Incontrai (o mi scontrai!) per la prima volta con la realtà dell’handicap tanti anni fa quando, adolescente, partecipai a una colonia-servizio dell’Opera Don Orione. Con il cuore pieno di desiderio ma anche dell’ingenuità dei miei diciassette anni, vissi quindici giorni stupendi con questi “ragazzi”: fu molto bello, ma anche molto impegnativo; i ragazzi avevano anche gravi patologie e andavano assistiti in tutto, lavati, vestiti, imboccati.

A volte provavano sentimenti di angoscia e violenza verso sé stessi o gli altri, che mi lasciavano confuso e impacciato. Ma anche gesti di grande tenerezza e desiderio di comunione, che mi allargavano il cuore. Alla fine dell’esperienza, un desiderio si faceva strada nell’animo: dedicare la mia vita a queste persone così speciali. Passano gli anni con tante esperienze di volontariato e gli studi di pedagogia, e scelgo di iniziare la mia esperienza di lavoro occupandomi proprio di educazione speciale nell’Opera Don Guanella. Dopo altri anni di esperienza e discernimento, eccomi oggi religioso fra i Servi della Carità, dove continuo il mio apostolato fra i nostri “buoni figli” occupandomi soprattutto, con altri confratelli, di offrire loro percorsi di catechesi speciale e vivendo con loro momenti di preghiera e la celebrazione domenicale dell’Eucaristia.

Quello che più mi commuove e per me, religioso consacrato, è di grande esempio e stimolo è la capacità di sintonizzarsi con la dimensione spirituale e il loro grande amore e desiderio di incontrarsi con Dio. Quando ogni settimana vado in mezzo ai “miei ragazzi” per l’incontro di catechesi, mi sento accolto in un clima di grande entusiasmo e gioia: a volte gli educatori mi mandano messaggi raccomandandomi la puntualità, perché già dalla mattina i ragazzi sono in fibrillazione! Con loro commentiamo insieme un brano della sacra Scrittura e poi proponiamo un gesto simbolico o la realizzazione di un disegno a tema. Spesso immagino il Signore sorridere nel vedere il nostro gruppo radunarsi nel Suo Nome, per conoscere la Sua Parola e crescere nella comunione tra noi. E quando la domenica partecipo alla santa Messa con le ospiti della nostra Casa femminile alla Nocetta, resto stupito e commosso dall’impegno che le ragazze mettono nel partecipare alla liturgia, collaborando anche attivamente e con grande maestria nel servizio all’Altare. Dopo la Messa ci ritroviamo per riprendere insieme il Vangelo e ogni volta è una festa!

Un evento di particolare importanza del nostro gruppo di catechesi è stata la prima Comunione vissuta da uno dei ragazzi: insieme abbiamo commentato delle immagini che illustravano la liturgia della Messa e il significato dell’Eucaristia, partendo dal Vangelo del chicco di grano che morendo porta frutto. Il giovane, che a volte sembrava un po’ distratto, ha invece dimostrato di aver compreso benissimo concetti anche difficili ed astratti quando ne riparlava con gli educatori.

Alla fine di questi incontri abbiamo organizzato nella Chiesa dell’Istituto una Messa con la presenza dei compagni e dei familiari, e Valerio è stato ammesso alla Comunione Eucaristica.

Subito dopo, ha portato all’Altare una preghiera di ringraziamento con le proprie parole, composta con l’aiuto degli educatori, e l’ha letta fra la commozione di tutti.

Questo evento mi ha spinto ad interrogarmi sull’importanza anche nelle parrocchie di formare catechisti per una “catechesi speciale”, di modo che le persone con disabilità non si sentano escluse dalla comunità ecclesiale. La presenza di Opere come la nostra, con uno specifico carisma di carità, deve infatti diventare occasione di collaborazione e non una “oasi” alternativa, extra-ecclesiale, perché la disabilità spaventa o rompe il programma.

Ricordo sempre la parole che papa Giovanni Paolo II pronunciò anni fa visitando proprio la nostra Casa di via Aurelia Antica: “è facile innamorarsi della bellezza che si vede, più difficile cogliere la bellezza invisibile”. Davvero i nostri ragazzi con disabilità a volte non sono fisicamente attraenti, non possono fare discorsi impegnati e dalla società dell’efficienza sono considerati di poco valore; eppure hanno un’anima luminosa e sanno cogliere i significati più profondi e veri della vita.

Per entrare in sintonia con loro è necessario anche per noi essere veri, pulirci gli occhi e il cuore per saper cogliere la Bellezza là dove è nascosta e in superficie non si vede. I nostri “buoni figli” sono per noi immagine, manifestazione e tramite dell’Amore di Dio, che da onnipotente si è fatto debole; e spesso quando sto con loro sento il bisogno di “contemplare” questa loro bellezza ripetendo le parole di Gesù:

“Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”.

I miei ragazzi mi insegnano ogni giorno il senso della mia vocazione e vivere la mia vita “con” e “per” loro sarà ogni giorno l’avventura più bella.

fr. Stefano Biancotto, SdC, 2016

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.133

Cercare la Bellezza là dove è nascosta ultima modifica: 2016-03-25T10:40:53+00:00 da Redazione

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