ha vita!».
– Sergio Sciascia, 1988
Sergio Sciascia, nasce a Torino nel 1937 ma si trasferisce a Roma con la famiglia pochi anni dopo. Fin da piccolo manifesta una spiccata passione per lo scrivere e per il capire le cose che lo circondano, e di questi due aspetti farà il mestiere di una vita. Una collega, amica della primissima Fede e Luce romana, mette in contatto Sergio con Mariangela Bertolini e con l’idea di trasformare il ciclostilato “Insieme”che legava le poche comunità italiane di Fede e Luce in qualcosa di più. Era l’autunno del 1981. Nasceva Ombre e Luci e Sergio accettava di esserne il direttore responsabile.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.22, 1988
Sommario
Editoriale
Diritto alla festa di Mariangela Bertolini
Articoli
In cerchio di Nicole Schulthes
Fare teatro di Maria Teresa Mazzarotto
La danzaterapia di Maria Fux di Sergio Sciascia
Come fare una festa di Mario Collino
Un pomeriggio chiamato laboratorio di Francesca Polcaro
A scuola di ricamo per imparare divertendoci di Lia Antonioli
Rubriche
Libri
Libri per lavoretti manuali
Libri per giocare
Madre e handicap di G. Ponzio
Non ha più sedici anni di N. Schulthes
Barriere di carta di M. T. Mazzarotto