Sabina è una ragazza gravemente handicappata, fisicamente e mentalmente fin dalla nascita: è cieca, cammina con un po’ di aiuto, non parla, e sembra non capire il linguaggio. Ma reagisce all’amore e al contatto fisico.
A causa della relazione di amicizia con il suo parroco, Don Tonino della Parrocchia dei Protomartiri, amicizia che si è sviluppata con il tempo, la ragazza è stata cresimata nella sua parrocchia insieme ad 85 ragazzi e ragazze suoi coetanei; riceve regolarmente l’Eucarestia; ottiene l’assoluzione per suoi peccati ogni anno nel periodo pasquale.

Qualche settimana fa con Sabina e mio marito eravamo presenti ad una messa domenicale nella parrocchia di S. Silvia. Insieme al parrocco celebrava un sacerdote francese, uno dei primi di Fede e Luce.
Al momento dello scambio della pace, questo sacerdote è sceso dall’altare, ha scelto Sabina fra tutte le persone presenti e l’ha abbracciata.
Alcuni presenti sorpresi, hanno con curiosità girato le teste per vedere chi era questa persona così importante, prescelta fra tanti. Altri non erano sorpresi. Infatti, era presente un piccolo gruppo di amici di Fede e Luce che conoscono bene Sabina e, in genere, le persone handicappate; inoltre molti parrocchiani sono ormai abituati alla presenza di persone handicappate tutte le domeniche nella chiesa di S. Silvia. Infatti la parrocchia ospita uno dei gruppi più vecchi di Fede e Luce di Roma, grazie anche al parroco Don Antonino. Purtroppo non tutte le chiese hanno la stessa sensibilità.

Voglio raccontare ora un altro episodio accaduto meno di due anni fa in una chiesa, 100 chilometri a sud di Roma. Eravamo in vacanza al mare. Stavamo passeggiando nel giardino antistante la chiesa aspettando che arrivasse il sacerdote. Era nostra intenzione chiedergli in anticipo se era possibile far comunicare Sabina con il vino a causa della sua difficoltà di deglutizione. In quel momento Sabina si stava comportando molto bene (anche se non capita sempre): sottobraccio con il suo papà. Quando il sacerdote arrivò, ci avvicinammo ed egli, dato uno sguardo a Sabina, disse: «Lei non entra».

Dopo un momento di sorpresa e silenzio l’amica che ci accompagnava, balbettò: .«Ma, padre, la bambina è solita andare a messa tutte le domeniche». Il sacerdote replicò: «Per lei non è obbligatorio». La pausa di silenzio che seguì, fece sentire al sacerdote che erano necessarie altre spiegazioni, così aggiunse: «La sua presenza può dare fastidio alle persone presenti».

Come si può spiegare la totale differenza di comportamento tra due sacerdoti di circa la stessa età, con una preparazione simile, servitori della stessa fede, a così poca distanza di spazio e di tempo? Può essere per la poca coerenza nell’insegnamento della Chiesa? Oppure per il costante esempio e insegnamento di un gruppo Fede e Luce presente in una chiesa e non nell’altra?

Forse la gente ancora non è abituata alla presenza delle persone handicappate mentali e non sa come comportarsi con loro.
Molti cristiani non danno un sorriso o un gesto di amicizia a una persona handicappata, eppure costa così poco.
Alcuni genitori hanno paura di portare i loro bambini in chiesa; forse hanno fatto delle cattive esperienze e di conseguenza si sono allontanati dalla Chiesa.

Noi genitori non abbiamo colpa se i nostri bambini sono handicappati. Non è colpa nostra se i nostri bambini disturbano. Noi dobbiamo sopportare di essere disturbati, notte e giorno, tutti i giorni e per anni.

Rimane il fatto che siamo obbligati a prendere una decisione: portare o non portare i nostri bambini in chiesa?
Se l’handicap è tale che il bambino capisce quando è rifiutato, è giusto che seguitiamo a portarlo in giro esponendolo ai rifiuti della gente, aggiungendo anche questo alle sue sofferenze? O dovremmo tenerlo in un ambiente protetto, o a casa?
E se la persona handicappata non ha la capacità di capire quando è stata insultata, i genitori lo capiscono fin troppo.
Perciò le persone handicappate o i loro genitori rischiano di perdere la fede e la Chiesa rischia di perdere un elemento molto importante. Un sacerdote mi disse una volta: «Il corpo di Cristo non sarà completo finché ci saranno degli esclusi». Se la persona handicappata è parte del corpo di Cristo, ne rappresenta la parte più ferita: ciò merita considerazione.

Il corpo di Cristo non sarà completo finché ci saranno degli esclusi

Tutti i cristiani, amici o genitori di un bambino handicappato, soli o con l’aiuto di un gruppo, che sono disposti con coraggio a portare il bambino in chiesa e a chiedere i sacramenti a suo nome, preparano la strada al prossimo.
Se l’handicap è fisico o sensoriale i problemi da risolvere sono radicalmente diversi.
Se l’handicap è mentale il problema diventa complesso. E’ difficile spiegare a un bambino con ritardo mentale che non deve ridere, o battere le mani, o chiacchierare durante la messa. Qualcuno dirà che non ha il diritto di ricevere i sacramenti perché non ha la comprensione. Cerchiamo di essere chiari su ciò. Gesù ci invita, abbiamo o non abbiamo capito chiaramente il significato dell’invito. Certo alcune persone capiranno o crederanno meglio di altre, ma Gesù si è sacrificato solamente per i teologi o per le persone sane e senza problemi?
Tutto rimane un grande mistero, un atto di fede. I nostri amici handicappati sono stati invitati. Forse li dobbiamo accompagnare, se non possono camminare o vedere o parlare. Ma anche loro sono stati invitati.

Durante la sua vita terrena Gesù non ha mai rifiutato aiuto a chi lo chiedeva, e qualche volta non era la persona ferita a chiedere, ma erano i suoi amici che lo chiedevano per lui. Ricordo l’uomo paralizzato che era stato portato (penso con molta difficoltà) dai suoi amici, disposti perfino a rompere il tetto della casa per portarlo vicino a Gesù. Gesù non solo guarì l’uomo, ma gli dette l’assoluzione, benché non l’avesse chiesta in modo specifico. Quell’uomo handicappato non aveva chiesto il suo perdono, o perché non ne aveva le possibilità, o perché non ne capiva il valore.
Tutto ciò che fecero gli amici era stato di portarlo vicino a Gesù. Gesù fece il resto. Quell’uomo era particolarmente fortunato: fortunato per avere così buoni amici. Siamo tutti noi disposti a dare questo tipo di amicizia?

-di Olga Gammarelli, 1984

Quando il sacerdote scese dall’altare

E’ la prima volta che mi è capitato che un sacerdote, in una messa parrocchiale di domenica, sia sceso dall’altare per dare la pace a una bambina profondamente handicappata. Questo gesto di timore e di umiltà ha un valore incalcolabile per dei genitori che si trovano sempre in imbarazzo nel portare in chiesa una bambina grave.
L’imbarazzo che una bimba può causare con i suoi comportamenti strani, i suoni che emette, apparentemente senza senso e al momento meno opportuno, non è dato dal fatto in sé, ma dagli sguardi delle persone presenti. Sguardi di sorpresa, di imbarazzo, di compassione, di insofferenza molestata. Questi sguardi penetrano come degli spilli nella carne dei genitori. Eppure basta un gesto come quello di questo sacerdote per ripagare le offese e i dolori ricevuti per anni.

-di Francesco Gammarelli, 1984

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.5, 1984

Ombre e Luci n.5 - Copertina

SOMMARIO

Editoriale

Nessuno escluso di Carlo Maria Martini
Perché lontano da Dio di Mariangela Bertolini

Articoli

"Lei non entra" di Olga Gammarelli
Come le altre domeniche Anna di J.F
Basta la porta aperta (domande in 6 parrocchie) di Sergio Sciascia
Cosa dirvi di più di Stéphane Desmasièrez
Chiediamo alle comunità religiose di Henri Faivre
Cottolengo e Don Guanella - pregiudizi e realtà di Nicole Schulthes

Rubriche

Dialogo aperto n. 5
Vita Fede e Luce n. 5

Libri

Dare a ciascuno una voce, Carlo M. Martini

“Lei non entra” ultima modifica: 1984-03-30T20:21:29+00:00 da Olga Gammarelli

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