Dalla Cina

Carissimi amici,
[…] Dio non sta mai fermo! Dire che “Dio è amore ci fa subito pensare che Lui si dedica alle sue creature e entra nella nostra storia personale. […]
Gesù in tutti i modi ha cercato di contrastare le credenze rigide e farisaiche e le ideologie sostituendole con entusiasmanti “segni” che attivano la fede, miracoli ed “esperienze” che toccano in profondità il significato della propria vita. Al di là di quanto siamo fedeli a ogni regola giudaica o ecclesiastica, anche da peccatori pentiti, Lui ci fa sentire amati da Dio stesso e da chiunque si fa prossimo. Se ci prendiamo cura e responsabilità del benessere degli altri, come Gesù ha fatto con noi, allora “sperimentiamo” subito un amore che procura gioia, e Dio verrà in mezzo a noi.
Essere missionari oggi, più che predicare tanto messaggi da credere, è trasmettere la possibilità di fare “esperienza” di amore, l’esperienza del prendersi cura e responsabilità della felicità del prossimo! Si tratta di un’energia che toglie di mezzo le difficoltà o le avversità, ma ci permette di viverle e superarle e fa sì che permettiamo anche a Dio di prendersi cura di noi.
Ormai è trent’anni che sono sacerdote e ventisei anni li ho trascorsi in Cina soprattutto cercando di dare testimonianza di un amore che si esprime con tante attenzioni, con la cura delle persone diversamente abili, la vicinanza alle persone che si sentono meno amate e assistite… Lo sapete bene, che questo è stato possibile per l’esempio di Gesù, con l’aiuto della vostra preghiera e tanti contributi che hanno permesso di fare sperimentare la forza dell’amore che – lo ripeto prendendolo da un discorso di Papa Francesco – è l’esperienza di prendersi cura e responsabilità della felicità degli altri. Io non mi sento molto capace in questo perché ogni volta che cerco di donare o donarmi, prima “faccio i conti”! Dio invece ha un “amore illimitato” e si dona tutto. Con le nostre credenze e regole spesso “accorciamo gli orizzonti di Dio” e rendiamo i nostri gesti di amore così “piccoli”, che sembrano quasi un “interesse” a misura di sé stessi. Dio si è donato tutto.
[…]
P. Ferdinando Cagnin


Mario

Dalla bocca spuntava un solo dente. È sempre spuntato un solo dente nel sorriso di Mario. O forse più di uno, ma certamente meno del dovuto. La sua bocca portava i segni di una vita che non aveva risparmiato colpi. Sia quando si apriva in un sorriso tenero o – più spesso – in una risata esplosiva e nervosa o anche quando si stringeva per annunciare un pianto da bambino ferito, la bocca di Mario, come fosse un Picasso, prendeva tutto il volto. Le carezze diventavano difficili su quella faccia ossuta e incavata. Ora Mario è morto. Dalla bara spunta un solo dente. E noi, che l’abbiamo conosciuto quando aveva poco più di vent’anni e insieme ai suoi due fratelli feriti, Franco e Nicola, formava un trio che in paese veniva considerato e additato come potete immaginare, tratteniamo le carezze. Mario se n’era andato molti anni fa: da un giorno all’altro gli incontri delle comunità Fede e Luce di Monopoli avevano dovuto fare a meno di lui. Era stato trasferito in una casa protetta, a certificare il fallimento dell’esperimento di convivenza in una casa vera, certo non protetta ma in mezzo alla gente. Avevamo coltivato la speranza che i tre fratelli Cardone, bastonati dalla vita, davvero potessero trovare una folla di samaritani in grado di portarli via dal gorgo di un destino segnato e “protetto”. Non ce l’abbiamo fatta con Mario. E anche Franco e Nicola in questo momento vivono insieme in un istituto e sarà difficile che possano trovare una sistemazione diversa. Perciò tratteniamo le carezze: perché ci sentiamo in colpa. E a me tornano in mente le parole di Jean Vanier in un ritiro di tanti anni fa: “sollevate la pietra!”. Sollevate la pietra del senso di colpa che opprime i vostri cuori, levate il masso dal sepolcro di Lazzaro e fatelo uscire. Ma in questa cappella lugubre e disadorna di un cimitero di provincia, io che non andavo a trovare Mario da cinque anni e rivedo spuntare il suo dente quando è troppo tardi, dove la trovo la forza per sollevare il masso? Faccio come sempre: metto in fila i ricordi belli di Mario che ride e mi ripeto che per qualche attimo, per qualche anno della nostra e della sua gioventù, siamo stati per lui samaritani: amici dello scemo del paese, senza paura e senza orgoglio. Ma per poco tempo. E oggi che Mario è lì davanti a me, il poco mi sembra poco e il masso non rotola via.
Vito Giannulo

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.133

Dialogo aperto n.133 ultima modifica: 2016-03-25T12:45:53+00:00 da Redazione

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