Incontriamo la comunità a pranzo e approfondiamo la conoscenza con il presidente Gaspare Ferella e Anna Romano, responsabile della progettazione sociale.

24 luglio di 37 anni fa: è il giorno della prima vacanza al mare per un gruppo di persone con disabilità mentale e un gruppo di giovani scout. Vista la positività di quell’esperienza, la realtà si consolida e viene fondata la Comunità 24luglio, Handicappati E Non, sostegno nella vita quotidiana di alcune famiglie attraverso un centro diurno.

Il centro si contraddistingue per uno stile comunitario e volontario; accoglie persone con differenti tipi di disabilità e disagio, organizzando una serie di attività formative e ricreative.

Il terremoto, che nove anni fa ha messo a dura prova tutta la cittadinanza, poteva segnarne la fine, inaspettatamente ha rappresentato invece un punto di svolta per la 24 luglio che, continuando ad operare nell’emergenza delle tende, ha fortificato i legami, si è resa più visibile e ha convogliato su di sé il sostegno di tanti.

La sede attuale, provvisoria da sette anni, si affaccia su una piazza fino a qualche anno fa inesistente, dove però la condivisione è forte per la presenza di altre associazioni culturali, di promozione sociale, di un teatro e di un Museo di arte contemporanea.

Il centro diurno della Comunità 24luglio offre attività sociali, formative e culturali per le circa 40 persone con disagio o disabilità che arrivano da L’Aquila e da frazioni vicine. Coinvolge 12 ragazzi in servizio civile, circa 60 volontari attivi (quasi la metà del totale di soci).

Ogni laboratorio è offerto a seconda delle peculiarità di ciascuno ed è avviato grazie a finanziamenti privati e statali. Molte le professionalità interpellate e disponibili, anche come volontari: ultimo in ordine di progettazione, un laboratorio di architettura partecipata in collaborazione con l’Università de l’Aquila, per lo studio di proposte di viabilità alternativa della città e che prevede la costruzione di modellini plastici.

Presto l’associazione tornerà ad avere anche un appartamento utilizzato per attuare percorsi di autonomia: piccoli soggiorni per due o tre persone che imparano le buone prassi del quotidiano e la possibilità di vivere la città come fruitori di tante iniziative.

Gli chiediamo come fanno ad avere così tanti giovani tra i loro volontari. Ci spiegano che il passaparola di chi ha visto che non si fa teoria ma reale accoglienza segna la differenza. Non viene percepito come un luogo connotato da un punto di vista assistenziale o riabilitativo, a parte il rispetto delle regole di salute personale di ciascuno. Campagne di sensibilizzazione nelle scuole o all’università hanno dato frutti, insieme a tanta comunicazione esterna, con video e un film nel 2013 “La mano nel cappello” (hand in cup, la difficoltà assegnata in partenza alle gare di cavalli che ha poi dato spunto per la parola handicap) che racconta la quotidianità della comunità, con le difficoltà e le gioie proprie di chi parte con uno svantaggio.

E le famiglie? Hanno un rapporto di fiducia e stretta collaborazione: ce ne sono anche tra i soci dell’associazione. Gli chiediamo se hanno progetti rispetto alle possibilità offerte dalla legge sul dopo di noi. Ci spiegano che le famiglie sono troppo prese dal risolvere le emergenze quotidiane del loro caro, e non riescono nella maggior parte dei casi ad immaginarsi tutto quello che la progettualità espressa nella legge prevede. E se loro, come associazione, riescono a sostenere le famiglie nell’emergenza quotidiana ad esempio del pulmino che non passa…non hanno la struttura professionale necessaria per gestire quella progettualità.

Tra i laboratori organizzati per la formazione – anche professionale – ce n’è uno dedicato alla fotografia e uno al giornalismo, video e non solo (il progetto è finanziato dalla Tavola Valdese) che dura circa un anno e mezzo.

Al termine dei corsi e per mettere alla prova le competenze acquisite, si comincia ad immaginare un vero e proprio progetto di lavoro valutando le proposte di tutti. Gianluca ama la fotografia e vuole imparare a usare la videocamera; ammira molto Osvaldo Bevilacqua (ricordate Sereno variabile, il programma in giro per l’Italia alla scoperta delle sue bellezze artistiche, naturali, gastronomiche nascoste) e propone di fare un documentario per mostrare la bella Italia ancora sconosciuta. L’idea piace ma, insieme agli altri, si decide di connotarla da un punto di vista più attuale e giornalisticamente interessante: la comunità decide di raccontare nel suo documentario la presenza e la vita di alcuni migranti in quattro piccoli borghi italiani intorno all’Appennino Centrale, scelti tra quelli con più alta concentrazione rispetto ai residenti, per capire come rispondono alle problematiche dell’accoglienza.

È un modo per approfondire e descrivere il cuore della 24 luglio: l’accoglienza alla persona con disabilità momentanea, permanente, migrante…è una ed è uno stile che connota la vita della comunità.

La troupe professionale coinvolge quattro persone con handicap, alcuni volontari della comunità e alcuni professionisti di riprese. Il giovane regista Francesco Paolucci li guida con sapiente sensibilità e sincerità. Lui, che è già parte da anni della 24luglio (nella nostra visita abbiamo conosciuto suo papà, cuoco volontario), si occupa di coinvolgere giovani maestranze, fotografi e cameramen, del territorio aquilano e che prima della partenza hanno tenuto laboratori specifici. Per una settimana un pulmino li porta tutti a girare per le riprese nel Centro Italia.

Nessun copione o canovaccio è stato scritto; solo una condivisione iniziale su quelle che sono le opinioni di partenza sulla questione immigrati. Le più semplici e scontate probabilmente. Ciò non ha impedito a ciascuno di mettersi in gioco e di aprirsi all’incontro in un clima di grande rispetto e mai di sottovalutazione. Con l’intento di scoprire come ci si relaziona con il diverso partendo da una propria diversità.

Il prodotto finale è un documentario (anzi un meta documentario), di 50’ inatteso e sorprendente nella sua semplicità e chiarezza..

Uno dei giornalisti interpellati per il laboratorio di giornalismo d’inchiesta è stato Angelo Figorilli di Tg2 dossier che quando ha visto il prodotto finito lo ha voluto mandare in onda, tra i pochi esempi di programmi trasmesso su reti concorrenti, Rai e Tv2000.
Racconta le quattro tappe in un preciso rispetto cronologico degli eventi: si percepisce così il cammino fatto dai quattro inviati, Benito, Barbara, Gianluca e Giovanni, non solo nello stile dell’intervista ma anche nel contenuto.

Nella sua semplicità, riesce a far cogliere alcuni aspetti in modo molto meno angoscioso rispetto ad altri reportage, riuscendo comunque a far presenti le innegabili difficoltà. Inattesi sono anche i luoghi che svela, realtà che vivono l’accoglienza in maniera concreta, come i “migrati” si raccontano. Inatteso per la regia che sembra quasi non esserci tanto è rispettosa e attenta, per il montaggio obiettivo del materiale girato dagli inviati e dai professionisti e per il coinvolgente gioco di sguardi che dona profondità all’incontro tra pari e diversi. Un bel paese e un bel vedere che vi consigliamo, reperibile su RaiPlay per un altro anno.

A cura di Cristina Tersigni, 2017

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.138

Migrati: diverse fragilità si incontrano ultima modifica: 2017-06-28T11:30:23+00:00 da Cristina Tersigni

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