Non so perché, è stupido, e mi fa rabbia, ma ancora me ne vergogno!». Così scriveva, anni fa, una sorellina di un ragazzo Down per dire che non riusciva ad invitare a casa a studiare i compagni di scuola.
È giusto parlare di «vergogna» o non sarebbe meglio parlare di disagio, di timore che «gli altri» non sappiano capire quel legame così stretto e naturale che si è costruito fin da piccoli; o di paura della «presa in giro» che offenderebbe fin nel profondo lui e lei?
La lettera e la testimonianza riportata esprimono solo in parte la situazione in cui si vengono a trovare fratelli e sorelle di persone portatrici di handicap. Situazione che si aggrava quando in casa si è solo in due, uno «sano» e l’altro handicappato, perché allora il confronto è spontaneo e continuativo; le aspettative dei genitori verso il primo sono maggiori, tacite, ma evidenti e comprensibili.
Il poterne parlare a cuore aperto è così difficile : «come vuoi che parli della mia pena e dei miei problemi ai miei genitori? Loro hanno già sofferto abbastanza; io non mi sento di caricarli anche con le mie storie. E poi, non so se potrebbero capire…».

È normale allora sentirsi soffocati ; incapaci di godere la vita spensierata a cui si ha diritto anche se si vuole gran bene a quel fratello o a quella sorellina

Così avviene spesso che la sofferenza, il disagio, l’insicurezza dei fratelli e sorelle viene sottintesa; non se ne parla né in casa né fuori. So di ragazzi che hanno nascosto per anni la presenza di un fratello o di una sorella con handicap ai compagni, agli amici, agli insegnanti.
So di fratelli e sorelle che, giunti all’età adulta, si sono trovati ad affrontare la vita, il lavoro, gli affetti, l’amore con molte difficoltà psicologiche dovute in gran parte al non aver potuto vivere in pienezza la fanciullezza, l’adolescenza: l’atmosfera carica di pesantezza in famiglia, i confronti, le responsabilità portate troppo presto o subite in silenzio; la dedizione dei genitori riversata troppo sul fratello più fragile; le preoccupazioni vissute in modo drammatico perché non spiegate; l’affanno per il futuro scaricato su di loro con accenni sbagliati, anche se buttati lì senza troppo riflettere:» Ci penserai tu, vero, quando io non ci sarò più?».
E normale allora sentirsi schiacciati, soffocati, incapaci di godere pienamente la vita spensierata cui si ha diritto anche se si è fratelli o sorelle, anche se si vuol un gran bene a quel fratello o a quella sorellina.
Ma non è giusto e va detto. Va trovato il modo per parlarne prima che sia tardi. Non è cosa facile e fa parte della vita di famiglia condividere un fardello del quale nessuno ha colpa. Ma… ci sono dei ma che richiedono attenzione, cura, sincerità.
Non ho la pretesa di offrire in poche righe il rimedio ad un problema che varia per ogni famiglia e che andrebbe seguito caso per caso.

Non ho intenzione di addossare altra colpevolezza sulle spalle dei genitori già così carichi di preoccupazioni e di angosce.
Vorrei soltanto cercare di mettere in evidenza gli sbagli da evitare: potranno servire per rifletterci, discuterne in casa o con gli amici; per aprire un dialogo con loro, i diretti interessati. Le vostre reazioni, aggiunte, richieste, interventi, commenti su questo tema così delicato e importante, saranno sempre ben accette ed eventualmente pubblicate.
Ecco allora qualche punto fra i tanti che si potrebbero elencare:

  •  Saper parlare dell’handicap del fratello o della sorella, saper dire la verità il prima possibile; con poche frasi, chiare, spiegare quanto più è possibile i postumi lasciati da una malattia, da un parto difficile, da un virus; oppure, se l’handicap rimane misterioso anche ai medici, dire ugualmente che si tratta di un male di cui non si conoscono le origini o le cause e la terapia.
    Queste spiegazioni serviranno ai fratelli, ma anche ai genitori.
    È così importante saper chiamare le cose con il proprio nome perché allora tutta la famiglia potrà guardare la realtà bene in faccia e sdrammatizzare quell’atmosfera carica di incertezza che pesa, a volte, così fortemente sulle spalle dei più giovani.
    Sarà bene dire agli altri figli — dopo aver chiesto lumi a medici competenti — che non ci sarà pericolo per eventuali loro bambini.
    Il più delle volte, infatti, non si tratta di malattie ereditarie.
    Questo servirà per accennare con loro l’argomento «fidanzamento-matrimonio» rassicurandoli che troveranno certamente qualcuno che li amerà anche se fratelli o sorelle di persona handicappati; che il farsi amare da qualcuno dipende dal grado di amabilità che si suscita nell’altro molto più che dall’avere o meno un fratello «diverso»
  • Tutti i genitori desiderano che i figli vadano bene a scuola. È un desiderio normale ma non è normale pretendere che i figli vadano per forza bene a scuola soprattutto perché fratelli di un giovane o di un bambino che a scuola imparerà ben poco…
    Mi semba un «ricatto morale» dire alla propria figlia: «Almeno tu dammi questa soddisfazione!». Ci sono tanti ragazzi, soprattutto adolescenti, che fanno fatica ad avere la sufficienza in tutte le materia. A maggior ragione, non c’è nulla di strano che questo avvenga anche a chi… ha un elemento in più per non andare proprio a gonfie vele.
  • È naturale chiedere qualche aiuto in casa ai figli, anzi è educativo pretendere che ognuno faccia la sua parte. Mi pare però che con i figli — fratelli o sorelle di p.h. — si oscilla fra due tendenze: o non chiedere nulla, anzi gratificarli con ogni genere di permessi, di doni eccessivi, per aiutarli a sopportare meglio la situazione, o chiedere troppo, soprattutto in «presenza» accanto al fratello h., per paura di vederli sfuggire ad una responsabilità che si vuole condividere ad ogni costo. Ambedue le tendenze vanno, a mio avviso, ridimensionate anche se so bene che non è cosa facile ; è molto difficile trovare il giusto equilibrio, e ancor più difficile è accorgersi se si sta pendendo dall’una o dall’altra parte. Sarà bene parlarne con persone amiche, quelle vere, alle quali chiedere non solo di dire quello che pensano in proposito, ma che si facciano intermediare fra voi e i figli. Questi ultimi, spesso, parlano di questi argomenti più facilmente con degli amici che con i propri genitori.
  • «E quando noi non saremo più qui?» Questa domanda che assilla in modo angoscioso tutti i genitori di un figlio handicappato, finisce spesso per ripercuotersi sulle spalle dei fratelli, più spesso delle sorelle.

Ho conosciuto diverse sorelle che, senza averlo liberamente scelto, hanno accantonato fin dall’adolescenza l’idea di sposarsi perché «costrette dall’amore a rimanere accanto a lui». Sono molte più di quanto si immagini. Se questo avveniva nel passato, mi sembra importante usare tutta la forza e la convinzione possibile perché queste «imposizioni d’amore» non avvengano più oggi. Se ci sarà questa vocazione — ed è possibile che ci sia — sarà da vagliare in profondità da parte di una persona estranea alla famiglia, competente e capace di discernere se si tratti di una libera scelta.
Ma perché non darsi da fare fin che si è giovani genitori per provvedere alla sistemazione del figlio con handicap in tempo per non far cadere più tardi quest’onere sugli altri figli?

Perché non unirsi ad altri genitori per sollecitare che questi servizi vengano approntati con urgenza da parte delle autorità competenti o, per anticipare i tempi, delle associazioni di genitori, per non addossare ulteriore peso sui fratelli e le sorelle già tanto provati? Immagino le reazioni violente di alcuni di voi a queste mie domande, che possono sembrare retoriche. So molto bene che la situazione attuale, così carente in questo campo, non lascia intravedere un filo di speranza. Ma sono convinto che non è lasciando correre il tempo che il problema de futuro del vostro figlio si risolve; e nemmeno nutrendo la speranza che ci penseranno i suoi fratelli o sorelle a meno che non lo abbiano liberamente e apertamente scelto.
A loro spetterà comunque il compito di vegliare a che fratello o sorella handicappati siano tenuti bene, rispettati, seguiti, in un clima sereno e dignitoso; di andare a trovarli regolarmente e portarli con sé ogni tanto per una vacanza o per una festa in famiglia. Ma non più di questo, perché sarà già un impegno importante da assolvere e che faranno con maggiore disponibilità proprio perché liberi di volergli bene nella misura giusta.

Mariangela Bertolini, 1990

La mia preghiera

Signore, amante della vita, aiuta i più deboli.
È molto dura la vita a non andare a scuola;
non c’è niente che si possa fare.
Io odio la solitudine e di stare senza amici.
Che è molto bello avere veri amici della scuola lì che voglio avere.

Come faccio
andare avanti…

Io ho bisogno di fare
nuove amicizie,
ma come si fa,
dimmelo tu.

Tu sei l’unico che stai in me;
aiutami nei momenti
meno attesi
dammi la tua fede per favore.

Per favore, come faccio
se non te,
come farei…
dammi tu un consiglio
dimmelo nel cuore
che ti sento.

È molto importante quello
che mi vuoi dire:
forse è il consiglio buono
come sei tu

buono, caro e simpatico
e affettuosamente bello;
aiutami almeno tu.

Tiziana di Primio

Ma non carichiamoli di un peso eccessivo ultima modifica: 1990-03-28T11:18:43+00:00 da Mariangela Bertolini

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