«Cosa fa una famiglia con un figlio con disabilità complessa una sera per mangiarsi una pizza? Molto probabilmente, per togliersi ogni pensiero e complicazione, preferirà ordinarsela a casa». Suor Veronica Donatello, responsabile dell’Ufficio della Pastorale delle Persone con Disabilità della Cei, lo chiede alla platea che la ascolta nell’ambito di un seminario e risponde senza giri di parole: ne conosce moltissime di famiglie e la sua è una conclusione amara ma ragionevole. Meno ragionevole pensare che il tempo libero non è in fondo così libero per chi ha una disabilità e la sua famiglia. Questo suo inciso si inseriva su un tema più generale, solo apparentemente poco collegato, affrontato durante la presentazione dei risultati di un’indagine redatta da Cbm Italia (Child Blind Mission) e Fondazione Zancan su povertà e disabilità in Italia. Una ricerca innovativa – la prima sulla correlazione tra queste due dimensioni nel nostro Paese e nei suoi parametri metodologici – dalla quale emerge, e forte, la povertà di relazioni (a ogni livello, pubblico e privato) più che quella economica. In quel contesto, all’Archivio della Presidenza della Repubblica, abbiamo anche potuto ascoltare le testimonianze di due delle trecento famiglie interpellate per l’indagine. A parlare, erano una madre romana e una aversana. In modo diverso e con esperienze accomunate dall’autismo – delle gemelle nel primo caso, dei gemelli nel secondo – hanno raccontato di quanto essenziali siano contesti sociali inclusivi per non rimanere chiuse «in una prigione dorata, per non sentire gli sguardi e affrontarne la fatica» o per «non dimenticarsi di se stesse», totalmente proiettate e occupate verso le necessità dei figli. Ascoltiamo la loro voce, «grido che spesso rimane muto» di chi rischia di piegarsi su di sé: una rivoluzione passa anche per una serata diversa, che sia una pizza, un teatro o un caffè.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.165

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Il tempo libero è davvero libero? ultima modifica: 2024-05-02T14:26:55+00:00 da Cristina Tersigni

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