Molti sono gli spunti e le suggestioni che mi rimbombano dentro al cuore dopo la catechesi tenuta da Monsignor Gèrard Daucourt sulla parabola del Figlio prodigo, a seguire l’ottima rappresentazione mimica della comunità del Chicco nella Chiesa di sant’Andrea della Valle.

Vescovo emerito di Nanterre, da sempre amico e frequentatore dell’Arca di Troly, ha immediatamente conquistato l’attenzione dell’eterogenea platea con una simpatica gag in cui ha simulato l’inaspettato squillo del suo smartphone, che estratto da sotto la tonaca era in realtà un Vangelo tascabile: “quello sì sa sempre darvi un messaggio giusto per iniziare la giornata!! Tenetelo sempre acceso e vicino a voi!”

Tralasciando le stimolanti domande che il vescovo ha lanciato tra il pubblico, accolte con entusiasmo dalle risposte dirette e puntuali dei nostri ragazzi, ciò che mi ha davvero colpita è stata l’attenzione che ha posto su un preciso passaggio di questa parabola che, seppur letta e riletta, consente ogni volta nuove riflessioni.

Se facciamo attenzione alla scena narrata dal Vangelo, quando il figlio prodigo torna a casa con i vestiti laceri, dimagrito, triste e pentito è il padre che commosso gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia: senza che il figlio abbia detto nulla, senza cioè che lui abbia recitato ad alta voce quella frase di pentimento, maturata nella sventura e, chissà quante volte, provata nel tono e nei gesti tra sé e sé lungo il cammino verso casa.

Quando effettivamente il figlio dice: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” il padre già lo stringe tra le sue braccia e non fa nessuna domanda, non pretende nessun chiarimento, nessuna “digressione storica” di umiliazione. Il padre perdona e guarda al futuro insieme con il cuore pieno di gioia e vuole che questa felicità sia concretamente visibile anche agli altri attraverso la festa e il banchetto.

Troppo spesso noi per perdonare, accettare, accogliere qualcuno sentiamo la necessità di rievocare la sua storia personale, anche se dolorosa e superata, abusandone talvolta nel pettegolezzo e nella diceria. Abbiamo bisogno di “bollare” e “catalogare” le persone: anche quelle a cui concediamo la possibilità del perdono e dell’accoglienza.

Il padre no. Il padre guarda al cuore e quando comprende la spontaneità del pentimento, il desiderio di accoglienza, il bisogno di accettazione, apre le braccia ed è pronto per cominciare una nuova storia di amore. Il racconto del vissuto sarà allora, eventualmente, una confidenza successiva, che stringerà ulteriormente il rapporto tra i due, giammai lo scotto da pagare per essere amati!

Il vero perdono è allora quello di cui il figlio non debba mai più portare il peso.

La vera accettazione è dunque quella che non guarda al passato, ma al cuore, accogliendo con gioia nel futuro chi si mostri desideroso di un rapporto di amore.

Valeria Mastroiacovo, 2016

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.134

Giubileo 2016: per cominciare una nuova storia di amore ultima modifica: 2016-06-16T10:55:14+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.