Sono una assidua frequentatrice di Facebook e utilizzo molto WhatsApp. Entrambi hanno sicuramente migliorato il mio modo di informarmi e di comunicare. Sia nel lavoro che nella vita privata.

È una comunicazione veloce, che accorcia le distanze temporali e fisiche, però non coinvolge tutti i canali comunicativi ed espressivi che arricchiscono una conversazione vecchio tipo, “vis a vis” e questo può essere limitante. E bisogna avere la capacità di scegliere e imparare a filtrare i messaggi utili.

Personalmente su Facebook ho ritrovato vecchi, vecchissimi amici, ho condiviso opinioni, emozioni e informazioni con persone conosciute, ma con cui non avrei mai fatto conversazioni di nessun tipo, ma anche con persone completamente sconosciute, in maniera per me positiva.

Ma soprattutto navigando su FB sono venuta in contatto con tanti gruppi di genitori, con mamme e papà che si affacciano su questo social per trovare conforto e condividere i propri piccoli e grandi problemi. E questo credo che sia una ricchezza, una risorsa che dobbiamo imparare a usare di più e meglio.

Da mamma quello che ha attirato di più la mia attenzione sono i genitori alle prese con la disabilità dei propri figli con cui scambiare idee e darsi conforto a vicenda. Anche senza essersi mai conosciuti. Credo sia questo l’aspetto veramente rivoluzionario del social.

Ci sono i Gruppi di chi porta avanti battaglie per i diritti delle persone con disabilità, dei loro familiari e dei caregiver (#unaleggesubito. #caregiverFamiliari). Tramite i social hanno potuto pubblicizzare le loro lotte e raccogliere firme utili alla presentazione di progetti di legge.

Questo è anche lo scopo del gruppo Disabili nel corpo e abili nel cuore, che vuole essere: “una pagina che rappresenta l’utopia di una società possibile… punto di ritrovo virtuale, ma reale nel cuore e nelle intenzioni… dove si possono sfogare le proprie ansie alla ricerca di una fraterna consolazione e di speranza”.
Su questo profilo si danno informazioni, notizie di leggi, di nuove regole, ma si condivide anche un modo di affrontare le difficoltà con il sorriso; nei post condivisi sembra che tutto sia possibile per tutti, che nessun handicap possa ostacolare la vita con le giuste risorse ed energie.

Ma sono le comunicazione e i singoli che mi fanno più fanno effetto.

C’è Jacopo da Livorno, che facendosi “scudo” della sua disabilità fisica, ha aperto una onlus Vorreiprendereiltreno “in cui si possono scardinare pregiudizi e luoghi comuni, in maniera ironica e dissacrante”, si possono denunciare disservizi e illegalità ai danni delle persone disabili o, al contrario, condividere esperienze e notizie confortanti per il mondo della disabilità. Un suo video ironico e divertente, girato insieme agli amici di Livorno e riprendendo una musica di Jannacci “Vengo anch’io, no tu no”, potrebbe essere considerato il manifesto contro le barriere architettoniche.

C’è Viviana, una super mamma, che sul suo profilo ogni giorno posta un saluto, un augurio con suo figlio Tiziano, “Titto”, ragazzo con una disabilità grave accudito e vigilato 24/24 h. Viviana ci aggiorna sulle sue condizione di salute. È gioviale nonostante tutte le avversità che a volte sembrano perseguitarla.
Abbiamo leggi che tutelano diritti e una società che cerca di abbattere barriere e ostacoli, ma poi quello che viene a mancare per i nostri figli sono le relazioni
Credo che per lei condividere le sue esperienze e ricevere tanti messaggi incoraggianti e di sincero affetto sia un valore aggiunto alla sua vita. È aprirsi al mondo esterno; avere delle relazioni senza uscire di casa. Laddove uscire lasciando il figlio in condizioni precarie, non sarebbe possibile.

Poi c’è un papà che ha aperto un profilo, Diario di un padre fortunato: anche lui si racconta e ci racconta della sua vita con suo figlio Tommi con una disabilità neuro motoria. Per suo figlio ha inventato una sorta di telegiornale in cui racconta avvenimenti della loro vita ricevendo molte visualizzazioni.

Un giovane follower di Tommi e dei suoi genitori lascia questa considerazione: “trattare su una piattaforma FB argomenti reali e delicati come la malattia di un figlio è un ottimo messaggio, anche per un adolescente come me, con il desiderio di creare una famiglia e la speranza che tutto vada per il verso giusto…”.

Mamma Chiara ha aperto il profilo Noi contro questa cosa senza nome. Nelle informazioni che si usano mettere sui profili, la mamma spiega: “Amo Riccardo, che nelle sue grandi battaglie mi fa capire quali sono le piccole cose importanti della vita. E amo la Me che sono diventata grazie a lui”. La mamma di Riccardo condivide lotte, pensieri e riflessioni, spesso positive, e informazioni utili per chi affronta problematiche simili: indicazioni di posti di vacanze, attrezzati e organizzati per accogliere famiglie con figli affetti da disabilità varia.
I suoi pensieri e le sue considerazioni fanno riflettere anche chi la disabilità non ce l’ha in casa. Una soprattutto mi ha colpito: è quella di una ragazza di 23 anni che spiega che il venire in contatto con la vita e la disabilità di Riccardo, con le lunghe battaglie che ogni giorno Chiara affronta con tanta speranza ed energia, le sia servito per affrontare le sue paure e le sue difficoltà.

Antonietta, con Come si vive sulla sedia a rotelle descrive “le difficoltà che incontra una ragazza sulla sedia a rotelle girando la città”. Pubblica tante cose, ma emerge anche il suo bisogno di avere amici e di comunicare con loro.

Amici “reali” e amici “virtuali” comunicano tra loro sui social, si cerca lo scambio, la condivisione di solitudini, di problemi, di gioie e di speranze. E dal momento che la relazione e l’amicizia “reale” vengono a mancare, a volte ci si accontenta. Perché, è inutile nasconderlo, quello che ancora manca nel mondo reale è una rete di amicizie concrete intorno a chi ha una disabilità.

Mia figlia, oggi sedicenne, è sempre stata circondata, da piccola, da tanti bambini, amici o parenti. Si partecipava a feste, cene e merende in compagnia. Poi i figli crescono e gli amici e i parenti pure. E nella vita che gli adolescenti si immaginano, nelle loro relazioni sociali, nelle loro serate con amici, ragazzi come Caterina o Titto, il più delle volte, non sono contemplati.

Abbiamo leggi che tutelano diritti ormai riconosciuti da tutti, una società civile che, nel bene o nel male, cerca di abbattere barriere e ostacoli, ma poi quello che viene a mancare per i nostri figli sono le relazioni.

Ecco che allora gli amici e conoscenti virtuali, con una parola, con un pensiero o una riflessione ti possono far sentire meno solo.

È quello che emerge dal profilo di Gianluca Nicoletti, giornalista, che ha un figlio autistico tra poco fuori dal circuito scolastico (il più delle volte unico canale e aggancio con la società e i coetanei reali). Più volte ha denunciato questa mancanza di rapporti e di amicizie del figlio e dei ragazzi con difficoltà come lui. Ha creato il profilo Per noi autistici, organizzato progetti, messo in atto esperienze che cercano di coinvolgere ragazzi normodotati. Ha anche girato un film: Tommy e gli altri e lo sta presentando e portando in tante scuole e licei italiani.

Mia figlia ha una malattia genetica rara, e rare sono le persone che hanno questo problema in Italia e nel mondo. Esistono un’Associazione Italiana “Non solo 15” e una internazionale “Idic15” che coordinano gli studi e le ricerche su questa malattia.

Ma è con WhatsApp che siamo riusciti a mettere in contatto le famiglie italiane coinvolte. Alcuni non si sono mai incontrati nella realtà ma riusciamo a condividere preoccupazioni, esperienze, informazioni mediche e sociali. Ci confrontiamo sui nostri diritti, ma soprattutto ci confortiamo su “come e cosa fare” di fronte alle tante difficoltà dei nostri figli.

Utilizzo anche un gruppo WhatsApp (Genitori in lotta XIV Municipio): da una difficoltà nata lo scorso anno con gli enti locali, siamo entrati in contatto tra noi tramite le scuole della zona. È nata poi l’esigenza di coordinarci per tenerci informati sull’andamento delle questioni spinose legate ai tagli al sociale e ai problemi scolastici. Abbiamo fatto un ricorso legale per bloccare un bando che avrebbe visto i nostri figli perdere la continuità didattica in corso d’anno. Comunicare insieme è stato molto utile. E abbiamo avvicinato tante famiglie, che non conoscevano i propri diritti.

Il termine social pone l’accento sul fatto che questi mezzi sono mezzi di comunicazione sociale, veloci e senza filtri. La realtà non ha più segreti, niente si può più nascondere. Anche grandi scandali o grandi ingiustizie e notizie che un tempo passavano solo dalla carta stampata ora rimbalzano nella rete ad una velocità incredibile e raccolgono reazioni e opinioni in numero elevatissimo.

E anche qui, le reazioni o le non-reazioni a certe notizie mettono in luce i sentimenti e le personalità delle persone; forse anche questo ha il suo tornaconto, positivo o negativo che sia.

Monica Leggeri, 2018

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.141, 2018

Copertina OL 141, 2018

Cosa so dei social? E cosa ne penso? ultima modifica: 2018-03-26T11:10:54+00:00 da Monica Leggeri

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