“Io? Proprio io?”.

Nel cuore si accavallano mille emozioni. C’è anche un pizzico di orgoglio. Via, ammettiamolo! Essere eletti per accompagnare una o più comunità (secondo i livelli di responsabilità in Fede e Luce) è anche una soddisfazione, ci fa piacere che gli altri abbiano fiducia in noi, ma l’euforia della festa non cancella le domande più profonde: “Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?”.

Nulla. Non sei tu. Non c’è qualcuno migliore o più capace di un altro. Sono in gioco una chiamata e una disponibilità a dire di sì. Non scegliamo noi di essere responsabili, è un percorso che ci viene donato. Ed è un dono particolare.

Ci sono giorni in cui benediciamo quel “sì, accetto!”, perché è un regalo bellissimo cogliere in ragazzi, genitori e amici la meraviglia dell’amore vissuto nei gesti e nelle parole più semplici, perché ci sentiamo veramente più ricchi grazie alle tante esperienze che la responsabilità invita a vivere e grazie a incontri carichi di stimoli. Ma ci sono anche altri giorni in cui ci domandiamo perché siano così tanti i pesi da portare: ci sono comunità che invecchiano, che rischiano di morire o davvero chiudono il loro cammino, altre che sbandano o che non trovano più la strada. E quando le comunità da accompagnare sono tante, ci sono tanti cuori con cui entrare in sintonia, tanti con cui ridere o con cui piangere condividendo ogni fatica.

Accompagnare un singolo, un amico, in spirito di fraternità, è una cosa. Accompagnare parecchie persone, unite da un unico cammino, non è lo stesso. Tutto si moltiplica, le preoccupazioni sono davvero infinite. Ma anche i sostegni diventano numerosi, si impara molto da ciascuno di coloro che incontriamo. È una scuola di ascolto, di pazienza e di affidamento. Già, perché non possiamo portare da soli il giogo promesso dal Vangelo: senza Gesù accanto non ce la faremmo. Non sempre abbiamo questa consapevolezza, talvolta rischiamo di pensare che la forza sia tutta nostra, non è mai così e in fondo al cuore lo sappiamo bene, altrimenti nei giorni più bui soccomberemmo.

C’è un’altra cosa da ricordare: a nessun livello, nel movimento, un coordinatore è lasciato da solo. Dalla singola comunità al Consiglio internazionale c’è sempre una équipe che sostiene, che permette il confronto, che aiuta a mantenere la rotta e a cui delegare. Nessuno fa tutto da solo o prende decisioni importanti senza dialogare prima con gli altri.

In Fede e Luce, il coordinatore è come un pastore. Ce lo ha insegnato Jean Vanier commentando il Vangelo di Giovanni. Un pastore conosce bene le sue pecore e il percorso che sono invitate a compiere. E le pecore hanno fiducia in lui, perché sanno che si sforza di fare il meglio per loro. Potrà sbagliare, potrà vacillare, ma loro sono certe che abbia ben chiaro a quale sorgente farle abbeverare e dove trovare rifugio.

È così veramente. Chi coordina è chiamato non a essere il primo fra tutti, ma a mettersi al servizio di tutti. La responsabilità è un esercizio di umiltà. Lo sforzo da compiere è quello di avere ben chiaro su quale roccia costruire tutto, quale sia la vera identità del movimento e quale missione debba assolvere. Il pastore non trascina nessuno. Indica la strada. Magari si prende sulle spalle la pecora che zoppica. Magari cammina accanto a quella che tende ad allontanarsi. Cerca di intuire quale sia il compito adatto a ciascuno, perché ciascuno arrivi a mettere a disposizione il proprio dono. A volte non riesce a raggiungere gli obiettivi previsti, ma sa che questo può accadere così continua a guardare avanti.

Essere saldi non è sempre semplice. Le critiche che si possono ricevere, le chiacchiere che nelle comunità sono di casa, le incomprensioni fanno male, feriscono. È un altro peso da reggere. Ma è tutto messo nel conto. Fa parte del giogo da portare e va affidato a Colui che veglia su tutti quanti.

Lo sguardo deve essere rivolto a nuove sfide. Oggi, in una società che spesso guarda alla fragilità con indifferenza o con rifiuto, c’è da lavorare parecchio per favorire la nascita di nuove comunità, continuando a seminare il messaggio di Fede e Luce. Talvolta si deve anche trovare la forza di celebrare la fine di una comunità: il pastore diventa giardiniere che pota i rami che si stanno seccando. Non deve essere un dramma: là dove non ci sono più forze o desiderio di continuare, le energie possono essere investite in modo diverso.

Il cammino si arricchisce di impegni, ci sono tante luci da accendere per non maledire l’oscurità. Siamo chiamati a celebrare una grande gioia. E il dono della responsabilità la arricchisce di mille colori.

Angela Grassi, Coordinatrice Provincia Un Fiume di Pace, 2015

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129

Proprio io? ultima modifica: 2015-03-19T09:23:08+00:00 da Angela Grassi

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